-~ ::: .e, .e, ~ e:, .... Intervista M. Kundera Amber Bousoglou (da Le Mollde, 19 gennaio 1979) I ti1Jtorida Lei espressi nel 1967 al Congresso degli seri/lori le sembrano ancora giustificati a undici anni di distanza? «Dopo l'invasione russa del 1968, circa duecento scrittori sono stati condannati al silenzio assieme anche a tutta la pleiade di cineasti cechi ammirati a quel tempo in tu/lo il mondo, a decine di pillori, attori, sceneggiatoridi teatro. Sono stati licenziati migliaia di uomini di scienza (tra cui centoquarantacinque storici) ·centinaia di universitari (cinquanta professori e assistenti della sola Facoltà di lei/ere di Praga), e decine di migliaia di sconosciuti che lavoravano nelle scuole, nei licei, nei giornali, le amministrazioni, gli uffici, i laboratori... Unaparte è statamessa in prigione. Altri sono statiperseguitati a morte (tra questi, due poeti Stanislav Neumann e Jiri Pistorache si sono suicidati). Il mio amico, il romanziere Jan Prochazka non ha resistitoalla violenta campagna di calunnie lanciatecontro di lui da tutti i mass-media. Il filosofo Jan Patocka, figlio spirituale di Husserl, è morto dopo un interrogatorio nel suo lei/o d'ospedale, ecc.).Alcuni sono stati costrelli ad emigrare, come i celebri registi di teatro Otomar Krejca e Alfred Radok, il più grande direttore d'orchestra ceco Karel Ancerl, i nostri cineasti Milos Forman, Jiri Passer, Jan Nemee e Vojtech Jasuy. Ma la maggior parte è rimasta, privati dellapossibilità di esercitare la loro professione o qualsiasi altra allività intellelluale. Da allora la situazione non è cambiata. « Dopo il Ìallimento della rivoluzione del 1848, in tu/lo il periodo più oscuro dell'impero austriaco, solo due professori cechi sono stati allontanati dal/' Università di Praga. E fu uno scandalo! «Sto pesando le mie parole: per la sua durata, la sua ampiezza, il suo caral/ere sistematico, il massacro della cultura ceca dopo il I 968 non ha l'uguale nella storia del paese dallaguerra dei Trent'anni». Hanno voluto asfissiare l'azione politica, riformatrice, degli uomini di cultura? «Se così fosse avrebbero potuto allontanarli dalla vita politica lasciando loro comunque la libertà di lavorare nellapropria disciplina. Ora, essi sono stati e sono liquidati assieme a tu/la la loro auività professionale. E non solo quelli che si sono impegnati nella Primavera di Praga. Da dieci anni in Cecoslovacchia non una sola personalità culturale importante, sia essapolitica o apolitica, comunista o anticomunista, . ha più il diritto di far sentire la sua voce». Nessun regimepuò fare ameno della cultura. Una volta stabilizzata la situazione politica, non crede che saranno recuperati tutti quelli che sono stati allontanati? «Le personalitàjdella cultura non sono soltanto allontanate o 'punite', devono cancellarsi dalla memoria. Invano si cercherebbero i loro nomi sui libri che fanno ad essi riferimento. Sono scomparse assieme a tu/lo ciò che hanno fatto durante la loro vita. Di conseguenza, trenta o quarant'anni di storia culturale cecasono diventati irriconoscibili. Si immagini che in Francia, da dieci anni, non si sentano più i nomi di Malraux, Lévi-Strauss, Aragon, Soulages, Godard, Messiaen; o che si siano costrel/ele letterefrancesi a fingere di non aver mai conosciuto L'essere e il nulla, La cantatrice calva, Le parole e le cose; o che si siano messi in prigione dei cittadini francesi perché avrebbero diffuso clandestinamente copie manoscritte di poemi di René Char o di piéces di Beckett. « Di solito si dice che cose del genere sono solo la conseguenza secondaria e accidentale d'un grande conflitto politico. Cerchiamo di dare una spiegazione differente: il soffocamento della primavera