Angelo Maria Ricci - Elegie ed epicedi

l ELEGIE E D DEL CAVALIERE FIRENZ E ~6~~~ •Ci•• COI TIPI BORGJII E COMPAGNI IN M Ma DCt:C. XXXV J

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A F,RUTTUOSO BECCI-11 TOSC.t\.NO DELLA I . E R. ACCADEMIA DELLA CRUSCA SEGRETARIO BENEMERITISSIMO PER CUORE PER LETTERE PER CORTESIA IN GENTIL PATRIA ACCETTISSIMO MAGGIOR DE, SUOI TITOLI DEL VECCHIO ITALICO IDIOMA. CHE DAI FONTI DELL" ARNO VIVO FLUISCE PER ITALIA TUTTA CUSTODE INTERPETRE SCRITTORE FELICISSIMO QUESTE DOLENTI RIME ~DI QUALCHE NUOVA LAGRIMA ACCRESCIUTEAL COLLEGA BENEVOLO ALL' AMICO PIETOSO L-' AUTORE INGENUO OFFERIVA PEGNO D' ALTISSIMA STIMA ~

'.IN MORTE DI DONNA ISABELLA ALFANI RICCI Sun.t aliquid Manes. PROP. l. l t

Dulcis adhuc vivo marn1ore vivit amor ISAB'ELLJE • 1\ICCI.lE VIRJL:!S • ANIMI • SANCTIORIS • FIDEI • FOEMl'NAE QUAE • VIXIT • AN•. XLII ANGELUS ·MARIA • RICCIUS ALBERTI • THORWALDSEN • AMICITIA ET • MARMORE • DONATUS TANTI • MUNERIS • IMMORTAI~ITATEM • DIVIDEN& CUM • CONJUGE o INSEPARABILI UNUM • IN • CINEREM • REDITURUS COMMUNE • SIBI • MOlHJMENTUM • FUTUR'UM p . A . :M.DCCCXXIX

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ELEGIA I. IL MONUMENTO Scultor famoso,.* a cui svelò del bello .. Le prime forme un Nurne a Fidia amico, Che cesse a te l'Argolico scarpello; ' r u sol potevi in rnen ch'io piango e dico Innalzarn1i pietoso un rnonumento Che nte raggiunga al cenere pudico Di Lei che fumrni cagion di lamento Sol quando (al1i lVlorte più poteo che Amore!) M'ebbe de' suoi begli occhi il lume spento; Ed io sentii 1nancarmi ogni vigore Da n1e disgiunto, ond' anco il dir n1' è grave Che dir n1olto v orria, Jna non ho core. * Al Commendatore TIIOI\VVALDSE:N, autore del Monumento che si deseri ve.

1.0 T u con quell ' arte che d' oh1Jlio non pave Desti for me e sustanzia al mio pensiero , Onde altrui si fe' noto, e a me soave , Allor che il Genio dell ' Amor sincero Scolpisti su quel sasso, o ve non t ace Il cener caro, e vi scolpisti il vero. Mesto appoggiato alla riversa face · Il veggo sì , che d'una all' altra mano Fa letto, e d ' atnbo al volto, e aspetta pace9 Un non so cl1e di flebile e d' a rcano Gli si diffonde su l sereno viso, E par che aspetti squilla di lontano , - O il suon·che alle nostr' alme il fra l diviso Rannodi in una carne, ond' io nel cielo Un dì l"ivegga il disiato riso. Sotto le man conserte un sottil velo S'avvolge a quella face, e par lavoro D' amorosa farfalla in verde stelo; E questo è il vel cui pieno di decoro Vestì l ' affa ticata anima bella ln questa valle del comun 1nartor o, Pria che tornasse alla natia sua stella, Scorta dnl Genio che in sembianza onora Qui la sua ton1ha, e che abitò con ella ;.

11 Nè tutte al dorso ha ripiegate ancora Quelle piume, ond' avriano invidia i venti Che soglion fidi accompagnar l'Aurora; Poichè forse in quegli ultin1i momenti In che fu tolta all'amor mio Colei Con cui tutti periro i miei contenti, Volea 1)er la pietade insiem con Lei Trar1ni là dove tutto in Dio si vede, E dove in suo candor la rivedrei! Cl1è se un dì l'amor nostro àvrà pur fede l Da questi marmi tuoi, Scultor famoso, Cui ritrarre il pensier Dio stesso diede , Di qua. passando il peregrin pietoso, Dirà fra se: sia pace a Lei che cari Ebbe a1nata del pari e figli e sposo. Cosl per lo scarpel d ' altri men chiari Vissero i non1i delle donne ama te, E n'ehber voti e lagrirne gli altari : Or d'Isabella mia forse le grate Ceneri, lieve sentendo la terra Farsi dalle tue lapidi animate, F ia che balzin di pieta, e se pur guerra Non fa Morte ad un cor che a tutti apria Colei che senza sdegno andò sotterra ;

12 Sorga la generosa anima pia Dalla qu!ete della gelid' tlrna , . Fatta più bella e più gentil che pria; E al haglior della lampada notturna Che ne in1bianca l'avello e finge il giorno, Dolcemente pensosa e taciturna VoJ gendo il guardo riposato intorno, Rivegga il Genio che con Lei movea Di più d'un raggio della vita adorno. E così (fra se dica) esser dovea Quel puro Genio che guidommi in queste Rive, dov'io sol vidilo in idea. Quindi a mirarne le fattezze oneste, Goda quaggiù di soffern1arsi alquanto, Chè il bello è pur tra noi cosa celeste. Ma qninci e quindi al fido Genio accanto Sculte in veder le ·atnpolle lagrin1ali, U' sta de' figli e di me lasso il pianto, Poichè non lice a Lei di noi mortali Le lagrirne asciugar (qual chi s' invola Per la pietade ) al ciel rivolga l' ali, E di te nuovo Fidia, a quel da Nola (r), Che a Lei fu patria e il cener suo non ebbe' E a Buonarroti faccia ne parola;

f 5 Ma poichè tanto di partir le increhbe Da me, da' figli che tremando aspetta Nel dì che tutti ridestar ne d eh be, Saper da lui vorrà l' Anima eletta Se fia qual egli il pinse e tristo e pio Il gran giudizio e l ' ultima vendetta ; Quando la fida Sposa al fi anco mio Meco riprenderà la cara saln1a ; E in un ravvinti nel bacio di Dio , Di te memori ancora avrerno caln1a . 2

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ELEGIA II. I FIGLI Datemi, o figli, quella cetr~, ond' io Ne sciolga a veritade il canto estremo , Temprato all' eco dell' eterno addio. Voi già sapete di qual pianto io gemo, Figli, che più qui non avete madre~, Che me vedete d' ogni forza scemo. Deh! non mi dite, per mia doglia, padre, Fincb.è io non sia raggiunto a Lei che adoro In ciel tra le più fide alme leggiadre. Che se di pianto, o di dolor non moro, O tanto il duol non puote, o qui, miei cari, Sol per voi mi trattengo a gran martoro,

