Alfabeta - anno II - n. 10 - febbraio 1980

Franco Donzelli Economia. Serie «La cultura del 900,. Milano, Gulliver, 1979 pp. 122, lire 4.500 Guido Montani Valore e prezzo. Saggio su Sraffa e la scienza economica Pavia, Edizioni C,k,. 1979 pp. 115, s.i.p. Carlo Boffito Efric:ienzae rapporti sociali di produzione , Torino, Einaudi, 1979 pp. 119, lire 6.000 Stefano Zamagni . Georgescu Roegen. I fondamenti della teoria del consomatore Milano, Etas Libri, 1979 pp. 258, lire 7.000 CJera una volta la teoria economica, divisa in due campi fieramente avversi, che erano rispettivamente quello dell'economia borghese da un lato e dell'economia marxiana dall'altro. Esiste questa contrapposizione ancora oggi? A leggere gli scritti dei -giovani leoni dell'economia politica italiana, si direbbe proprio di no, e che se battaglia vi fu, essa fu combattuta ai tempi di Omero e di Valmichi. Ma quei son tempi antichi, e Marx or non è più. L'operazione pacificatrice è complessa e si articola in diverse mosse. La prima consiste nel ridurre la scienza economica borghese a quel segmento particolare dell'economia borghese che è rappresentato dalla scuola neoclassica. I neoclassici rappresentano certamente il culmine teorico dell'economia borghese. La loro dottrina fiori (per chi ama fissare confini cronologici, sempre approssimati) fra il 1870 ed il I 914 (il suo affermarsi venne dunque a coincidere con il quarantennio di vigore dell'impero germanico). Essa venne inaugurata con la pubblicazione quasi simultanea delle tre opere basilari, di W.S. Jevons in Inghilterra, di K. Menger inAustria, di L. Walras in Francia. Dopo di allora, essa divenne la dottrina ufficiale della classe dominante, insegnata in tutti gli atenei, professata dagli uomini di governo e dai loro consiglieri. La dottrina neoclassica ebbe due aspetti notevoli. Il primo, a mio avviso il più importante, non è tipico della scuola neoclassica, ma è comune all'intera dottrina economica borghese. Esso è stato denominato «individualismo metodologico,. e consiste nel postulato secondo cui i meccanismi economici potrebbero essere analizzati compiutamente partendo dall'esame del comportamento del singolo individuo isolato, e quindi prescindendo da qualsiasi concetto di classe o di gruppo sociale. Questo assunto lungi dall'essere tipico dei neoclassici, si trova anche presso economisti borghesi che precedettero la scuola neoclassica, come, tanto per citare due nomi di rilievo, N. Senior e J.B. Say. Il secondo aspetto notevole della scuola neoclassica, e questo invece suo proprio, è costituito dalla teoria della distribuzione del reddito nazionale, e precisamente dall'idea che il mercato, pur: ché viga concorrenza perfetta, dia a ciascuno un compenso corrispondente al contributo dato alla produzione sociale, e che il contributo di ciascuno possa essere correttamentemisurato dalla cosi detta produttività marginale di ogni risorsa (donde l'appellativo di teoria marginalista toccato alla scuola neoclassica). L'identificare il pensiero borghese con la scuola neoclassica presenta vantaggi non indifferenti. Anzitutto, cosi facendo, l'economia borghese invece di apparire come una ideologia che, sia pure in forme diverse, si riproduce in diverse epoche storiche, può più coC'eraunavolta lateoriaeconomica modamente essere trattata come un episodio cronologicamente ben definito, dotato di una precisa data di nascita, di una esistenza limitata e di una conclusione certa. La stessa identificazione consente di concentrare la discussione su quell'aspetto dell'economia borghese che è specifica della scuola neoclassica, e cioè, sulla validità della teoria marginalistica della distribuzione. Q uesto passo non è di poco momento. Sebbene compiuto il più delle volte in modo silenzioso e quasi subdolo, esso risulta denso di significato, in quanto chi lo compie rinuncia ad attaccare la dottrina borghese mediante una critica esterna, e opta invece per la formulazione di una più raffinata, ma intrinsecamente debole, critica interna. Chi discute la dottrina borghese nel suo complesso, non può che discuterne l'impianto, e quindi i presupposti di base. Chi invece discute quella particolare sezione della dottrina borghese rappresentata dalla scuola marginalistica, discute lo svolgimento tecnico che gli assunti del pensiero borghese hanno ricevuto in quella scuola. La critica svolta in tal modo diventa una critica interna, che non tocca gli assunti di base, ma si limita ad esaminare le elaborazioni logiche che tali