di Praga non era il pretesto sognato per distruggere, del tutto intenzionalmente, la cultura ceca? Tragga tutte le conseguenze da questa evidenza: da noi non viene massacrata la cultura dell'opposizione, ma la cultura e basta». Mellendo l'accento sul/' aspello culturale della situazione, Lei rischia di ridurre quest'ultima allasola élite intelleuuale. «Si è appena finito di organizzare a Praga, conformemente al calendario del/' Unesco, un'esposizione di documenti su Carlo IV, imperatore romano e re cecoslovacco del XIV sec., fondatore dell'Università di Praga, la prima università a Est del Reno. Le autorità non pensavano che la popolazione sarebbe affluita da ogni angolo del paese, trasformando l'esposizione in una gigantesca manifestazione silenziosa. Non è un'élite, ma tutta la nazione che è pronta a difendere la sua cultura e la sua storia quando le vede minacciate. « La persecuzione mi ha liberato dal solito complesso dell'intellettuale a riguardo della politica, la quale gli sembra rappresentare la vera vita, la cultura non essendo, lei, altro che una torre d'avorio. La cultura è la memoria del popolo, la coscienza collelliva della continuità storica, il modo di pensare e di vivere. I libri e i quadri non sono che lo specchio in cui questa cultura profonda si rispecchia, si conserva. Non voglio negare il contenuto politico della 'primavera' di Praga e de/l'invasione. Ma ciò che rende la situazione eccezionalmente drammatica, è ilfallo che essa travalicai limiti della semplice politica. I popoli sopravvivono ai cambiamenti di regime. Ma svuotando una nazione della sua cultura, cioè della sua memoria e della sua originalità, la si condanna a morte. Certo, è un processo a lungo termine, ma è solo di questo, in definitiva, che si tratta». • Il comunismo vuole liquidare le nazioni che si richiamano a lui? « Il vocabolario politico non è che una mistificazione. Io non parlo del comunismo, ma del totalitarismo russo. L'aggressività culturale è inerente alla sua definizione. Lo so sin dal I 948: la religioneperseguitata, ilmoralismo sentimentale, fustigante la natura faceta e scherzosa dei cechi, i due terzi dei giornali pieni di notizie del/' Urss, il nonno Gelo dei racconti di fate russi che a Natale prende il posto del nostro piccolo Gesù tradizionale, gli abbracci e i baci delle autorità che ripugnano al mio popolo piuttosto portato alla discrezione, l'ammirazione obbligatoria per tutto ciò che è russo, compresi gli zar. « Dellastoria della cultura ceca non è rimasto che ciò che lo spirito del iotalitarismo russo poteva digerire e integrare. Eliminata dunque tutta la tradizione cattolica (radicata nella grande epoca del barocco del XVI/ secolo), ma eliminato anche lo spirito dell'ateismo europeo (con tutto quanto esso comportava di libertino, di agnostico, di scettico, d'immoralista), censurate le 'perversioni occidentali' (l'opera di Kafka, il surrealismo, la psicanalisi, lo strulluralismo, etc.), e tutto ciò che fonda la coscienza naz_ionalemoderna; così è scomparsa dalla storia, assieme alla sua opera filosofica e sociologica, la gigantesca personalità di T. G. Masaryk, il fondatore della repubblica cecoslovacca nel 1918». Lei ha ripetutamente detto che la cultura ceca, anche a/l'interno del sistema importato, è giunta a una realizzazione considerevole! «È nel 1936 che ebbe luogo in Cecoslovacchia la celebre conferenza internazionale che mirava a riabilitare l'opera di Kafka nel 'mondo marxista'. Dopo l'invasione del '68, i Sovietici, nei documenti ufficiali, hanno denunciato quest'impresa come il punto di partenza della controrivoluzione. Dal loro punto di vista, non si sono sbagliati. La bauaglia per Kafka rivelava l'ala più