Alfabeta - anno II - n. 10 - febbraio 1980

costruzione del monumento e del suo variopinto inserirsi nel quotidiano milanese in diversi momenti (la gente che bastonava le statue, i «brumisti> o vetturini che lo usavano quale orinatoio, le coppie che vi facevano altro uso, i nottambuli che vi giocavanò d'azzardo, i lavoratori che vi aspettavano il tram di Affori ecc.), ci informa che l'arco sta sfarinandosi, donde la necessità di impregnare la pietra cor. specifici prodotti consolidanti; ma tale lavoro è del tutto carente, donde il drammatico interrogativo finale: «si conserverà la ditta appaltatrice o l'arco della Pace?>. Di queste malinconiche alternative, di queste foto di gruppo del nostro costume sociale e civico è fatta buona parte della storia dei beni culturali in Italia. A questo punto, come variatio, una denuncia che investe quel particolare genere di bene culturale costituito dai manoscritti di poeti e prosatori. Una scheletrica cronistoria: nel 1969 mi proposi di creare un «Fondo manoscritti di autori contemporanei> presso l'Istituto di Storia della lingua italiana dell'Università di Pavia; i più importanti scrittori, primo fra tutti Montale, donarono in abbondanza; nel 1973 il Fondo fu ufficialmente riconosciuto. Scopo dell'impresa: cooperare al salvataggio e alla tutela di materiali preziosi alla cultura, sottraendoli ad eredi inesperti o tout court distruttori, a esperti ma pronti a vendere all'estero, a collezionisti che li fanno scomparire dalla circolazione culturale; indi mettere i testi a disposizione degli studiosi. Nel 1976 giunse al Fondo una missiva di Francesco Callari che, a nome della rivista Concretezza diretta da Andreotti, chiedeva di riempire un formulario per un'inchiesta di livello Storia del marxismo Progetto di Eric. J. Hobsbawm, Georges Haupt, Franz Marek, Ernesto Ragionieri, Vittorio Strada, Corrado Vivanti. Voi. I ( cli marxismo ai tempi di Marx>); voi. II ( cli marxismo nell'età della Seconda Internazionale>) Torino, Einaudi, 1978-79 pp. 381, 948; lire 12.000, 24.000 G iunta al secondo voiurne- a metà del guado, come oggi si dice - la imponente Storia del marxismo einaudiana merita qualche riflessione. Essa vorrebbe essere una storia del marxismo, e cioè di una qualche costante o possibilità teorica chiamabile Marxismo. Tuttavia questa possibilità teorica non viene individuata e neppure proposta: simile al noumeno kantiano, di essa non si parla, sebbene si parli a proposito di essa. La ragione è il non far storia di una vulgata data, e far rientrare, anzi, in una storia del marxismo anche i dibattiti di altre sponde (Sorel, poniamo, o Bogdanov o W. Morris). Dibattiti che alla storia del marxismo si intrecciarono. 1 Può darsi che sia meglio, per non incappare nel dogmatismo, non muovere da un nocciolo di concetti identificabili come «marxismo>, e lasciare che l'oggetto di questa Storia emerga, per quanto può emergere, attraverso i dibattiti di cui esso è l'antecedente noumenico. Ma si corre il rischio, anziché di comporre una storia, di fare un'antologia di contributi «a proposito del marxismo>. Perdippiù, in questo modo, è difficile individuare a quale pubblico si rivolga: studenti, studiosi, o le c.d. persone colte; cioè come e per chi essa voglia essere strumento di informazione. Sotto questo punto di vista occorrerà aspettare anche il IV volume dove un indice bio-bibliografico dei collaboratori, suppongo, apparirà, onde orientare il lettore sulle collocazioni culturali e civili dei collaboratori, notevolmente eterogenei fra di loro. Eterogeneità che vuole avere, ripeto, come contropartita attiva il pluralismo delle voci. L'equilibrio, con tale pluralismo, dipende dalla tenuta del corpo redazionale; come diremo, tale tenuta è stata piuttosto fiacca, specialmente nel secondo volume. Una struttura oggettivante che sia nazionale; vi si domandava quali enti pubblici dessero sovvenzioni, quali privati, in che misura annuale ecc. Da Pavia fu risposto che quella missiva suscitava qualcosa di simile all'ilarità, non possedendo noi una lira, non avendo ottenuto alcun contributo con cui apprestare e stampare un catalogo, acquistare eventuali manoscritti in vendita ecc. In data 16 settembre 1976 apparve su Concretezza (anno XXII, n. 18) un lungo articolo del Callari, che suonava la sveglia al Ministero dei beni culturali, agli enti regionali e locali perché si accorgessero della nascente impresa e la sovvenzionassero. Non avendo ancora imparato a riflettere sulla frase sopra citata di lonesco, partii con metodo molto arcaico e primnivo alla volta dei ministeri. È certo che a Roma chiunque riceve, dal proprio miscuglio di immagini, sensazioni e ragionamenti, l'impressione che qualcosa non va, ma non è sempre in grado di dire esattamente che cosa; ci si limiterà quindi a elencare fatti. Nelle alte sfere del Ministero dei Beni Culturali mi fu risposto