tico), ma come ricerca che investe la realtà della struttura e della composizione di classe del proletariato italiano, delle sue condizioni di vita e di lavoro, cultura e ideologia. A fianco alle (classiche) opere di Stefano Merli e di Giuliano Procacci penso soprattutto alla serie di articoli e saggi comparsi negli ultimi anni sulle riviste italiane Movimento operaio e socialista, Quaderni storici, Rivista di storia contemporanea, con l'ambizione di affrontare anche la produzione slraJliera, almeno quella presente nella fatiscente struttura delle biblioteche italiane, e di portare a conoscenza degli studenti il dibattito e le ricerche comparsi su riviste come Mouvement sociale History Workshop. Un interesse per la storia sociale (e del movimento operaio) è del resto un dato abbastanza diffuso tra gli studenti, almeno per quanto ho potuto registrare negli anni scorsi; anche se mi è sembrato sollecitato forse più da motivazioni di ordine emotivo che da una reale coscienza delle implicazioni storiografiche. La scelta di quest'anno tiene dunque conto non solo - com'è ovvio - delle sollecitazioni del dibattito storiografico, ma anche della «domanda» studentesca. Se questo sia un indirizzo produttivo, è certo troppo presto per dirlo. L e iniziative didattiche sono abbastanza articolate. Per comprenderne il motivo occorre tenere presente una situazione relativamente anomala: una frequenza di circa il 25 per cento degli iscritti alla Facoltà. Di qui una varietà di situazioni che vanno dal corso (o seminario) monodisciplinare a seminari in collaborazione fra vari docenti, a piccoli gruppi di studio. L'attività di cui vale la pena di parlare dal mio punto di vista è il seminario pensato in collaborazione con il collega Marcello Flores (incaricato di Istituzioni politiche). L'organizzazione del seminario può essere cosl riassunta: 1) un ciclo introduttivo che comprende la lettura e la discussione di testi storiografici (due saggi rispettivamente di Hobsbawm e di Haupt) e una serie di lezioni dirette a prospettare i termini generali di riferimento (industrializzazione in Italia, nascita della classe operaia, formazione delle organizzazioni storiche del movimento operaio) anche dal punto di vista bibliografico; 2) una serie di colloqui - non selettivi - sulla base di alcune letture (generali) allo scopo di accertare la base comune delle conoscenze e le esigenze degli studenti; 3) due successive tornate di relazioni degli studenti, divisi per piccoli gruppi, sulla base di una bibliografia generale offerta dai docenti. Le nostre lezioni si alternano alle relazioni e intendono costituirne un'integrazione e un ampliamento. La prima delle relazioni degli studenti avrà carattere di primo approccio su temi monografici (la disciplina di fabbrica, il lavoro minorile, la dinamica degli scioperi, ecc.); il carattere della seconda andrà stabilito sia in base alle discussioni di seminario sia in base alle capacità degli studenti e alle stesse opzioni che essi esprimeranno. Tra le ipotesi - la segnalo perché in questo sommario rendiconto può essere utile per esemplificare il tipo di lavoro - c'è quella di affrontare una pur limitata ricerca sull'organizzazione del lavoro in un cantiere triestino agli inizi del '900 sulla scorta di uno dei fondi archivistici esistenti presso un 'istituzione della città. Gli obiettivi che ci proponiamo dal punto di vista didattico sono dunque i seguenti: attraverso l'analisi del dibattito e dei risultati di ricerca attorno al tema (che cosa significa e perché ci interessa fare storia sociale e proprio del movimento operaio) avviare gli studenti alla lettura critica della storiografia, dotarli di una strumentazione quanto più ampia possibile - di qùi anche una particolare attenzione alle riviste, che saranno esaminate come strumenti d'aggiornamento e d'informazione - e infine portarli a una ricerca sul campo, su fonti di prima mano. È tuttavia necessario