assunti hanno ricevuto e le conclusioni che ne sono state tratte. Una critica siffatta, proprio perché basata sull'accettazione dei principi di base, è la critica tipica dei sostenitori del pensiero borghese, di coloro cioè Augusto Graziani hanno compiuto nella candida convinzione che una dottrina imperante nell'accademia andasse combattuta con armi accademiche di pari dignità. Ma, a parte la nobiltà del movente, i risultati sono stati immediati e fatali. Una volta presa la decisione di ri.. durre la teoria borghese alla formulazione neoclassica di impostare la critica e alla teoria neoclassica come critica interna, il passo successivo non poteva trasformata cosi in una gigantesca caccia all'errore, viene ad essere presentata non più come un avvicendarsi di visioni diverse, con le rispettive continuità, trasformazioni e conflitti, bensì come una storia manichea i cui personaggi si dividono in buoni e cattivi a seconda che essi abbiano commesso errori analitici, o ne siano andati esenti. essere che uno solo: quello di puntare N ella storia così raccontata coml'attenzione sulla teoria neoclassica paiono due grandi piloni, che della distribuzione del reddito nazio- sono Ricardo e Sraffa; il resto è nale. Esaminata a fondo e con severi- costituito da campate intermedie, o tà, questa teoria fu trovata carente nel- addirittura, come accade per i poveri la sua costruzione analitica. Come è. neoclassici, da periodi di oscura decanoto, la teoria economica neoclassica è- denza. La discussione dell'impianto di costruita come teoria del mercato, e ogni teoria, dei suoi presupposti di l'insieme dei prezzi di equilibrio viene base, delle sue radici ideologiche, pasvisto come determinato attraverso il sa in secondo piano: quello che conta è gioco della domanda e dell'offerta. la maggiore o minore correttezza forOra, è possibile mostrare che alme- male con cui la teoria dei valori e.dei no per una delle risorse (il cosiddetto prezzi è stata trattata. capitale) non è possibile definire cor- In questa prospettiva, Ricardo direttamente né la quantità domandata venta colui che per primo impostò il né quella offerta; e che qualora, per problema in termini corretti, anche se sfuggire a questa difficoltà, invece di non seppe condurre l'analisi sino al considerare il capitale nel suo com- suo logico compimento; seguono lunplesso, si prendano in considerazione i ghi decenni di decadenza, fino a che singoli beni capitali (attrezzi, macchi-_ non si arriva al 1960, anno del nostro nari, e via dicendo) cercando di de- riscatto, quando finalmente Piero terminare un prezzo per ciascuno di Sraffa, pubblicando il suo Produzione essi, diventa impossibile individuare di merci a mezzo di merci, completò il una posizione di equilibrio pieno. In monumento avviato da Ricardo e dieta! modo, la teoria neoclassica della de all'umanità la parola finale in matedistribuzione, la famosa teoria margi- ria della teoria dei prezzi. E Marx? nalistica. che cercava di dimostrare Possiamo lodare la sua buona volontà; come il mercato paghi ogni risorsa in ma dobbiamo riconoscere che anch'eragione del suo contributo produttivo, gli cadde vittima di errori (anzi, guare come di conseguenza ilmercato capi- dacaso, dello stesso errore in cui cad- ----- Fabbricai.ionedellacalzagreua. CalzificioGarda - Sarca. Le linee (cento macchineognuna) sono otto, in funzione24 ore su 24. Gli addetti sono quattro per turno. Due le loro mansioni:riavviarela macchinanel caso di rottura del filatoe sostituirele rocche esaurite che, volendo conservare l'impianto generale, quello che ingloba l'intelaiatura ideologica, si preoccupano di snidare gli errori di elaborazione, e di sostituire, sempre nell'ambito delle medesime ipotesi di partenza, quei pezzi della costruzione che risultino viziati. Per questa stessa ragione, una critica interna diventa immediatamente debole (ma, ancor prima che debole, illogica e inutile) se esercitata da chi il pensiero borghese intenderebbe irivece avversare. I critici italiani del pensiero borghese, almeno quelli accademici, hanno compiuto, nella stragrande maggioranza, questo passo falso. Forse lo talistico di concorrenza perfetta possieda anche validi attributi di giustizia sociale, viene a crollare. Essa, lungi dall'essere una teòria con le carte in regola, è frutto di un semplice abbaglio. Fedeli al loro canone di metodo, i critici del pensiero borghese, una volta impossessatisi di questa argomentazione critica, l'hanno elevata a criterio di giudizio