oO - tradizionali viene sost1tu1to, quando un'organizzazione di controllo è implicata, dal mero problema dell'efficienza delle procedure tecniche impiegate nel somministrare o nell'evitare la morte. L'imbarazzo con cui in genere i governi difendono la pena di morte (con tutti i problemi suscitati da uno spettacolo che comunque chiama in causa la legittimazione di chi punisce) lascia il campo alla pena di morte somministrata tecnicamente, nella routine di lavoro della polizia, con il montaggio di situazioni «tecniche» come la cattura del pericoloso delinquente, i rastrellamenti spettacolari, ecc. La nuova realtà della morte è un aspetto della digitalizzazione della vita sociale organizzata, della trasformazione per cui gli ambienti in cui i corpi degli uomini sono per qualsiasi motivo trattati in modo tecnico, tendono uniformemente a diventare dei laboratori. In linea di principio una corsia o un reparto per malati inguaribili tende ad assomigliare (per l'attrezzatura impiegata, per problemi organizzativi implicati, per il ruolo marginale degli oggetti del trattamento) a un laboratorio biologico o a una qualsiasi sala di controllo. L'analogia non si ferma soltanto all'apparenza, all'estetica fredda o repellente della tecnologia, ma riguarda più in generale la tecnica uniforme -concui sono affrontati i problemi della vita e della morte prodotti da situazioni socialmente diverse. Che il paziente sia un malato di cancro inguaribile, un soggetto che abbia accettato la sostituzione di un organo, o un prigioniero politico che abbia tentato il suicidio o sia in fin di vita per uno sciopero della fame, la sollecitudine della pratica medica sembra eser~ citarsi con modalità tecniche identiche. Questa disponibilità della tecnica ad essere impiegata per ogni uso non viene qui richiamata per riproporre i consueti discorsi sull'alienazione, ma semplicemente perché il linguaggio (verbale e non verbale) di questa tecnica sembra il linguaggio dominante della vita sociale, è il linguaggio che tende a sostituire i linguaggi tradizionali, la cui sparizione è quasi sempre oggetto della critica umanistica. 11 problema è che questa critica sarebbe più che lecita se, con le proposte parziali (che si riferiscono a varie improbabili possibilità di controllo dei pazienti sulla propria sorte) non tendesse a nascondere il carattere diffuso e totalizzante di queste pratiche. Quotidianamente i media diffondono immagini di morte, parlano della morte.fanno vedere la morte (dall'incidente stradale fino alla fucilazione dellUtah, alla grande carestia, all'agguato terroristico) senza risparmiare dettagli. In opposizione a questa profusione di morte attraverso i vari canali di comunicazione, la morte rimossa nell'esperienza sociale come in quella istituzionale, è la morte tradizionale, la morte di una società che forse è già scomparsa. L'aneddoto riferito da IIlich, in cui la nonna ultranovantenne di Brillat-Savarin chiede al nipote, prima di morire serenamente, un ultimo bicchiere di buon vino rosso, non è certamente immaginabile nelle condizioni in cui si muore prevalentemente nelle società occidentali. Università L'antropologia, e in particolare quella della morte, offre delle prove paradossali dell'inevitabilità di un silenzio metalinguistico sulla morte. È solo da una prospettiva esterna ed estranea che l'antropologia può innestare le sue procedure conoscitive in una formazione culturale. E soprattutto nella fase di dissoluzione e di morte delle culture, l'antropologia riesce a rendere conto, sovrapponendo la sua presenza recuperatrice, delle strutture e dei processi culturali. È alla luce del tramonto, come scrive Robert Jaulin, autore di un libro sulla cultura della morte nel Ciad, La mort Sara, che l'antropologia ricostruisce la centralità del pensiero primitivo sulla morte, dei rituali di passaggio e delle pratiche mortuarie in. una cultura. Mentre l'antropologia della morte ricostruisce il significato e la funzione di una cultura funeraria tramontata, nel mondo contemporaneo il dominio politico-sociale produce forme di trasformazione della realtà individuale e collettiva che investono anche i settori dell'esperienza più incomunicabili e privati. Ciò che sembra tramontare nella nostra cultura, ammesso che questa parola abbia ancora un senso, è la