Angelo Maria Ricci - Elegie ed epicedi

60 E tu, Naiade bella, che venisti Coll' in1mago di Lei, tu che dal monte Lunigian dalla sel ce or ora uscisti, Deh tu p ietosa alle mie luci un fonte Darai di caste lagrime e pudiche, Di quell' immago cl.t' io vagheggio a fronte. Pace, Isabella mia: se a te nerniche Furon le Parc~e a perdonar non use, Ti arriser l' arti alle camene a1niche; E di ciò n' ablli grado alle mie muse, Che ad emendar cl1iarnaro il tuo destino L' arti, cui fin le tombe Amor dischiuse: Per te d'Alberto lo scarpel divino Finse Genio fede l, che dice quanto D' an1or cantava il flellile Aretino, E sul tuo fido avei sparge tal piauto, Che qui di nuovo ti trarria fra noi, Se in ciel meglio non stessi ai figli accanto~ Or s'aggiunge a' miei fregi, ai fasti tuoi La doppia immago, che scarpel sovrano Scolpì sol uso a figurar gli Eroi; Talchè dirassi: non viv-eano invano Costor , se nell'immagine 'Verace Di questi amico oprò Fahris la mano:

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