16 E fuggendo me stesso e i giorni amari, E chiamo e cerco invan cl1i mi conforti; E poi men corro ad ~b1lracciar gli altari, E a lui che Prirnogenito de' morti Detto già fu sull'adorato legno, E che nel sangue suo ci fe' consorti, Sciamo: o Signor, se non avesti a sdegno · Due cor di cui facei dolce governo, Deh! mi chiama con Lei, chè a Te ne vegno. Se il nostro nodo far ti piacque eterno, Pietoso Dio, perchè non ci togliesti Ambo in un punto, in un palpito alterno? E tu, Vergine Madre, che .accqrresti ' Tante volte a' miei voti, che fur v~ni Sol ne' momenti più per me funesti, · Dov' eri tu, quand' ella ambe le mani Verso il tuo Figlio alzò, ' ~ercando pace Per c1uanto hanno di forza i priegh.i umani? Poi le avvinghiò' com' edera tenace, A questo collo, e diemn1i il .bacio, ahi lassa! Che su queste n1ie la~ bra ancor non tace; Ed io gliel resi, com'aura che passa Di canna in canna, in un co tal deliro, Clle ogni pietoso i1nm~ginar sorpassa :

t'l Ch'io mi credei nell' ultirno respir<J Confondersi fra lor le nostre salme Per riviver congiunte in uno spiro. Deh per quell'atto delle care paln1e, Perchè tu, Vergin Madre, in qualche stel la Non unisti per sempre alnJen quest' aln1e? Ma se ti piacque far tua fida ancella Lassù nel cielo la Compagna mia, Che forse di mia sorte or ti favella; 1\.bbila se m p re teco, ella tua sia; Chè il tuo Figlio per figlia a te la d·iede Nel ricordo dell'ultima agonia. E tu spargesti della Croce a piede Lagrime di perdono ancor su questa, Ch'è pur del sangue del tuo Figlio eredco Deh Ttl per quanto di pietà ti resta, P el sangue prezioso in cui fu tinta, Abhi teco la bella J.~nin1a onesta, Cl1e in Dio l'ali drizzò dal suo mal vinta Nel giorno a Te devoto in che tornava Dal servizio del dì l'ancella quinta; (2 ) E per lunghi singhiozzi io la chiamava, Ed ella non m' udia, poche faville Di se lasciando a questa ter;ra l)ra-va~ ,2••

/ 18 Deh per quelle tue sante· e care stilie , \Teco l' allbi per sempre, e bea riflessa Di Dio la. luce dalle tue pupille. Chè se tal grazia le sarà concessa, Me pure oblii, finchè di Dio nel seno lo non torni a sposarmi in ciel con essa.~ Ma qualche volta de' suoi figli almeno Dolce ragioni a Te, che le sei tutto, Onde li sca1npi in n1.ar di sirti pieno: N è vo' che la conturbi il nostrò lutto, Ch'altro ne detta il core, altro la mente , E chi tener potrebbe il ciglio asciutto! Chè non conobbe an1or chi duol non sente, Amor che fa pur dolci i nostri affanni; A·mor che parla, e nel dolor non mente. Figli, venite a me; vieni, o Giovanni, (3} Cui ride in volto giovinezza ar~ita, E tra il plettro e il p~nnello i giorni inganni o. Meco a piangere impara in la ro1nita Stanza deserta, e qui ti fia palese Qual sia r1uel patto che ti di è la -yita; .Vien meco all'ara, e il debito che attese Da te la madre, or paga al cener santo Per quella pace che pe_r te già spese;

19 Né t' inctesca stancar la n1ano intanto Sull' immago di Lei, che a nostro danno Sol fu rapita, e noi la5ciò nel pianto; Nè t' arrestar se discorrendo vanno Calde stille a stemprar da' mesti rai Quei color che più vita in Lei non hanno. Figlia, dal lagrimar de h cessa ormai; Figlia infelice, ove l'amor ti chiami, O ve il ciel ti destini, ancor non sai! Pace alla madre tua prega, se m' ami, Ma non la torre a te, per quell' affetto . Cl1e in vita ancor mi tien pe' tuoi legami. Vien qua, Gaetano, che racchiudi in petto Cor di figlio (e ciò basti), alma soave, In ch.e sta il prin1o hen dell'intelletto, Vien meco alternamente a dicer l'A ve, Che quando il dì rinasce, e quando n1uore .A.lla magion di Dio volge la chiave; Poi prendi la matita, e qui, s' hai core, · Alla madre disegna onesto avello, Chè sempre è in pregiociòcheinventa amore. Vieni, mesto Achilluccio•.• oh! come è bello Dol or di Figlio, e 1nercè n'abbi tln giol'·no , Poichè il dolore è dell' amor suggello.

) 20 Deh se a quell'are, a cui t' aggiri intorno, Andrai forse ad offrir l'ostia incruenta Quando i flebili dì fara n ritorno; Figlio in quell'atto i genitor I·ammenta, Che arr1bo più non saranno, e in Dio ravvinti Pregheran pace sulla lor sementa. Dolce ed amaro è il ricordar gli estinti; Chè siam dal cielo al mondo una famiglia, Tutti ad un varco in un vortice spinti. Figli, voi chiuderete un dì le ciglia A me ehe fatto in b.enedirvi roco Me ne andrò, come l) uorn cui sonno piglia ; Nè fia che da' celesti ottenga poco La fìgliuolanza che fu hen·edètta Dal vecchio padre elle le cede il loco. Ed oh veder potessi in quella stretta Pargoleggiar sul n1io letto di morte Una qualche leggiadra bamboletta, Che porti il nome della mia cousorte, }~ in quell' estrerr1o doloroso punto A partirmi da voi mi riconforte! Eppur che dissi! ... io da Colei disgiunto Tutta in voi la riveggo: o figlia; avea La madre tua c1ue' tuoi begli occhi appunto;

2·1 Cos\, figli, le man, così movea Come voi le sue labbra... ol1 rimemht'an.za Che mi torna alla cara e trista idea! Deh m'adducete alla deserta stanza.1· Ond' io sciolga un lamento in nuovo metro, Chè ogni misura di dolore avanza. Splende il mattino in sull' opposto vetro Della solinga cameretta rnesta, Che vide i nostri affanni e il suo feret;roo E passa il Sol pietoso, e non si desta La znia dolce compagna all'inquietoGarrir di conscia rondine molesta, (4~ Che in suo vol si congeda, e sul Sebeto L ' infausta nuova ad arrecar sen vola ~ Già precorsa da un palpito segreto. l\t1isera madre!'... oh Dio! cl1i ti consola In udir la tristissima novella Che toglieratti il moto e la parola? Chè se tal core tu ponesti in quella , Tanto ne avrai pur tu, vecchia infelice , E la ferita t i parrà più fella. Ma poco sente in ver chi troppo dice, Poichè il clolor s'esprime in un sol grido ,.J Oltre cui più sentir, più dir non lice....

l 22 Ah! colei tornerà su questo liùo, Ma la compagna mia per nuova state Più non vedrà l' abbandonato nido. Deh -voi, fratelli miei, voi n1i recate, Già fatto om.hra canora, a quella pietra , ·Che da me forse imparerà pietate. Su quella ton1ba, o figli miei, la cetra Voi mi ponete: io l'ultimo lamento V' intuonerò.•• l'oda Colei dall' etra Che forse di dolor mi crede spento.

ELEGIA III. LA CETRA Cetra , già mio conforto, or ~io rimorso, Che d'altre cure che a te diedi, ahi stolto! Dar poteva a Colei maggior soccorso! Oh come il gaudio in lagrime fu volto! Oh come ogni n1io ben sparì con Lei, Che in un chiuder di ciglia il cor m'ha tolto! Tu sai, mia cetra, qual ne' giorni rniei Tra fortuna ed a1nor, contenti e affanni Con quell' anima bella io di v idei ; E senza parteggiar d'armi e d'inganni Vidi le Corti, e ai Grandi, ai Re non spiacqui, Non audace e non vil nel fior degli anni.