dire che all'origine questa forma di collaborazione aveva maggiori ambizioni. La proposta nacque con l'istituzione del corso di laurea in storia nel 1975- 76 ed era in armonia col significato che noi assegnavamo al corso di laurea stesso: quello di fornire ai laureati in storia una preparazione diversa da quella tradizionale, metten~oli in grado di comprendere e utilizzare l'apporto di varie discipline (sociologiche, antropologiche, economiche soprattutto) fino allora estranee alla formazione degli studenti di storia. Va anche aggiunto che, diversamente da quanto può apparire da vari articoli anche recenti, un corso di laurea non è una monade esclusiva, ma è un complesso di insegnamenti di cui possono valersi (e si valgono) tutti gli iscritti alla facoltà. Si spiega cosi il paradoss_oper cui gli studenti che hanno sostenuto il mio esame sono stati tra i sessanta e gli ottanta, mentre gli iscritti al corso di laurea non superavano la quarantina. Ma, ad onta dell'interesse degli studenti, noi abbiamo dovuto registrare che all'interno di un corso di laurea in storia la formazione «disciplinare,. dei docenti o è troppo omogenea per consentire un'effettiva interdisciplinarità - alla quale aspiravamo - o è troppo diversificata perché lo scambio sia proponibile direttamente agli studenLa confezione ti. Questi ultimi restano più intimoriti che interessati di fronte al dissenso scientifico tra i docenti. Papà e mamma litigano ... Sono due aspetti eterogenei, l'uno derivante da limiti culturali (non solo nostri, speriamo), l'altro da atteggiamenti psicologici: tanto l'uno quanto l'altro hanno contribuito a frenarci su quella strada. Qualche ambizione ci è tuttavia rimasta. E il tentativo di approfondire, con gli studenti, il significato di «storia sociale del movimento operaio» è da parte nostra anche un passo per cercar di capire come questa collaborazione possa essere ripresa. Prevediamo quindi l'utilizzazione di docenti di altre discipline (economiche e antropologiche), anche se per ora solo come interventi in forma di lezione. Questo proposito di utilizzazione reciproca vale per tutti i corsi seminariali dell'Istituto di Storia. Dire infine chi siano e come si presentino gli studenti, mi sembra impresa non priva di rischi. È pur vero che ogni leva di studenti differisce dalla precedente. Ma di qui a giudicarli oggi più studiosi, più diligenti (più docili) dei predecessori mi pare giudizio dissennato, soprattutto quando s'accompagna a un compiacimento, come spesso avviene. C'è stato il '68, si dice, ma adesso tornano a studiare. Intanto c'è da chiedersi quanto non sia stato iqdotto dalla grancassa suonata sui temi della pr .)fessionalità e della preparazione scolastica. Ma soprattutto sarebbe bene meditare sulla portata dell'assenza di strutture, di servizi, di occasioni per soddisfare questa richiesta di studio e di cultura. Chiedersi, insomma, se non ne possa nascere, nella situazione odierna, una delusione ancor più dura e disperata. Giuseppe Geymonat Analisi matematica l e Geometria (Torino) Gli insegnamenti di Analisi Matematica I e di Geometria sono fondamentali al primo anno per tutti i corsi di laurea in ingegneria ed insieme alla Analisi matematica li sono destinati a fornir~ agli allievi ingegneri gli strumenti matematici di base per tutti gli studi successivi. Al Politecnico di Torino, gli studenti sono divisi secondo gli indirizzi di laurea ed a me «tocca» la metà dei circa 500 allievi aeronauti-· ci, elettrotecnici e meccanici (quelli del cosiddetto l corso AEM i cui cognomi vanno da A ad L, mentre agli altri, il cosiddetto II corso, insegna Luigi Montrucchio, un validissimo giovane). Nella facoltà di ingegneria il problema dell'insegnamento di una materia «astratta» e «teorica» è di difficile soluzione, in quanto i docenti si trovano a dover risolvere, proprio sul piano didattico, l'ardua questione dei rapporti astratto/concreto, teoria/pratica ... A I momento della fondazione dell'Ecole Polythecnique a Parigi nel 1794 i legislatori optarono per fornire l'insegnamento teorico più avanzato dell'epoca nell'ambito dell'Ecole, dalla quale poi gli allievi passavano alle diverse scuole di applicazione; traccia di tate· scelta si ha nella distinzione tuttora esistente fra biennio propedeutico e triennio applicativo. In particolare, i corsi professati da Cauchy a partire dal 1815 e poi pubblicati in famosissimi manuali sono divenuti la base dell'insegnamento dell'analisi matematica del primo anno. Con pochi aggiornamenti, anche se su punti certo teoricamente significativi, il programma, partire sostanzialmente dal 1820, è rimasto invariato e ... sempre attuale. Come dunque giustificare un tentativo di rinnovamento, anche solo nella didattica, di un corso che dimostra la propria vitalità dopo più di 150 anni, La confezione. in Italia come in Cina, in USA come in URSS? Innanzitutto va rilevato che gli strumenti matematici di avanguardia elaborati nella prima metà dell'ottocento (e subito integrati nel programma di analisi matematica) venivano immediatamente utilizzati dai tecnici e dagli scienziati, che spesso erano anche eminenti matematici. Tale rapporto si è progressivamente modificato ed in particolare gli ingegneri per molto tempo sono stati assai sospettosi verso i nuovi strumenti matematici giudicati sempre più astratti e lontani dalla pratica. È possibile allora cercare di invertire tale tendenza proprio a partire dall'insegnamento propedeutico? È questo il tentativo che sto facendo insieme all'équipe dei docenti di Analisi matematica I dei corsi AEM costituita oltreché da Montrucchio, dalle assistenti di ruolo Donatella Ferraris, Laura Mascarello, Maria Teresa Rivolo e Giovanna Viola). Due sono i motivi che ci spingono a fare tale tentativo. Innanzitutto il rinnovato interesse ed il sempre più notevole impatto che gli strumenti matematici più moderni hanno proprio nelle applicazioni ingegneristiche più avanzate; questo vale sia per l'analisi funzionale (in particolare per il calcolo delle variazioni ed il controllo ottimo) che per l'analisi qualitativa della stabilità (coi metodi dell'analisi non lineare e con la teoria delle singolarità - o teoria delle catastrofi) che infine per il calcolo delle probabilità e la statistica. In secondo luogo, l'uso dei grandi calcolatori elettronici prima, poi dei piccoli computer ed infine dei calcolatori tascabili (grazie ai quali con poco prezzo ed ingombro si possono eseguire calcoli che ancora pochi anni fa si reputavano fattibili solo nei grandi centri di ricerca) ha imposto un profondo rinnovamento dei metodi utilizzati per ottenere le soluzioni concrete, effettive dei problemi ed ha reso applicabili modelli ed approcci precedentemente giudicati troppo astratti. M i pare che questi fattori siano· destinati a modificare profondamente l'insegnamento di tutta la matematica per l'ingegneria e dovrebbero contribuire a superare il divario fra il «triennio applicativo» e il «biennio propedeutico». Il primo problema che si incontra nel fare questo tentativo è proprio il modo di utilizzare i calcolatori tascabili nello studio delle funzioni e nel calcolo dei limiti. Infatti una tradizione, particolarmente dura a morire in Italia, vuole che l'Analisi matematica I operi la «selezione» degli allievi ingegneri con mostruosi calcoli di limiti e studio di funzioni per i quali sono necessari artifizi ed equilibrismi assolutamente fini a loro stessi ed a una «cultura» totalmente sterile e peraltro da sempre «morta» ovunque salvo che negli eserciziari. Tale problema viene affrontato a livello teorico dimostrando che «tutte» le funzioni «elementari» e quelle da esse ottenute in modo «standard» sono continue laddove sono definite; il problema del calcolo dei limiti viene cosi ridimensionato salvo che per qualche caso utile poi per il calcolo delle derivate e nell'ambito delle