capacità di legittimazione dei discorsi tradizionali, non la capacità di legittimazione e di creazione di realtà del discorso scientifico. Nella condizione dominante della vita sociale contemporanea (la specializzazione e l'impossibilità di controllo dei linguaggi parziali, la formazione di un complesso umano tecnico in cui i processi di ordinamento del mondo, di formazione dell'esperienza e di legittimazione sono radicalmente nuovi) la vecchia attrezzatura morale, che costituisce ancora oggi una risorsa nei di-· scorsi sulla morte, non sembra più utilizzabile. In luogo di un improbabile ritorno al passato, al calore e alla comunità delle pratiche tradizionali di celebrazione della morte, ciò che si rende necessario è il compito della comprensione del ruolo che le moderne strutture di formazione della realtà giocano nella trasformazione dell'esperienza, compresa quella della morte. Cattedre «QUQfÌ;~g~PQ~.,fl~~i9 ••• » Aldo Fasolo Anatomia umana (Torino) Dal 1972 sono incaricato di Anatomia umana presso il corso di laurea in Scienze Naturali della Facoltà di Scienze di Torino. In questi anni mi sono trovato di fronte a numerosi problemi legati sia al significato di questo insegnamento all'interno delle scienze naturali, sia alla metodologia della disciplina. Infatti l'anatomia, storicamente ben delimitata nell'ambito delle materie morfologico-descrittive, a èarattere tradizionalmente propedeutico rispetto alle discipline fisiologico-funzionali, rischia di inserirsi nel curriculum dei naturalisti come una congerie di nozioni e descrizioni fondamentalmente verbalistiche, dal momento cne nella Facoltà di Scienze l'insegnamento è privato della verifica legata al lavoro pratico di dissezione del cadavere, che caratterizza (o dovrebbe caratterizzare, almeno a Medicina!) l'Anatomia. Da una parte il corso ha allora perso il suo carattere eminentemente empirico e dall'altro non ha stimolato una impostazione metodologica più ampia e articolata, tale da situarne l'insegnamento nella biologia moderna. L'anatomia infatti presentata come pura descrizione (un tesoretto di nozioni da spendere quando si studia la fisiologia) porta in realtà solo contributi modesti alla formazione culturale e professionale dello studente in Scienze naturali, che nel suo piano di studi trova ben pochi altri spazi per ampliare il suo bagaglio culturale biologico. Le soluzioni da me adottate variano di anno in anno per correzioni successive. Fondamentalmente svolgo una trattazione di tipo anatomo-funzionale, in cui vengono proposti approfondimenti in alcuni settori di interesse più generale (neurologia, embriologia) o accentuazioni su livelli particolari di analisi (anatomia microscopica).Tendo inoltrea sottolinearei collegamenti con altre discipline di tipo anatomo-funzionale (anatomia comparata, antropologia) al fine di poter far comprendere in termini evolutivi l'adattamento fisico dell'uomo e la sua prospettiva biologica. Questi collegamenti mi sono inoltre molto utili per discutere criticamente con gli studenti quelle impostazioni di tipo riduzionistico o «socio-biologico», oggi molto divulgate, e per evidenziare i diversi livelli di analisi (da quello molecolare a quello socioculturale) segnalandone le relazioni, ma anche gli ambiti di autonomia e specificità. Infine, considerando che gli studenti di Scienze naturali sono destinati in gran parte ad un ruolo di insegnamento, alcune delle tematiche prima citate vengono proposte con ampi riferimenti alla didattica ed ai suoi problemi concreti nelle diverse fasce della scuola e sono gestite dagli studenti stessi. tJimpegno didattico richiesto è decisamente notevole, anche quando (come spesso avviene), alcune pani dell'ambizioso progetto iniziale vengono ridimensionate per limitazioni di tempo o difficoltà organizzative. Il corso si struttura in lezioni ed esercitazioni pratiche tradizionali, destinate a presentare le parti del corso di anatomia microscopica e macroscopica più istituzionali (e che pur devono essere fatte e bene, per dare concretezza di contenuti agli approfondimenti successivi), ed in attività che implicano la partecipazione diretta degli studenti. Queste ultime attività, che vengono fiscalizzate e che sono svolte da gruppetti di due-quattro studenti, sono destinate alla preparazione - sia