24 Supplicando e laudando il ver non tacqui, E dolci usando libere parole, 'Tra fortt1na ed amor vissi e rinacqui. N è premio a me ne resta, e non men duole; Ch'è gran mercè sentirsi un'alma pura , E aver dell' opre in testirnonio il Sole. Così me tenne per diversa cura Partenope regal con la consorte (Mentre al ciel piacque) d'ogni mia ventura; Finchè dolci parole a me fur porte P el dolce ostel deserto, e sul Velino Tornai, bieca ahi guatandon1i la sorte. E v'addussi la sposa .•• ed oh destino! Chi ·detto allor m' avria, c'h' io la tra~a All'ave l per due lustri a lei vicino! Tal ch.e al tornar dell' infelice idea Maledico gli istanti, in che la rota Verso gli infausti n1argini correa. Ma qui prudente il cor ci tenne ignota La sventu.ra crudel, che pur non era Ne' nostri ozii da noi tanto rimota. Qui con Lei godea pace; eppur se-vera Farsi m.e.co parea talor per vezzo, Come quei che molto ama e molto impera , ' \

E per giuoco io dolean1i , ancor che avvezzo A sì bei nodi, e il vivere beato M' era di servitù soave prezzo. Ed oh , tornar potesse i l dolce sta t o ! Chè libertà d.' ogni dolcezza pri va Non vale i lacci del tempo l)assato ~ Così verso il suo fine ella sen gi va .1 Ed io, pensando al tempo che trascorse, Cantava armi ed eroi cinto d' t1liva; .(6) ) E con1e il dente Longobardo morse La Santa Chiesa, e come a nuovo in1pe1·o )) Carlo Magno vincendo la soccorse. Ed ella, indovinando il mio pensiero, Poneami in seno i figli, e sullo scudo Locarli le parea d'alcun guerriero. Poi l' italo Cultor d ' ogn i arte ignudo A cantar presi, ed i suoi ceppi infra nti , Quando un secol domò feroce e crudo Quel Magno che l e ville cir~ ostanti » Dall' ernpio culto ch e sed usse il mon do Sotto i suoi ritra ea vessilli san ti. E così pago del ten1po g iocondo Con Lei n1 ' avvicinava al t1:. isto gior no, Di cui più trist o non vedrò il secondoo .... .)

\ 26 Per Lei favoleggiando ai boschi intorno Spargeva il suon delle silvestri avene, Che or fa per eco infausta a me ritorno. E d' a1nor mi fingea soavi pene, Mentre una erami Fille, una L icori In Colei ch'era l'unico mio bene. .... Ella frattanto m' educava i fiori, Che del suo nome torneran dipinti A ricordare ogni anno i nostri an1ori. Ah sì! voi tornerete, e sempre tinti Delle lagrime mie, fior, che doveste Esser per sempre col mio sole estinti. t., i ori infelici! e a che restate in queste Misere glebe ad aspettar l' aprile, Care, dolci menloi·ie, or sì funeste. Non era meglio, che la man gentile Di Lei che vi nutrì v'avesse sparsi Del cantor vostro sulla tomba umile? Non era meglio, che foste scomparsi Con Lei che vi nudrì, vaghi fioretti, Cl\' or n1i sembrate sì di luce scarsi? Oh, con1e la seguiano i figlioletti Ministrando per voi frese' onda e pura , O cacciando i voraci, e i tristi insetti!

27 Mentre io l' orn1e premea sulla verzura Delle lor care poste, e già cantando )> Quale si delJba ai fior governo e cura .. Ed Ella interrompea d' alcun dimando I canori precetti, e mi fea lieto, ...... Le mie parole all' opera adattando. Talor non vista per cammin segreto Cacciatrice movea per questa valle, Me lasciando in un palpito inquieto. E la fulminea canna alle sue spalle Con tal vezzo imponea, che la campagna Spontanea rifioria lungo il suo calle. - Ma qual chi pria s'applaude, e poi si lagna, Sull' augellin cl1e lasciò l' aln1a a volo Doleasi, ripensando alla compagna; E sdegnando la preda, alquanto al suolo T enea fissi quegli occhi, ove ogni affetto Ad esprimer bastava un guardo solo; Quindi al telaio si sedea rin1petto, Ed in serico vel pingea coll' ago (Emulo del penne!) vago subbietto, O di donna o d' eroe spirante immago; Ed ol1, potea sè stessa a miglior prova Ritrarre un dì con animo presago!

\ 28 Cosl te pinse, o r.nassirno Canova, Che a lei donasti in pegno tl' amistaie D' Ebe le for1ne nella .creta nuova ; Così, lassa ! nell ' u l tirne ·giornate Del viver suo, sulle trapunte tele Fingea del Sanzio le sen1hianze an1ate. Ma il filo ne troncò morte crudele, O Fidia mio, che a te doveva ognora La man che ti ritrasse esser fedele. Ed io, cl1e folle non vedeva ancora L' atro nembo vici n, le .])elle conche Cantava emule ai fior, care all'Aurora ; E del mar trascorrea l'ime speloncl1é La navicella mia, che già vien meno, Poichè il rio nembo le sue vele ha tronche , Mentr' ella, a cui scorrea già tristo in seno Gelo di rnorte, sorridea soltanto Quand'io le ricorda va il bel Tirreno ! Ahimè ! cl1i mai daJà .vena di pianto A questi ucch.i cb e viva la miraro, Cui vederla ed an1arla era un incanto ! Oh corne dolce in pria, · poi fassi àn1aro Il ricordarsi degli ·anni felici Che tra i diletti dell' arnor passaro ! J . ...

29 Venite, o figli miei, fratelli, amici, Ch' i te accordatldo la pietosa cetra D'un cor trafitto ai pulpiti infelici; Deh, se di voi ragiona ancor sull'etra Colei che dividea meco un sol core, Se per voi l)ace e lunghi giorni impetra, Voi date alle tnie ciglia il vivo utnore, Di cl1e tristo spettacolo son fatto A chi non sente o non conosce a1nore. Che se prezzo di pace e di riscatto Son le lagrime pie, nel crudo verno Dureran de ' 1niei dì, quanto (fU Cl patto Che tra 'l cielo ed il mondo l1a in m nn l'Eterno. 3..

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ELEGIA IV. LA VISIONE Genti ed amici, che passa t~ innanzi A me che piango, per pietà mi dite Se v'è do l or, che il mio dolore avanzi .. Io son qual tronco di recisa vite, Cui tolta la metà del verde stelo, Piange e gern1oglia dalle sue ferite. E v o cercando la Consorte in cielo, Fiso negli astri e nelle avverse stelle, Che forse incontro a me le fanno velo. Poi co1nposte le 1nan sotto le ascelle, , Quelle luci de] cieln1iro e rirniro, Che non mi sernbran come pria sì belle ;

/ 52 E prorompendo in un lungo sospiro, Grido: IsabelJa mia, dimmi ove stai ? E la riveggo in un gentil deliro Tutta amorosa, cl1e da' suoi ]le' rai Fuga d'intorno a se la notte avara, E poi mi dice: O Angiol :rnio, che hai ? Per pietà di quel Dio, elle ne ripara Da' neri ahissi, e pel pregar di Lei; Per lo cui norne la vita t'è cara, Io venni in parte, ov' è che ognun si h.ei Di Dio nel seno, e a voi son pur vicina Quando n1esconsi i vostri ai voti miei. lo per te prego Lei madre e regina, Che qui nel ciel fa gli Angioli beati, E a voi mortali è stella mattutina. Serbati, se ancor m' ami, ai dolci nati, Ch.e la tua Diva in terra av-ran per madre, Cui gli ho pel divin Figlio accomandati. Serbati almen per me: nome di padre ' E pur qualcosa a quei, che han core in petto Da me formato ad opere leggiadre.. •·f Di', norr rammenti quante volte stretto- '"fu da languor crudele, a me dicevi: (E per ventura in te 111entia l ' affetto! )

33 Mia dolce amica, i giorni miei son brevi; E mi duol cl1e n'avrai grave martoro, Poichè a' figliuoli miei viver tu devi. EJ essi un giorno, amica mia, se moro, Proseguiranno ad onorarti in terra; E tu, prosiegui a riamarn1i in loro. Io nud' on1brà costante, andrò sotterra Tiepida ancor di tue caste faville; · Ma de' begli occhi tuoi non n1i far guerra ; Ed in ciò dir soletti ..... oh quante stille Di pianto versavam; cl1 ' io mi copria Per non farti più triste le pupille , E dir p oteati appena: Anima 1nia, E avrai tu core di lasciarn1i sola ? Una è la vita nostra, una è la via. Or torna, amico, a te J a tua parola ; Resisti al duol de ' figli miei, s' hai core. Pensa ch' io vivo ancora, e ti consola. Noi pur ra ggiunge oltre la tomba amore , Cui fece eterno in terra il sacro patto Che per volger di secoli non muore : E se a rne pensar vuoi, mira al ben fatto Da me, che fui lca l più cl1e avvenente, Ed or ne ho prtzzo dal comun riscatto.