intellettualedi quel vastomovimento esteso a tuna la nazione e che difendeva con accanimento il suo modo di vivere: nella maniera di vestirsi e di pensare, di curare i malati e di difendere gli accusati, di fare del teatro e di educare i bambini, di organizzare il lavoro sui cantieri e di far festa. «Grazie alla forza enorme di questa resistenza culturale popolare, il mio paese ha conosciuto, negli anni '60, uno dei più grandi periodi di creazione artistica. Il cinema e il teatroerano allora tra i migliori del mondo e risvegliavano nel pubblico un interesse che nessun artista francese oserebbe sognare. E tuttavia la struttura del regime era rimasta la stessa, per quanto leggermente indebolita. Coloro che confondono la realtà con il semplice sistema politico (e chi non lo fa oggi?) non potranno mai capire quello che è accaduto allora, e di conseguenza, valutare la vera ampiezza della tragedia dell'invasione che possiamo misurare s.olo in rapporto ai valori distrutti». Lei si è spesso opposto alla qualifica di scrittore dell'Est. Che cosa la infastidisce? « Una inesattezza, all'apparenza anodina, è divenuta una dellemistificazioni di questo secolo. L'Ungheria, la Polonia, la Boemia fanno, da un millennio, parte del destino occidentale assieme alla Chiesa cattolica, il gotico, la riforma, il rinascimento, il barocco ecc. Da una parte dunque e'è la Russia con la sua storia molto particolare, dal- /' altra i paesi dell'Ovest che stanno sotto il suo dominio. Assegnando a questi il nome di paesi dell'Est, si giustifica (geograficamente e storicamente) il loro spostamento forzato nella sfera di una cultura che è loro totalmente estranea». A porre l'accento sulla vostra differenza, non rischiate di isolarvi dagli altri dissidenti russi, nonostante il vostro destino sia lo stesso? « È il contrario che è vero. Io simpatizzo con loro, nonostante il mio destino sia compk1amente differente. Non credo che Bèrdiaiev si sia sbagliato quando ha serino che il comunismo russo deve più a Ivan il Terribile che a Marx: i dissidenti russi si battono contro i demoni della loro propria storia; essi vivono un destino tragico, ma autentico, il loro. Noi, al contrario, siamo privati del nostro destino, risucchiati in una storia che non è la nostra. I contestatori russi si levano eroicamente contro il conformismo ufficiale della societàsovietica. Noi, invece, siamo sostenuti dalla maggioranza d'una nazione domata dallo straniero. È dalla riva d'un'altra cultura che Soljenizin giudica implacabilmente l'Occidente, la cui crisi fu aperta, secondo lui, dallo spirito corrosivo del rinascimento. Io faccio parte dell'Occidente, condivido il suo spirito del dubbio e il suo senso della questione, che rischiano presto di perire sotto il cretinismo delle certezze che l'assediano da ogni parte. I dissidenti, non più dei marescialli russi, non dubitano dellamissione mondiale della loro patria. Malgrado tulte le sue sofferenze, la Russia non scomparirà. Volgendo lo sguardo verso Mosca, l'Occidente potrebbe forse intravvedere il volto straniero dell'avvenire. A Praga invece non può conJemplare che lo spettacolo della sua propria meSMI a morte». Insomma, Lei rifiuta laqualifica di scrittore dissidente. I suoi confratelli cechi, anche. Perché? «Cercherò di spiegarmi con un esempio: dato che la letteratura ceca è stata bandita dal 1970 dalle case editrici, quasi tutti gli scrittori di valorepubblicano le loro opere in un'autoedizione dauilografata con un numero di esemplari molto limitato. Essi hanno delle cose da dire e, contrariamente ad altri autori, non hanno la preoccupazione di cercare dei lettori. Ci si bane per poter leggere ogni esemplare, malgrado i rischi di persecuzione poliziesca. Ma