successioni (formule di ricorrenza, sistemi dinamici discreti ...). Peraltro il problema del comportamento locale delle funzioni può essere affrontato numericamente utilizzando i calcolatori tascabili, scoprendone e/o congetturandone sperimentalmente la soluzione. Naturalmente lo studio sperimentale riporta subito all'esigenza teorica per poter dominare l'eventuale incapacità della macchina di decidere e per poter comunque comprendere aldilà del caso particolare. È proprio a questa dialettica teoria/ pratica che si cerca di improntare il lavoro, in particolare durante le esercitazioni. Tale dialettica si ritrova anche nello studio qualitativo delle funzioni ove la possibilità di tabulare e diagrammare i casi che si ottengono variando i parametri suggerisce i risultati più profondi (stabilità di determinate configurazioni: massimi e minimi nondegeneri ...). Di più, lo strumento permette di presentare, se non di approfondire, argomenti di ricerca attuali quali ad es. il comportamento dei sistemi dinamici discreti (biforcazioni e transizione al caos), il problema della efficienza degli algoritmi, il problema della stabilità strutturale delle equazioni differenziali ordinarie ... Vorrei aggiungere che in questo modo si riscoprono anche «vecchi» strumenti pratici quali l'uso di carte con scale logaritmiche (per estrapolare il comportamento locale di una funzione) di cui si valutano i vantaggi e le limitazioni ed argomenti «teorici» caduti in desuetudine quale il problema della integrabilità con funzioni elementari delle funzioni (il teorema di Liouville) proprio perché i calcolatori tascabili hanno le funzioni elementari implementate su tastiera. Mettendoci ora, per quanto possibile, dalla parte delle «cavie», e cioè degli studenti, quali sono i limiti del servizio didattico offerto? innanzitutto la mancanza di un testo sia di lezioni che di esercitazioni: è questo un problema a cui gli studenti (ma non solo loro, giacché fin quasi dalla fondazione i professori dell'École Polythecnique erano tenuti a fornire i testi delle loro lezioni) sono par~colarmente sensibili ed al quale si spera di ovviare quanto prima. V'è poi il grosso problema del rapporto numerico docenti/allievi nelle squadre di esercitazione (fu quella delle esercitazioni una grande innovazione proprio dell'École Polythecnique fin dalla stesura del primo progetto durante la Convenzione); siccome le squadre sono 3 per corso e siccome gli studenti che effettivamente frequentano sono circa 400, vi sono circa 70 allievi per squadra. Tale situazione è in parte compensata dal fatto che i docenti delle squadre sono tutti assistenti di ruolo (tranne in una squadra del li corso, cui faccio io stesso le esercitazioni): l'assenzadi «precari»rendeil servizio didattico complessivo «meno Per fare tutto questo, si potrà sensibile» all'invevitabile caos dovuto obiettare, non è necessario met- alla mancanza di qualsiasi riforma unitersi in due (o tre, come ci è tal- versitaria. volta capitato negli scorsi anni acca- È questo un fatto importante anche demici). Il vantaggio di un seminario perché alla Facoltà di Ingegneria del pluridisciplinare è dato dalla possibili- Politecnico di Torino i corsi sono selà di confrontare se non metodologie mestrali intensivi (sei ore di lezioni e i:= diverse almeno diversi punti di vista, La confezione. I collant di pregio vengonoimbustati uno alla volta. con molta cura e attenzione; i collant quattro di esercitazioni alla settima- S! diverse sensibilità, atteggiamenti, e di tipo economicopiù celermente. tre alla volta. inscatolatie poi impacchettatia dozzine. Il 90 per cento na): gli allievi hanno ritmi molto inten- ~ componenti culturali. della produzionedi calze di Castelgoffredo è venduto all'estero. si, ma hanno solo due o tre corsi da "'-. L-----------------------------------------------------------------------------------ò;
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