34 l)eh ti consola, amico, e poni mente A' giorni estremi di mia vita, ond' io l1er quel presa go gel che in cor si sente, Mi staccava dal mondo, e il viver mio Più rnorte era che vita, ognor digiuna D ' altro piacer che d'aver pace in Dio. Ne' cari figli io ti lasciai più d'una Parte di rne, l'ossa alla terra arnica, Che n1i fu patria, e non n1i diè la cuna~ Vivendo io non cercai chi molto dica Di me, chè a' figli tuoi vivea soltanto, E fui di vota arnbizlon ne1nica. Che se all' obhlio mi toglie aura di canto, Il d.eggio ai V ati, onde il mio nome è chiaro, Alla loro pietade, ed al tuo pianto. (7) E se di me cantar vorranno al paro, Da pietà 1nosse, altr'anime cortesi, Cui teco lagrimar non fia disc aro, Sol vo' che dica n cl1e di te m'accesi, Che amai chi più t'amò; che il tuo lamento Armonizzato fra le stelle intesi. Ma s' erger rni volessi un monumento Da clussico scarpello ad eternarmi, Poichè il mio Fidia pria di tne fu spento,

3~ Lisci non curo, o storia ti marmi; Vieni nell' urna stessa, o dolce amico, Vieni, rr.ta tardi, un giorno ad abbracciarmi . Chè nel mischiarsi il cenere pudico, Darà (credi a chi mai non ti mentiva ! ) Qualche favilla dell'affetto antico. Disse..... E come fìamn1ella in bassa riva Fosforeggiando, la funèbre erbetta Con roco sibilio lambe e ravviva, Si scostò, baienò la 1Jenedetta Anima fida, e su i n1iei labbri corse Languido bacio di notturna auretta . Ed io, che m'era del mio stato in forse , Percl1è, Isabella mia, perchè, gridai, Così 1ni fuggi? .... Ella la ma n mi porse , Ma non la strinse a questa mia, che mai Non ne fora disgiunta; e forse io pure Starei con essa, ed avrei pace ormai ! E qui ripresi ..... Oh! se tra l' alme pure Fruir ti piace la luce serena, Vanne; me lascia alle àffannose cure. E se i figliuoli tuoi, che nati appena Sentiron l' onda in cui discese un N unte ) E abbandonar la parte ima e terrena ,

3G Vorrnn, quai farfallette, al dolce lu1n.e Tutti pieni d'angelica virtute Sul tuo petto posar le ~elle piume; Dch lor parla di me, che ho qui perdutè Le rnie delizie; e di' che ai figli tuoi, E che allor padre ormai preghin salute~~ Così diceva; e co' 1le' raggi suoi Da un canto mi feria l'alba novella , Che mesta ritornar parea su noi; Ecl io mi volsi al colle u' l'alma bella Traea gli ultirni giorni di sua vita, l Pallida sì come cadente stella : (8) Là dove innalza l'irto Cenobita La Croce incontro alla città di Rea · Dall'ermo giogo che il Calvario imita ; Meco la figlia 111ia mesta ascendea, L'Ave iterando in tnon devoto e basso Alla Madre di Dio Vergin J essea : Ed io già riand.anc~o a: lento passo L ' orn1e della tnia sposa) e ' ripensando Cotn' ella si sedea sovra c1uel sasso, ' Ve spttnta çtncor la pri1noletta, al blando Sof-fio del vent icel, che va tutto.ra · Di lei q'!-lalche sospir ·forse agitando ,

37 E come tra quell' elci ad ora ad ora Si soffermava, ed io pensoso e stanca. Dalla siepe le offria l' irsuta mora; E con1e per que' scogli ella al mio fianco Sal ìa .... eh i detto al lor m'a vria che ascesa Ahi m eco più non ·vi sarebbe unquanco! Così lungo la r o_ccia Jis<;oscesa All'alta vetta io mi spingea veloce Con la figliuola a confortarmi intesa. Là ci avving.hiamtno ·entrambi a quella Croce, E parole di requie e di pietate Partir da' nostri labJ)ri ad una voce. Quindi a rnirar la suddita cittate Mi volsi, e i tetti e la pianttra erbosa Che sentì l'orme delle poste amate. Feriva intanto l' alha rugiadosa All' ormeggiar della diurna face Il pi11nacol del Tempio, ove riposa Quella ch.e i miei lan1enti ode, e non tace. 4

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ELEGIA v. L' E L OGIO Scendiamo, o figlia, alla città che se1·ba Della tua madre e della mia consorte Il cener santo e la memoria acerba. Vedi come il Velin rapido porte L'onda al T ebro laggiù, dal T ebro al mare? Così sen va la vita in seno a morte. Piagge, o, mentre al ciel piacque, amate e care, Perchè v-oi pure mi tornate in guerra Per sì dolci men1orie or fatte amare? Dunque ancor questa un dì beata terra, Dovunque il guardo giro, a me ragiona Delle amate reliquie che rinserra? 4· .·

' 40 . Questo Sol, che mi guarda e rr1' ahban.dona, Pur mi parla di Lei che tanto amai; Tutta de' suoi sospir quest'aura suona? Eppur que' vagl1i innamorati rai, In ch' io trovar solea calma e riposo, r A questo Sol non si aprir an più mai! Eppur quel lab.hro tenero amoroso, Interpetre gentil di puri affetti, Più non fia che rni chiami amico e .. sposo, Quel ~ q))JJro cl1e n1entir non seppe i detti, Ond' è la vanità ricca d'inganni, Ma che gli ebbe spontanei e sempre schietti! Freddo è quel core, dove i nostri affanni Si tempràr nella pace, e dove appresi D' arnore a sospirar ne' n1iei verd' anni; ,i. Quel cor che a sensi di virtù cortesi Corrispondea con sensi al par fede l i, Che d'un guardo al girar fac ea palesi; Quel c or cl1e era senz' arte e senza ve] i, Cl1e mai non obhliò congiunti e an1ici Fin di rnorte fra i pa] p i ti crudeli; Che diè lagriJne e pane agl' infelici, E voti e doni alla magion de' Santi, Che non conobbe o non curò nemici ;

41 Che negli estremi dolorosi istanti Pace a tutti lasciò, pace che altrui Neppur tolse co' gemiti e co' pianti; Quel cor che in terra, e ne' be' giorni sui Amò quanto Dio fece, e non invano, Per quell ' a1nor che setnpre torna a Lui; Quel cor che il bello dall' eterna mano Impresso, arnò ne' fiori, e fin ne' bruti, Cl1e più vicini all' uomo han senso umano·IJ Ve' come tende a noi gli orecchi acuti ·, Sentendo il caro non1e, il ca gnoletto, Co1ne se pensi e si lan1enti, e fiuti!. .. Oh come r ende affetto per affetto Ciò che ha vita, e risponde ai vivi omei , Che prorompon Ja vivo e caldo petto! - Eppure, o figlia, più non è Colei Che m' ha fitto nell ' alma eterno strale, Nè più la I'Ìvedran questi occl1i miei! Ma no... che in terra, in ciel vive immortale; · Rileggi, o figlia, in queste arene, al1i! l'orme Del piè che non parea cosa mortale. N è qui tutta morì .... cangiate forme, In te rivive, e la versa t il polve In seno alla natura an1a e uon dorme ; . . 4· ·