tra i circa duecento lito/i, si cercherebbero invano tesli politici, pamphlets, satire o denunce del regime. Non vi sono che romanzi, poesie, saggi, raccolte di critica letteraria; in breve, una letteratura estremamente personale, alla ricerca difficile dell'originalità, dello stile e degli-aspetti non esplorati della realtà. La lezione è di una portala immensa: la 1ragicitàdella situazione non ha provocato una reazione 'politicizzata' al modo della 'letteratura impegnata' ma, al cont;ario, un'ostilità profonda ad ogni forma di sonomissione dell'arte. Nel momento del pericolo mortale, la letteratura si è rivolta all'essenzialedellasua identitàoccidentale e cioè si è affermata come un'avventura personale che rimette perpetuamente in questione l'immagine sclerotizzata del mondo». Non pensa che nel suo paese l'ane si debba rivolgere alla realtà, cioè impegnarsi nella lotta dei dissidenti? «Il totalitarismo è l'integrazione di tutte le manifestazioni culturali nel/'enorme edificio dell'educazione del popolo. Il concetto di letteratura impegnata è il riflesso di questa gigantesca idiozia educativa. L'arte cosiddena impegnata (cioè sottomessa a un programma politico) non si rivolge alla realtà, ma la dissimula sotto una interpretazione prefabbricata. Fa parte di quella tendenza potente e nefasta (che non risparmia l'Occidente) che vuole nascondere la vita concreta a favore di un sistema astrano, ridurre l'uomo alla sua sola funzione sociale eprivare /'arie dell'incalcolabile. Cheprenda parte per gli uni oper gli altri, l'arte che si mette al servizio di una finalilà politica non sfugge a quell'incretinimento generale». La sua diffidenza a riguardo dell'ideologia mi ricorda un passaggio di Il Valzer degli addii Jakub, vecchio comunisla poi opposi1ore,sul punto di emigrare, è tutto a un trailo assalito dai dubbi: «egli credevaancora di sentire il cuore che baueva nel petto del suo paese. Ma chi può dire cosa senliva realmente? Era un cuore? Era forse una vecchia sveglia? Una vecchia sveglia sgangherata che continuava a segnare un 1empo inesistente?». «Tra la vittima .e il carnefice, tra il rivoluzionario e il poliziono, tra la burocrazia e il dissidente, esis1euna connivenza di vocabolario, delle ossessioni, degli s1ereo1ipimentali che restringono, diminuiscono, limilano la nostra visione dell'uomo. Io simpatizzo per la vittima contro il carnefice, per il dissidente contro la burocrazia, ma, per avvicinarmi alla verità,è necessario che io spezzi lo streno cerchio della loro disputa che pretende falsamente di essere il cuore del reale. Jakub ha vissuto nell'universo appiattito della polilica e ad un tratto intravvede (troppo lardi e solo per un effimero secondo) tutte le possibililà dell'uomo che gli erano sfuggite: la bellezza, la natura, il sogno, l'amore, l'inespresso. Questa subi1anea rivelazione delle dimensioni perdute dell'uomo, ecco, questa è l'immagine che mi ossessiona>. «E tuttavia non intravvedo alcun chiarore allafine di ques10cammino di violenza», ha scritto Aragon nel 1968 nella sua famosa prefazione a Lo; scherzo «L'Europa centrale, la mia pa1ria multinazionale, oggi è tagliata in due, dimenticata e bandita dalla nozione s1essadi Occidente. Pertanto è lei che ha impresso al mondo quasi tutti i grandi impulsi intellenuali del nostro 6ecolo, dalla psicanalisi viennese allo struuuralismo nato a Praga. È lei che ha posto, e per la prima volta, la questione della mone del/' Europa: negli ultimi giorni de/l'umanità visti da Karl Kraus, nella città senza memoria del Processo di Kafka, nel sorriso beato del buon soldato Chveik~nell'analisi della Degenerescenza dei valori di Hermann Broch, nei robol di Karel Capek, nella villa X di Tibor