universale, applicandola non soltanto alla teoria marginalistica della distribuzione (che è la sua sede corretta) ma anche alla critica dell'intero pensiero borghese, e addirittura alla valutazione di ogni altra teoria. La storia dell'analisi economica, dero successivamente i neoclassici), per cui, se il criterio di valutazione resta sempre quello del corretto svolgimento della teoria del valore, anche Marx va gettato nel mucchio di coloro che sbagliarono. Chi si voglia documentare su queste amenità della teoria economica italia- • na, non ha che l'imbarazzo della scelta. Una lettura iniziale senz'altro raècomandabile è quella della Voce «Economia» scritta da F. Donzelli per l'enciclopedia monografica La cultura del 900 (Milano, 1979). In questo agile volumetto, al quale non mancano certo i pregi della chiarezza (non solo di dettato ma anche di intenti) si trova l'esemplificazione più netta di una storia del pensiero economico ricostruita come linea e campata unica fra i due piloni Ricardo e Sraffa, che, collocati a distanza di un secolo e mezzo l'uno dall'altro, reggono sulle loro spalle il peso dell'intera teoria economica di cui l'umanità disponga. E tutti gli altri? È presto detto. Marx va considerato con «la più grande cautela», data «l'esistenza di incrinature all'interno della stessa sua opera» (pag. 94). Keynes si collocò su posizioni innegabilmente rivoluzionarie; ma il suo è un apporto empirico, avendo egli rilevino la gravità della crisi e la necessità di un intervento pubblico, mentre sul terreno prettamente teorico il suo apporto è inadeguato. Schumpeter tentò di costruire una teoria del movimento economico, ma non ebbe seguito, per cui, insieme a Kalecki, viene collocato in un'appendice finale, che funge da galleria degli antenati inutili. Viceversa Sraffa è autore di «un vero e proprio cambiamento di paradigma e di un mutamento nelle basi concettuali su cui si fonda la teoria economica» (pag. 78). Peccato che l'autore non riveli in cosa consista questo nuovo e rivoluzionario paradigma, e quali siano queste nuove basi concettuali; perché qualche malintenzionato poìrebbe addirittura sospettare che tutte queste innovazioni poi non vi siano. In compenso, sempre senza dimostrarlo, l'autore ci assicura che la «visione del sistema economico implicita nella teoria di Sraffa presenta strette analogie con il punto di vista degli economisti classici e di Marx» (pag. 121). E, con questa pace nell'animo, converrà fermarsi, perché, come insegna Pirandello, non bisogna dir male dei vescovi. U na seconda lettura che consiglio vivamente, sempre nel buon solco della produzione nazionale, è quella del libretto-pamphlet di Guido Montani, Valore e prezzo (Edizioni Jes, Pavia, 1979). Questo autore lucido e determinato quanto il primo, si presenta come un modello di coerenza. Se nel valutare una teoria, il criterio di giudizio è quello della correttezza formale, due conclusioni possono essere desunte immediatamente. Ecco la prima: due teorie del valore, quella del valore-lavoro di Marx e quella del valore-utilità dei marginalisti, essendo ambedue erronee sul piano della logica formale, vanno ambedue al rogo. E la seconda: siccome, dopo l'avvento di Sraffa, l'umanità dispone finalmente di una terza teoria dei prezzi e della distribuzione, questa logicamente impeccabile, ogni ragione di controversia fra economisti borghesi ed economisti marxisti perde la sua ragion d'essere. So che a questo punto, il lettore rifiuta di credermi. Cedo quindi la parola all'autore il quale si esprime cosi: «Attualmente, con la formulazione della moderna teoria del valore siamo probabilmente in condizione di veder finire questa assurda pretesa che esistano due scienze, due verità, per spiegare lo stesso fenomeno, il sistema capitalistico. La teoria del valore-lavoro, in quanto strumento analitico per determinare i prezzi e la distribuzione del reddito, non può più essere difesa. Essa è chiaramente soppiantata da una teoria dei prezzi che, pur richiamandosi alle fondamenta della scuola classica, ne dimostra i limiti e le incongruenze. «D'altro canto, la nuova teoria del valore non presenta nemmeno i difetti della vecchia teoria marginalistica, che forniva una spiegazione economicistica alla distribuzione del prodotto sociale, e che costituivano un ostacolo obiettivo alla sua adozione da parte dei teorici del movimento operaio. «Si può pertanto sperare che i tempi siano maturi per il superamento del

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