42 Poi eh è Morte, e,he tutto urta e dissolve, Nulla annienta quaggiù, di quanto un giorno Dio fece amando, e riamando volve Al reparahil vortice d' intorno, In cui vive la vita, e al fin risponde Del Tempo edace e della Morte a scorno; In quest'erbe, in quest'aure, in queste fronde~ Vivon pur le memorie inosservate Di quei che già passar su queste s·ponde, Per cui senso d'incognita pietate In noi riversa tutta la natt1ra, E ne avvicina le persone amate. N è tutte a noi così Morte le fura, Ma per distanza tal da noi le arretra, , Che ·il desir mai non pago, eterno dura..: Così c.ontraria forza urta per l' etra Le innamorate stelle, e sì le aggira, Che l'universo del suo Fabbro è cetra. Ma non è questo fral ch'ama e s'adira, N è questo cor cl1e sente arcani istinti, Nè questa polve, che ad amar ci tira; Anzi qui troppo da vicino avvinti, Da contraria vertigine o deliro Siam per sovercl1io amo1· quasi l"espinti..

45 Sol quello, che in noi mise eterno spiro Del divin Fabbro il sÒffio, in fragil -velo Sente c al or d' affetto, e di ·desiro: Esso sceso dal ciel ritorna al cielo, E 1naggiore del tempo e dell' obblìo Sfida animoso della mol~te il gelo. Così quella, che io cerco, al ciel sali o Di sue virtudi ad ottener la palma, E noi vede, ode , intende, ed ama in Dio. ~ Così la pura affez1on dell' alma, Anche lassù nudrita, a noi ritorna Divinizzata dall' eterna calma; Così forse con noi vive e soggiorna La madre tua, che piena è d'altra vita, Del primo raggio, cl1e creo l la, adorna; E più che a -versar lagrime, c'invita A dar voti per Lei , se mortai senso In Lei per poco ha la virtù tradita; Tal che s'opponga a quel desire intenso, Che a riversarsi tutta la conduce In seno a Lui ch'è nell'amore imn1enso. E poi ch è dappertutto Iddio riluce, Mirala, o figlia, ovunque spande il Sole Una favilla dell'eterna luce: ·

44 Mirala in quelle pallide viole, Che tra la siepe in lor beltà n1odesta Qui moriranno inosservate e sole; Vedila in quell'erbetta un1ile e tnesta Che F urne infiora, su cui par cl1e piagna, E che l ' ingrato peregrin calpesta; l Nella tortore l'odi che si lagna; Nell' usignuol, che dall' antico sito Richiarna ai noti affetti la compagna . . Tutta infin la natura, il colle, il li t o, Quante n' ofli~e soavi rin1en1hranze A chi ha core di padre e di marito! ~ Ma già, figlia, qui siam, che poco avanze · Al dritto calle, u' la compagna rt1ia Passava in fra le pu1Jbliche onoranze. Ed o coppia beata! ognun per via Dicea, cui strinse in bel nodo di rose La concordia degli astri in compagnia. E non ha guari, queste vie dogliose Udir la turba in negra veste avvolta Lungo iterar le salmodìe pietose; E fu vista Colei l'ultima volta, :E'redda spoglia passar tratta all'avello (Ah, pe1·chè l'amai troppo, a me fu tolta! ). l

43 Ecco le mura del vedovo ostello, Da cu.i si dilungar le faci crebre Cl1e nell' andar si ripingean su quello, E n' avean onta le stesse tenèbre , Mentr' ella intanto ai talan1i già cari Dava le spalle su letto funèbre ! E chi tornar potrà 've, non ha guari, Tutto era gioja, o figlia? andia1n dol~nti Con questa prece ad assordar gli altari. c< Dal profondo del cor flebili accenti A Te le~ai, Signore: ai voti n1iei Deh! Tu l'orecchio incl1ina, e a' n1iei lamenti. ~ << Se le colpe dell' tlotn librar tu dei, Cl1i rr1ai fia cl1e sostenga il tuo rigore? Pensa cl1e N u1ne di pietà tu sei; << E percl1è tal sei tu, teco, o Signore, Anch'io sostenni il duro sperin1ento; E perchè desti a noi leggi d' an1ore, « DHlle parole tue presi ardin1ento; Nè dal mattin ver1T1iglio a notte scura Raggio di spen1e in Israèl fu spento. « Chè in Te rnis'ericordia eterna dura, In Te redenz1on, che larga assolve Israèl tutto d'ogni labe impura.

... ' 46 << Signor, che abbracci quanto a Te si volve, Alla cornpagna mia Tu dona pace; E Tu raccendi sulla cara polve. Il lume eterno di tua diva face. >>

BI.EGIA. VI. L'EREMITA Già scorso è un anno, ombra fede l, che in terra Ti vo cercando, e so che alberghi in cielo , Ond' io col tempo e con me stesso ho guerra. Ed or morte colpì col ferreo telo L' Ere1nita gentil, modesto e pio, * Cl1e a noi V'enne stranier sotto altro velo ! Presso al nostro orticel vivea con Dio Nella Chiesetta, innanzi a cui talora Sedevi... (ahi rimembranza l ) al fianco mio ! Dond' io passando all' imbrunir dell' ora Con la figliuola mia, su quella pietra Posar non oso, e ti riv-eggo ancora ! * Il fatto , che si deseriv è nella pres~n te Elegia , e tutte le circostanze biografiche, sono precisamente vere. ,

• ' 48 Or poichè gli astri ascende, e sale all'etra Del novel pereg.rin l' ani1na bella, Che forse pace nel salir m~ impetra; V o' che in quella, ove ·siedi, amica stella, Ti recl1i aln1en ùa questo basso lito Di me, de' figli miei qtlalclle novella. Nè ti sorga in pe~:sier cl1e il buon Ro1nito Forse d'ignoti affetti a te ragioni, Ch' ei pur già fu n1agnanimo n1arito. Sposa avea negli el ve t ici cantoni Divisi in parte dall' ovil ron1ano, Fuor di cui pace aver non panno i buoni; E alla Chiesetta del castel lontano, Sacra alla Vergi n Madre, in sito alpestre . Sovra il ne-voso culmine montano 7 Sen gìa frattanto povero e pedestre, Qual presso alla colomba il suo colombo, Con la consorte; un cor ne unì le destre. Di qua la dura costa aveano a piornbo, Di là diritto ed orrido Lai'àtro, E d'un torrente il querulo rimbombo. Come aspro solco di n1alfermo aratro, Nel mezzo era la 'Via, che in cupo .orrore Nel pendio si scoscende ispido ed atro. . l "'