Déry. L'Europa centrale, questa regione di piccole nazioni fragili e onnai familiarizzate con l'idea della loro propria morte, è da sessanr'anni uno specchio punra10sulla fine dell'Europa occidentale. E se questa fine dell'Occidente è veramente già cominciata nella mia palria allora non mi resta che sperare in una sola cosa: che la sua cultura resti vigile, anche durante l'agonia, affinché se ne tragga una conoscenza inedila dell'uomo e del mondo>. traduzione di Vincenzo Bonazza so. E il diavolo guardava l'angelo ridere e rideva ancora di più, ancora meglio e con più gusto, perché l'angelo che rideva era straordinariamente comico. Una risata ridicola è una catastrofe. Ciò non toglie che gli angeli abbianoottenucocomunqueun risultato. Ci hannomessineiguai con la loro impostura semantica. Non c'è che una parola perdesignare sia la loro imitazione del riso sia il riso originale (la risata del diavolo). Ormai non ci rendiamo nemmeno più conto che la stessa manifestazione esteriorenasconde due atteggiamentiprofondi affatto contraddittori. C'è un primo ridere e un secondo ridere, e noi non abbiamo parole per distinguerli l'uno dall'altro. fanno un girotondo souo i loro occhi. È, con ogni evidenza, un intervallo prima dello scontro con la polizia che protegge una centrale nucleare, un campo d'addestramento militare, la segreteria di un partito politico o le finestre di un'ambasciataI. giovanihannoapprofiltatodi questapausaper mettersi in cerchio e, al suono di una semplice canzone popolare, fanno due passi di fianco e un passo avanti, alzano lagamba sinistra ,, J)()i la gamba destra. sincera e naturale) del cerchio; da questa parte la polizia nella tetra auività dell'appostamento, dall'altra i ragazzi nella gioia del gioco. Danzare in cerchio è qualcosa di magico; il cerchio ci parla dalle profondità millenarie dellamemoria umana. Madame Raphael, l'insegnante,ha ritagliatodallarivistaquestaforo e laguardaconaria pensosa. Vorrebbe, anche lei, danzare in un cerchio. Per tuna la vita ha cercato un cerchio di uomini e di donne ai quali dare la mano per fare un girotondo: l'ha cercato prima nella chiesa metodista (suo padre era un fanatico religioso), poi nel partito comunista, poi nel partito trockista, poi nel partito trockista dissidente, poi nel movimento contro l'aborto (il fanciullo ha dirillo alla vita!), poi nel movimento per la legaliz.zazionedell'aborto (la donna ha dirino al suo corpo!); l'ha cercato tra i marxisti, gli psicanalisri,gli strutturalisti, l'ha cercato in Lenin, nel buddismo Zen, in Mao-Tze-Tung, presso gli addetti allo Yoga, nella scuola del nouveau roman, e, da ultimo, vuole essere in per/ella armonia con i suoi allievi, vuol fare un tutt'uno con loro, il che significa che li obbliga a pensare e dire 5. Una rivista ha pubblicato questa fotografia: una fila di uomini in uniforme, fucile in spalla e sulla testa un elmetto completo di visiera protettrice in plexiglas, hanno lo sguardo rivolto verso dei ragazzi e delle ragazze in jeans e camicie americane che si danno la mano e /\Ii sembra di capirli: hanno l'impressione che il cerchio che dc.,crivono sul suolo sia un cerchio magico, che li unisce come un anello. E il loro petto si gonfia di un intenso sentimento di innocenza: a unirli non è, come un gruppo di soldati o un commando fascista, il fatto di marciare al passo, ma, come fanciulli, quello di danzare. Vogliono sputare la loro innocenza in faccia ai poliziotti. Così li ha visti ilfotografo, che ha messo in rilievo questo contrasto eloquente: da un lato la polizia nell'unità falsa (in quanto imposta, cQmandata) dei ranghi, dall'altro i giovani nell'unità vera (perché
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