per quanto riguarda la bibliografia ed i contenuti, sia per quanto riguarda i materiali di appoggio (diapositive, schemi, tabelloni, ecc.) di lezioni «tipo», a taglio interdisciplinare o transdisciplinare destinati alla scuola (es. le basi anatomiche del linguaggio, cervello e memoria, stazione eretta e apparato locomotore, evoluzione della masticazione, occhio e vista, il parto, ecc.). Queste lezioni «tipo» sono dapprima discusse con me, poi presentate ai compagni di corso ed infine (quando ciò è possibile) vengono realizzate nella scuola, scegliendo ovviamente il grado di approfondimento e l'approccio didattico, a seconda della fascia scolare interessata. Ora, poiché questi interventi non possono fornire una reale professionalizzazione ai futuri insegnanti, pur portandoli in contatto con alcune problematiche della professionalità stessa, affianco al corso vero e proprio un laboratorio. Questo laboratorio, ad orientamento didattico, da due anni sta realizzando, in collaborazione con una scuola elementare, un tirocinio didattico su «gli organi di senso», un tema molto importante non solo per l'anatomia, ma più in generale per l'appropriazione dello schema corporeo e delle premesse fisiologiche dell'osservazione da parte degli scolari. In questo caso gli studenti del laboratorio preparano anche materiali sperimentali, schede, tests. Nel valutare i risultati acquisiti, tengo ovviamente conto delle attività supplementari svolte dagli studenti. Per le parti più istituzionali del corso gli studenti fanno riferimento ai numerosi libri di testo disponibili (facilmente reperibili nelle biblioteche universitarie) oltre che ai materiali bibliografici, alle schede, ai preparati istologici La co11fezio11e. Palmira: «Al mattino mia madre mi prepara gli inserti dove va infilato il collant, così poi, quando mi alzo io, faccio prima•. Due figlie. di età inferiore ai 20 anni, sono entrambe impiegate in calzifici. Il marito è idraulico. La confezione è l'ultima operazione prima dell'imballo e della distribuzione. Il marchio varia di volta in volta. ed alle illustrazioni da me presentate_ Al fine di valutare le capacità di sintesi, collegamento ed esposizione, gli studenti possono inoltre (è opzionale) sorteggiare uno-due giorni prima dell'esame l'argomento di una elezione>, da svolgere assieme all'esame. Un obiettivo importante dell'insegnamento è altresi l'acquisizione di capacità di decodificare problemi e linguaggi scientifici in problemi e linguaggi della vita quotidiana e di dimostrare una certa autonomia interpretativa di fronte a quelle immagini (schemi, fotografie, ricostruzioni) che spesso nella nostra scuola perdono il loro valore simbolico per acquisire una sorta di autosufficienza, del tutto slegata al reale. (Un esempio efficace è la doppia elica del DNA, che nei nostri libri è diventata una pura connotazione grafica, impoverita dei suoi veri significati biologici). Per capire un poco come queste difficoltà linguistiche ed ideative si configurino nei miei studenti, quest'anno ho tentato una sorta di test di ingresso, a compilazione anonima, ma destinato a meglio calibrare il mio intervento didattico complessivo e a farmi richiedere poi, in sede di esame, quel che ho dato veramente, non quello che avrei voluto dare. Luigi Ganapini Storia d'Italia del sec. XX (Trieste) Sono incaricato di Storia d'Italia del sec. XX alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Trieste. Il mio insegnamento rientra nel novero di quelli istituiti per il corso di laurea in Storia; quello - secondo l'Espresso e Sylos Labini - che ha due docenti per studente. 11 tema di quest'anno è la «storia sociale del movimento operaio in Italia nella seconda metà dell'800>. Un pretesto per discutere con studenti e colleghi non tanto delle mie ricerche, solo marginalmentein questi tempi attinenti questo tema, quanto di orientamenti storiografici più complessivi. Come se la ricerca in corso mi coinvolgesse troppo a fondo per offrire agli studenti l'appoggio e il punto di vista generale necessario alla loro preparazione. La mia è allora una proposta di lettura, o di rilettura, di quegli studi che hanno affrontato il movimento operaio non dal punto di vista dell'organizzazione (sindacato o partito poli-
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