49 Volgea quel tempo, in che lento mad ore Morde i ghiacci; e qne' giorni eran vicini In cui rei iglon ci tocca il core; E pasciuti degli azimi d ivini, Dall'altare placahil di l\Jaria Ritorna van gli sposi peregrini; Quando quel Dio, che per diyersa via Altri a se tragge in cielo, altri s'avvisa Dalla dolce n1utar terra natìa, Volle cl1e la fedel coppia divisa Fosse in mezzo a l ca mrr1 in della l or vita, Quasi a un batter di palpebre intercisa. Costei la prece non avea com-pita, In che al marito si rivolse appena Nel gu ..clo estren1o in cl1e gli fu rapita; Che il piè ]~ manca sull' inficla arena, E pel1nador dell ' invetrata ghinccia Sdrucciolando nel h3ratro la n1ena; l E a c olui , ch e co n1' e t1 era l ' u b bra cc i a , (Mentre in amho la tema aggruva il pondo) Ltlhri ca sfugge tla Ile vote braccia , :E trahalznndo prrcipite al fondo La sua n1età sovxa se tragge, e seco Fugge dagli occl1i suoi la luce e il mondo; 5

no Talchè ella ahi più non era ! allor che l'eco Reconne in dietro le parole estreme, E l' addio .cl1e suonò di speco in speco; Mentre quei, che il morir più nulla teme, Sovra lei si I·ovescia, e nulla vede... e Quel giorno e più non si trovaro insieme." 1\'Ia infame tronco l' avvinghiò d' tln piede, Come cerbiatto, cui la za1npa arresta Cespo inegual cl1e dalla r·npe eccede. Costui, riverso dalla bionda testa, Tutto invan si rattrappa, e )n suo deliro Lotta or co' venti, ed or con la foresta; Ed oh quanti pensier, quanto desiro.,. S' ahbltiai~o in quell'anima, in etti solo Mancò di padre l' acerbo sospiro ! Ch' e i non avea più padre, e non figliuolo Da far più tristo il suo' destin; chè ucciso Forse più che l' an1or l' avr~])he i~ duolo; Finchè seri tendo se da se diviso, Mancando va nel voto estremo, ahi lasso ! D'esser con lei raggiunto in Paradiso. Ma un Dio pietoso ivi diresse il passo Del peregrin, cui parve uscir remota )Voce feral dal sottoposto sasso. /

5i E poichè chiara è del dolor la nota, Al suono accorse del dogli oso metro, , Teso l'orecchio con pupilla immota; / E sporto innanzi il petto, e un braccio indietro, Afferrando il burron, l'altro a lui stese, Cui fea cespo crudel pensil ferètro. ' E fu d' ogni soccorso a lui cortese, Cui forse increbbe l'" i vedere il giorno, Vedovo afflitto in vedovo paese; N è patria egli avea più '-ve far ritorno, Nè cor hastevol da fissar le piante Nel novello inamabile soggiorno, '"U' sorgean tali rin1embranze e tante Del tristo caso.... Di fuggir risolse L'a-vara terra; e nella vita errante l , Qui d' appresso al Ve lin , fin eh è Dio volse, In rozze lane misero e vetusto Quasi nell' ombra sua poi si raccolse, l Mendicando la vita a frusto a frusto, E picchiando modesto all'uscio altrui, Con umil faccia ch' egli avea d' uom giusto ; Poi di quel pan che da' bisogni sui Tolse, fea cara parte agli altrui figli ; Che cor di padre palpitava in lui! 6.

52 E alla Ch.iesetta, che l'asilo offrìgli, Prezzo pagava di notturna prece, Dissipatrice degli altrui peri gli; E al suo benefattor, di pane invece, Trihuto di benevole preghiere, Per cui tanto altri ottP.nne, e tanto e i fece. Che se tal or tornavél gli in pensiere Il tristo giorno, cd il distacco amaro, ( Chè tai n1e1norie in noi non san tacere ! ) Per le altrui spose intercedea, cl1e avaro Il ciel non fosse sovra lor; nè mai Vano è il pregar di quei che tanto amàro. Tale, Isa1lella mia, tale il rnirai La prece articolar su i 1ab1Jri suoi, Quando in passar tu gli volgevi i rai. E se chiedi perc::c tra' figli tuoi Non vn l se a tr: :·~ tenerti in questa valle, . Tu in Dio beata, tu saper lo il puoi ! Or egli, al nostro Sol date le spalle, Corne colo1nbo, sul cui dorso splende L'iride gen!al della convalle, Viene a te, come quel che molto intende Degli affetti di tenero marito , Là dove amore pe1~ amor si rende,

53 E in Dio ti ri'Vedrà, come in polito Speglio, in mezzo alla luce in cui t' aggiri: E tu, chiedi amorosa al }Juon Romito, Se tutta vivi ancor ne' miei sospiri. 5.•

ELEGIA. VD. IL RITRATTO F abris, tu * che col tnassio{o Canova Culla avesti comune, arte ed ingegno, E me chiami ne' marn1i a vita nt1ova; Chi mi darà carn1e di te sì degno, Che al par de' marmi tuoi suhli1ne e chiaro Passi degli anni miei l'ultimo segno? Chi ... se io cantassi il cor tuo grande, e il raro Scarpe! cui ti reggean le attiche Dive Che le dure animar selci di Paro, * Al eh. Sig. Giuseppe Fabris, autore dei Busti del Poeta e dell' estinta consorte , inviati al medesimo con la creta della ..Naiade da lui scolpita .

o6 l Non sarian p~r queste xnie voci vive, Se non d' nn soffio che le muove e sperde, Tornando a n1e dalle vicine rive ; Mentre che il tuo scnrpel (1uesta rinverde Caduca vita, cl1e al dulor m'avanza, E che non riede alla stagion più verde, E serbi u.' figli miei la mia sembianza, In cui parte dell'anima sincera Si leggerà per tarda rirnembranza. lo son cotne colui, che presso a sera Mira l' immagin sua, che il metro eccede, Ptipingersi e passar sull~ riviera, E volge 11' occl1io indietro e innanzi il piede, E il cielo intanto si fa torbo e il rivo, Cado n l' otnllre maggiori, e più non ve~e; Or tale avviene a me, che canto e vivo Cigno palustre in valle ima e ro1nita, Dacchè dell' amor mio rimasi privo. Ma non tutta serbavi a me la vita, Se della tnia metà la cara immago A questa immago non avessi unita: Ond' io nel marmo riviver son vago Con la mia Donna nell'effigie almeno, Che lagrimando a- couteJDfllar m'appago,

57 E riheo da' begli occhi il bel sereno De' dì passati, in che per suo diletto Cantava i fiori che invidia n' avieno! Or poichè entrò nel vedovo mio letto Il vivo n1armo _dell'estinta . sposa, E più che il dubitar potèo l'affetto, Parve1ni in giù venir l' Ornhra atnorosa Lungo un raggio di sol calando al })asso, Come favilla cl1e su i fior si posa; E in 1nen cl1e il dico sospirando ( al1i lasso!) Trasfonùersi, e baciar candida al pari, E informar tutto, e irradiar quel sasso. Quindi un' aura passar con1e -pe' rari Boschi soffio cl1e increspa la laguna,. · E fiutando il mio vel tro alzar le na;ri: Che se una spera dell'obliqua luna Dolce penètra nel romito ostello, E iml)ianca il caro sasso all'ora bruna, Tutta mi sembra ri~edere in quello Colei c]Je a fianco n1i dormia talora, Come pallido fior sovra i l I'Uscello. E se un bel raggio della prima aurora Seguendo i plenilunii sereni De' color della vita il marmo in fiora,

58 Qual s1 dipinge il ciel per tutti i seni , Tutta scopro Colei, ch.e in un sospiro Giorni mi promettea di luce pieni ; E volgendo le luci avido in giro, Venite, io vo gridando, o figli miei , Chè qui vinta la morte è dal de siro; Venite, o figli, a riV'eder Colei Che a voi fu madre, a me ftt diva amante, Quand'io più che per me vivea per leij Venite a rivedere il bel sembiante 1 Che r11uove e spira (e fo com' ella fea Preste ad un cenno le lor care piante;) Ecco quel crin che l'ebano vincea,. Cl1e le forme yolubili riceve, Per cui sì viva tornami in idea: Ecco la fronte levigata e breve (Co1ne Greco sca~rpel si finse un giorno), In cui par che il pensiero erri più lieve; E il profilato naso , e il men Lo adorno D' umil pozzetta , e la tornita gola, La liscia. gota e il morbido contorno; E il rilevato labbro, in cui _· sorvola Aura di vita, onde fia dato ai '\tenti Che ne tTaggano fttor qualche parola.