che l'impresa era assai importante, ma che non li riguardava, non essendo il Fondo depositato presso una biblioteca nazionale; andassi al Ministero della Pubblica Istruzione, dove la cosa era di diretta pertinenza. Al secondo Ministero, che è poi quello da cui professionalmente dipendo, mi si rispose che l'impresa era assai importante ma senza precedenti, sicché non esisteva una casella in cui inserirla per poter assegnare un contributo. Alla mia proposta di crearla questa casella, si fece notare che ci sarebbero voluti anni e anni, mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva strutture appropriate al caso del Fondo pavese. Alla Presidenza del Consiglio un dirigente ascoltò con attenzione, propose di creare una Fondazione dopo di che avrebbe potuto assegnare un miliont: all'anno. All'obbiezione che per fare questo bisognava già avere in partenza molti milioni, mentre il Fondo era al più bel verde, restò perplesso; propose allora che, come studiosa che aveva stampato dei libri, chiedessi per me il premio della Presidenza del Consiglio e poi lo girassi al Fondo. Appresi in quella occasione che i premi della Presidenza del Consiglio vengono annualmente assegnati su domanda dell'interessato, che elenca le proprie benemerenze. Di fronte a tale inaudita realtà non mi restò che tornare nella Padania, dove anche le istituzioni regionali e locali collaborarono a creare questo modello principe di indifferenza apparentemente almeno priva di ragione. Se il Fondo in questi anni potè vivere, preparare un catalogo di prossima pubblicazione dei manoscritti di circa cinquanta scrittori e di grossi epistolari, acquistare manoscritti illustri, lo deve alla illuminata attenzione di un Ente privato, la Banca Commerciale Italiana7che assegnò al Fondo stesso nel 1977 il cospicuo premio Raffaele Mattioli. Le riflessioni le lascio al lettore. l' intreccio di competenza, incompetenza, attenzione, disattenzione, buona volontà, trascuratezza, onestà, disonestà, questa lunga serie di ossimori può scoraggiare, sostituendo presso il pubblico all'operazione dal basso, còsl necessaria, il verboso lamento, che lascia poi il tempo che trova, sull'inarrestabile degrado delle nostre istituzioni. Apparterrebbe ancora alla lamenta/io, genere molto diffuso nel medioevo, la constatazione che l'ossimoro istituzionalizzato fa parte dei fenomeni della crescita e della decadenza, mai della maturità delle istituzioni. Ma lasciamola lì perché c'è sempre il rischio che dal lamento l'intellettuale si senta «titolato» (si traduce dal lombardo «el se tituia»), cioè risarcito e insieme gratificato. Merita tuttavia che si aggiunga al quadro la resistenza passiva, individuale e collettiva, che buona parte della popolazione italiana fa in varie forme quando le si cerca collaborazione perché non lasci andare in rovina un angolo di paese, una vecchia casa con dignità stilistica, un albero secolare (i nostri montanari rispondono quasi sempre çhe gli alberi fanno umido), perché non deturpi con tapparelle gli edifici antichi e via di seguito. Qualche volta chi suggerisce cose del genere è guardato come un cospiratore e la resistenza passiva diventa opposizione, perché il vecchio può apparire sinoniMarxismion toto modulo di organizzazione storiografica a nostro avviso occorre ad una storia del marxismo, cosl come ad una storia di qualsiasi idea-forza. Se non si vuole che sia cii> marxismo a fare da supporto, altri riferimenti occorrono a far da referente: potrebbe essere la storia del movimento operaio, oppure la storia delle socialdemocrazie o delle Internazionali: un qualche referente diacronico, insomma, non foss'altro per giustificare le scelte degli interventi. Le dispute fra menscevichi e bolscevichi o fra Bernstein e Kautsky o fra Marx-Engels e l'anarchismo (non ce n'è traccia nel I volume: che sia una dimenticanza del tipografo?) non erano di chiesuola ma si svolgevano: a) attorno a testi costitutivi de cii> marxismo; b) attorno a organizzazioni e scelte strategiche di movimenti operai, di internazionalismo, ecc. Aurelio Macchioro Pur avendo Marx speso buona parte delle sue energie teoriche per formare cii> marxismo, e pratiche per edificare la Internazionale, un capitolo sulla Internazionale prima e seconda (Engels era ancora vivo quando si costitul la seconda internazionale) manca; e in quanto alle socialdemocrazie, esse vengono ricordate occasionalmente, come occasionalmente vengono ricordati eventi, come la Comune o la Rivoluzione russa del 1905, attorno a cui la storia del marxismo non solo trovò nerbo di oggettività, ma si è costituita come storia del marxismo. Manca insomma la fattualità, promessaci, invece, e con tanta insistenza, da Hobsbawm a p. XVII del I volume. Perfino il discorso sulla socialdemocrazia russa risulta occasionale, come diremo in seguito. È stato detto che tale storia del marxismo è stata