Filippo Turati - Il delitto e la questione sociale

113 - dei fanciulli negli opifici, e con ·altri fatti più o meno peculiari al regime borghese. Certo la carestia, uccidendo con suprema violenza la vita, uccide anche la violenza dei singoli, e a questa stregua l'ideale anticriminoso starebbe nell'inanizione universale. Ma non pare che il pessimismo e il neobuddismo alemanno abbiano trionfato abbastanza per rendere pratico un così fatto ideale! Come si spiega dunque il fatterello del Ferri relativo agli anni 1849-1852? Non già col benessere economico che è per se stesso eminentemente moralizzatore - ma bensì colla natura transitoria e fatalmente effimera di quel benessere, il che è ancora miseria. Gli effetti mòrali del!' agio economico, lo dicemmo, sono "essenzialmente mediati, sviluppansi per l'educazione specialmente dei fanciulli, e quindi non si fanno notevoli se non dopo una generazione ; esigono garanzia di durata nel benessere stesso, diminu- ·zione d' orarii, adattamento graduale dei lavoratori alla nuova condizione, onde il beneficio non si converta in disordini ma in miglioramento morale. Finalmente: crede il Ferri che la sua, come egli dice, « compensazione » o, in altri termini, il parallelismo tra la progressione del benessere e quella dei reati contro le persone,' debba correre simmetricamente illim:tato? Giunto al limite della nutrizione sufficiente e normale, oltre il quale non c'è che I' orgia e l'indigestione, non pare al Ferri che quest' influsso criminoso dovrebbe cessare? Non afferma egli stesso (Verbrechen, pag. 41, n. 4) che già quest'influsso f'. Tu!'ATI: /I delitto e la questione sociale. 81blioteca G1. 1081d.,_ a

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==