o9 Ah perchè gli occhi tremulì arridenti .Non folgoreggian del soave riso Fatti sol d'un riverbero eloquenti? Forse perchè da Lei così. diviso Il ciel m i volle in terra, o che sol dehhe Tanto lume vedersi in Paradiso? O tal segreto alla natura increbbe Cedere all'arte, eh.e alle sue sorelle Le forme offerse, ed i color non ebbe ? Fabris gentil, che le semhianze belle . Togliesti a morte, e per virtù d'Amore Parte della grand'Anima alle stelle, Tu di quegli occhi al divino ~fulgore ( Al1i che duro è l' amor più che la morte!) Forse temevi d' impietrarmi il core, E del se lce imrr1ortal farmi consorte, Co1ne fu di tante altre in quelle forme Ne' prischi marmi Achei non ancor morte? Che in questo marmo l' anin1a non dol"me, E serba a scorno del natìo suo gelo De' nostri amori le faville e l' orxne. Figli, così nel suo leggiadro velo, Ne' tratti di beltà di pudor misti, Cosi la madre vostra abita in cielo! '

60 E tu, Naiade bella, che venisti Coll' in1mago di Lei, tu che dal monte Lunigian dalla sel ce or ora uscisti, Deh tu p ietosa alle mie luci un fonte Darai di caste lagrime e pudiche, Di quell' immago cl.t' io vagheggio a fronte. Pace, Isabella mia: se a te nerniche Furon le Parc~e a perdonar non use, Ti arriser l' arti alle camene a1niche; E di ciò n' ablli grado alle mie muse, Che ad emendar cl1iarnaro il tuo destino L' arti, cui fin le tombe Amor dischiuse: Per te d'Alberto lo scarpel divino Finse Genio fede l, che dice quanto D' an1or cantava il flellile Aretino, E sul tuo fido avei sparge tal piauto, Che qui di nuovo ti trarria fra noi, Se in ciel meglio non stessi ai figli accanto~ Or s'aggiunge a' miei fregi, ai fasti tuoi La doppia immago, che scarpel sovrano Scolpì sol uso a figurar gli Eroi; Talchè dirassi: non viv-eano invano Costor , se nell'immagine 'Verace Di questi amico oprò Fahris la mano:

61 E se un giorno di noi la fama tace, Forse i nipoti a contemplar rivolti, Le ingenue forme pregheranci pace. Che se sudaro un dì gli avorj , e i scolli Marmi spiranti per le Ausonie ville, E i freddi sin1ulacri, e i muti volti, Dalle marmoree attonite pupille, Cui morte di veder fece di vieto, Daran le nostre effigie alcune stili e: E quei credendo che per l' aer cheto Sorvoli ad esse intorno occulto spirto, Godran tocchi d'un palpito segreto Cinger questo di salcio, e qu-el di mirto. .. 6

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• . . ELEGIA VIII. L' ANNIVERSARIO . . Riede l'alba infelice in che fu tolta A me Colei, che or volgen1i uno sguardo Forse dall'alta spera, onde mi ascolta; Io gli ermi ca1npi a lento passo e tardo V o misurando; e i cittadini tetti Ft:tnlan da l unge, ond)io rni volgo e guardo! ... E oh quante rin1emJ)ranze, oh quanti affetti Sento nel cor tornarmi, e tutti insieme Riveggo i noti lt1oghi e i dolci aspetti, E il piè rivolgo indietro, e l'orme estreme Di Lei vo rileggendo ovunque miro Spuntare un fior che di rugiada geme; 6.

64 ;N è véggio altro, dovunque il guardo io giro, Che in rozzi panni per l'erbosa riv-a Errar vaghi fanciulli ..... e qui sospiro! E dico: o voi che la vedeste viva, Quand'ella con materno atto pietoso A voi la mano generosa apriva, Meco venite a mattinar lo sposo Dell'alme che Dio stesso a se marita Nel bacio dell'altissimo riposo i Venite, o fiori primi della vita, Che forse un dì sarete e sposi e padri, E saprete qual sia la mia ferita; Meco·venite, o pargoli leggiadri, Caste fanciulle, cui fin d'ora inclina Prematura pietaùe ad esser tnadri, Meco adZorar la Vittima ·divina, · · Che a noi que' cari che più qui non sono Nel consorzio dell'anime avvicina. Già delle sacre squille il vigil suono Ne cl.tiama al tempio, all'ara, ove si crea Nuova luce di gloria e di perdono. Così dicen~o parvemi in idea Venir la fida sposa di lontano Che per l'arco dell' i1·ide scendea

6n Bianca vestita, e cl allargar la mano Versando i fior su i pingui campi e molli, U' le belle orme sue ricalco invano, E riveder da lunge i noti colli, Cl1e il Velin bagna, e in ch'ella pose affetto, Con1e vite che v' a])bia i sttoi rampolli. Quindi cercar col guardo il caro tetto E quello ahi visto, dechinar per via I trernuli occhi dall' an1ato aspetto, E sovra il tempio umìl sacro a l\tlaria Tutta versarsi, come amor la guidi, Al tenor della mesta salrnodìa, Ov-e il suo cener giace, e par cJ1e gridi A me: lnsso, cl1e fai ? cl1i mi risponde? •.• Ma tacea l ' eco, e più non la rividi ... Qual tortorella dall'amate fr onde A vol passando dirimpetto al Sole, Si ripinge sullago, e poi s' asconde. Pallidi, mesti, e senza far parole I fanciulletti della vjlla intanto Stavan, corne da gel toce he viole: Su i groppi delle ciglia aveano il pianto, E precedeanrni ver le soglie sante, O ve un Dio dell' agnel riveste il manto: 6.. ...

66 Ed era già degli azin1i in sen1biante Tramutata la diva Ostia di pace A cui pendeva il sacerdote i nnante : Ardea sul vacuo tumulo una face, , Sin1boleggiando quell'eterna spera Che non si spegne ancor quando il sol tace.. ~ Tutta al suol si prostrò la grama schiera, E quel che l'uno fca l'altro pur fece Atteggiato alla tenera preghiera: Giunte le rna11 sullabJJro ord!r la prece Volgendo in me lo sguardo ad ora ad ora (Che tutto.. ad innocenza, e ad amor Ieee): Di che, cred' io, che in ciel godesse ancora La bella D onna mia, fatt a itnmortale , Chè cor di n1adre non avvien che mora: · Quando intorno alla facola ferale J3ianca farfalla dal desio portata V id'io lieve aggirarsi e batter l' al e; E fra rr1e d issi con lena affa nnata: " « O ani1nal grazi oso e benigno, In1n1agin vera della Donna n1nata, N è tu sei quella clje a ll' aer n1aligno Quaggiù scendesti; nè son io cb e piume \, -· Vorrei lasso vestir ù' arguto cigno;

67 J.\tla tu correndo intorno al chiaro lume I~ a via ne insegni alla vita novella, Che per arnor ci lega in un volume! Ove sei tu, n1ia tenera lsahe] la? Sei ttl, cl1e 111i deludi, ovver m'additi Il scntier cl1e ne accolga in una stella? Al1! noi siam due, che da contrarii liti Separa alta fiun1ana: eppur que'nodi Non ha disgiunti, onde già fun1mo uniti : Che se dal ciel beato, ove tu. godi, Tornar dovessi a lagrima1~e in terra, E meco a palpitar per tanti modi, Piuttosto cl1e tornarti in tanta guerra Vorrei da te cercar seher1no e difesa In quella tomba che il tuo cener serra : Tu sai come di stella in stella ascesa E tratta al raggio di quel Sole immenso Che ti voleva d'ogni labe illesa, Purgasti le caligini del senso, O gli astri attraversando in caldo in gelo , O Jove accende arnor foco più intenso , Fincl1è salisti a riposarti in cielo; E sai quanto di perfirlo e d'amaro Patisti a me congiunta in uman velo ;