concepita da Ragionieri, cosa di cui fortemente dubito, nella forma in cui si presenta: comunque essendo morto da diversi anni non può dirci la sua. Pure morto è G. Haupt, altro del comitato di redazione, avendoci lasciato, per fortuna, i suoi contributi. L'unico personaggio del comitato di redazione che avrebbe potuto fornirci una introduzione redazionale avrebbe potuto essere Hobsbawm, ma di lui viene riportata, a mo' di introduzione generale, un lungo e disordinato promemoria inviato da H. ai collaboratori, promemoria che verso la fine si ricorda di dovere, per l'occasione, fare anche da prefazione al primo volume, dopo averci detto all'inizio che la principale e pressoché unica storia del marxismo apparsa in questo dopoguerra è la Storia del pensiero socialista di G.D.H. Cole - e questa è bella. 2 Comunque del promemoria i collaboratori non devono aver fatto gran Cuciwra della punta. Calzificio Garda - Sarca. Questa è la prima operazione decentrata da molte aziende all'esterno, presso famiglie. mo di un passato di servitù, di povertà, o semplicemente di una civiltà agricola al posto di quella tecnologico-consumistica, che rappresenta per molti un maggior prestigio sociale ed economico. Come dire che il comportamento volto alla distruzione del bene culturale può dipendere di volta in volta da una forza psicologica sotterranea o da una stupidità di superficie, a seconda; entrambe le cause, se pure disarmanti, andrebbero prese seriamente in considerazione. Naturalmente i mass media fanno poco per creare la coscienza dei beni culturali, per stimolare la scar a sensibilità artistica dell'italiano medio; qualcuno si irriterà a quest'ultima considerazione sull'italiano medio perché da noi c'è la consuetudine di credere gli italiani un popolo ispirato, ma i mostri architettonici in giro per l'Italia dovrebbero renderci meno sicuri di noi. C'è stato un breve periodo in cui alla TV nelle vicinanze del telegiornale compariva sul video un rudere e qualcuno per un attimo lo additava alla pubblica attenzione, ma tale messaggio è durato pochissimo, come spesso le buone iniziative; è un vero peccato che non si pubblicizzi con formula iterativa la tutela dei beni culturali, dato il predominio schiacciante della TV su ogni altra forma di comunicazione, e le sue ripercussioni incalcolabili. Anche nelle scuole di tutti i gradi un deliberato gioco di attenzioni alle vicissitudini dei beni culturali locali sarebbe augurabile da parte degli insegnanti, affinché qualcosa di più si salvi, magari una cascina, un mulino, una bifora, per le future generazioni. Le operazioni dal basso sono oggi le più irradianti, oltre che le più economiche e veloci. conto, andando ciascuno largamente per la propria strada e intersecandosi abbondantemente l'un l'altro, specialmente nel II volume. Nel complesso direi che esiste un evidente difetto di direzione redazionale che non mi pare abbia giovato, nel complesso, al discorso storico; sebbene i contributi, come tali, siano per lo più assai pregevoli. P oiché ci si dice che è in atto, oggi, una «crisi del marxismo» (Meszaros a p. 132 del I volume nega che tale crisi vi sia) e visto che tale crisi sarebbe originata dalla crisi del c.d. socialismo realizzato (realizzatosi nell'Europa Orientale, Asia, Americhe dopo il 1917 e il 1945) non è male chiedersi se il concetto di crisi del marxismo su cui la pubblicistica di Bobbio, Settembrini, Matteucci, Colletti, Del Noce ecc. variamente si esercita, sia concetto sensato oppure no. Che sia concetto pragmaticamente efficace non dubitiamo affatto: stabilito che il «socialismo realizzato» è moralmente in crisi (per processi di Bucharin o di Slanski, per purghe _di Stalin o di Poi Pot, per convulsioni di maoismo e postmaoismo, per migliaia e migliaia di profughi dal Viet Nam, per diaspora di intellettuali ecc.); e stabilito che sia anche in crisi per minor efficienza economica (minor efficienza, non certo rispetto al «capitalismo realizzato» da noi, ma a quello, poniamo, tedesco, giapponese e statunitense); e stabilito che il socialismo realizzato deriva dal marxismo quale sua applicazione, ovviamente dalla definita crisi del socialismo realizzato deriverà la definita crisi del marxismo teorico. Crisi di inedia e mortifera come mortifere sono le applicazioni di socialismo realizzato. Questo per quanto concerne l'aspettopragmaticodellac.d.crisidelmarxismo. Poiché la tesi di marxismo in crisi si produce in epoca, quale l'attuale, in cui gli interessi marxiani sono in grande rigoglio, e specialmente nei paesi a capitalismo realizzato, conviene esaminare a tanto di efficienza pragmatica quanto corrisponda, in tale tesi, di efficienza teoretica. E cioè, il concetto di «crisi del marxismo», oltre a costituire una potente arma sia contro i sistemi statali a socialismo realizzato

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