68 Che se di quanto a-vesti un dì più caro , La rirnemllranza ancor dentro ti suona Per quei che dietro a Te, lassi ! restaro, Deh prega p e' tuoi figli, e ~e perdona, Se t~esto in terra, e se i~ amor ti sfido, Che oltra l'ultimo addio non ci abbandona. Io sono augel palustre in vacuo nido, Che sorger vede i nembi e le tempeste, E pace a me prometto, e pace grido. Deh ! se tornando alla magion celeste Per via scontrassi la crudel cometa Che di strano sussulto il mondo investe; Non ti specchiar sul torbido pianeta, Ma guarda e passa, a Dio ne parla, e il patto Gli rammenta dell'iride, e t'accheta ..... Mentr' io così .gernea, del gran riscatto Presso a 11~ altar , converso il sacerdote , l tene, disse, il sacrificio è fatto. Ricominciaron le pietose note: Deh libera, o Signor, dall'ime ed adre Eolge o mai l' alme d' uman senso vote : Sia pace ad Isabella: e qui leggiadre Stille ai fanciulli s'affacciar sugli occhi In t·eplicar: sia pace a chi fu )1laQre.

69 Poscia, qual se un pio fre1nito li tocchi, Che agli affetti del cor volge la chiave, Dolorando prostraronsi a ginocchi; Quando le squille sante annunziàr l'ave, Cl1è a mezzo il corso il sol volgeva l'ore; E un non so cl1e di tenero e soave Fra dolore e ~i età mi strinse il core, La Diva orando che nomossi ancella In che madre sorgea del suo Fattore. Levai gli occhi .... e la tenera Isabella Rividi entro d'un nugolo di rose; E forse l'ora del mattin fu quella In che stanca del mondo in ciel s'ascose.'

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NOTE {I) Era nata Isabella da nobilissima famiglia di Nola, patria di Gio. Marliana da Nola, che visse a' tempi di Buonarro . ti, e fu uno de' restauratori della scultura. (2) Morì nel giorno di sabato, alle cinque della n1attina, il dì 27 settembre 1828. (3) Seg~ono i nomi de' :figli dolentissimi di sì gran per.. dita, indicati secondo i loro studj ed inclinazioni. (4) Nel giorno innanzi alla morte di lei entrò una ron· dine nella camera ddl' inferma. ' (5) E ancor vivente la di lei madre, D. Saveria Ramignani, in Napoli. (6) Nel 1818 lsabell~ si condusse da Napoli in Rieti col suo consorte, che ivi terminò l' Italiade~ scrisse il S. Bene· detto_, accrebbe i suoi lclillj _, compose la Georgica de"' Fiori~ qes quali ella era amantissima e coltivatrice studiosa. Per ri· storarsi d, Ile cure di famiglia si divertiva qualche volLa all a caccia : si distinse nel ricamo a figure, e trapunse diversi ritratti, fra i quali meritò la lode de~ più ahili e fatnosi Artisti il t·itratto del Canova copiato da quello del famoso Lorens , per cui l' insigne Scultore amicissimo del marito regalò a l ei il modello originale dell' Ebe secondo la nu ova maniera. Non molti giorni prin1a dell' ultima sua malattia Isabella aveva incominciato il l'i tratto del Sanzio, ed il conso1·te attendeva a l

72 scrivere un Poema sulle Conchiglie : mentre che pensava di ritornare a N apoli , dispose il cielo che ella fosse tolta alle cure òel marito e dei figli per u,na infern1ità nervina di pochi giorni . Affrontò la morte con sensi di Religione, di ~ietà vera, senza querele, con quel coraggio che ispira ]a fede , con quella rassegnazione onde si distingue chi molto confida in Dio. (7) Varj componimenti poetici d' illustri Letterati amici furono scritti sulla circostanza infelice. Il celebre Thorwaldsen scolpì il n1onumento della Defunta, che fu pure onorata dall' amicizia di Canova; ed il chiarissimo Fabris di lui allievo ~ insigne ha scolpito in marmo il ])usto di Isabella e del Con- .sorte. (8) Non n1olti giorni prima della sua morte Isabella con la sua figliuola e col Consorte fu condotta per consiglio dei medici a respirare aria· più elevata e più sana in un Casino della famiglia de' Marchesi Potenziani posto nella collina detta di S. l\1auro presso i Cappuccini di Rieti, che sovrastano alla città, dal qual sito si ha la più deliziosa veduta delle campagne sottoposte ·ec. dipinte da valente pittor fiamn1ingo.

ELEGIA IX SCRITTA IN OCCASIONE DELLA MORTE DELI,A SIGNORA TERE SA SERNICOLI LEPRI pia e culta gentildonna L~ USIGNUOLOVago Usignuolo, che pietosamente L'aura innamori de' tuoi dolci lai Quanto ahi quanto tu dici a un cor che sente! Tu mi cresci amarezza, è ver .•.• ma guai A chi fu sì dimentico e rit1·oso, Che il tuo linguaggio non intese., n1ai. Ah ch' ei non sarà stato amante e sposo, O che nido ei non ebbe, o fida stanza, O memoria d' un palpito amoroso! l 7

74 Eppur la vita, che, lasso! m'avanza Non è che l'eco or ?isdegnosa or pia O di amara o di dolce rimen1branza; Cui s' accorda la flebil melodia Della tua viva voce, augel romito, Che parli a rne della compagna mia: Tu sei sposo felice; io fui marito Di te felice al par .... tu qui t'arresti Forse sul dtll)hio d' un amor tradito; ~o giorni meno vedo':i e funesti In n1ezzo a grama dolorosa prole, l Cui tolto l'amor suo non so che resti. \ E intorno a ciò che più mi punge e duole s; aggira il fil della volubil vita' E n1' è nemico di riposo il sole; Perciò, conTe tu fai, per la romita Selva rileggo a tln bel raggio di luna · · Le cicatrici della mia ferita, E vo contand·o l' ore ad una ad una, Mentre tu mesto alterni al sospir mio La tua bella canzon dell' ora hru~a .' Tu sei voce del core, e l'aura e il rio A te risponde e la· Natura intera, Che pa;re il soffio modular di :Oio, )

75 Che già pose la vita ove non era, E tutti avvinse d' un amor sì forte, Che ci lega e ci aggira ad una sfera. '\ E la Natura tlniversal consorte, Onde siam tutto a tutti, e io piango ed amo Quei che ravvinse un cor, tolse una morte. E se tu chiami a te fra ramo e ramo La tua compagna col gentil lamento, Io la compagna mia lamento e chiamo ; E con lei spesso replicarmi io sento Nel tuo dolce patetico linguaggio Quante ebbero in amor pari talento: E come un lustro nasce, e questo al raggio Di quel s'accende, e gli si aggira intorno Ne' plenilunii sereni di Maggio; Così con quella a rivedere io torno Quante visser con lei Stl queste arene E spose amanti e riamate un giorno: Ed oh qual foco m' agita le vene! .... Ecco Isabella mia che mi risponde .... Fermati o luna! ah ch' ella a me sen 'riene..• Veggola su r1uell' acque e tra le fronde Di quel rovo, in ch' ei:·sfoga il casto affetto, Passar, lieve specchiandosi nell' onde; 7·

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