Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

111arzo IL MALE RELATIVO. Peter Schneider analizzando le vicende tedesche dopo /'unificazione ci mette in guardia contro i rischi di un relativismo morale ormai diffuso. In seconda e terza. Con I CONFINI DEL DIRITTO proseguiamo il dibattito sullo stato della giustizia in Italia e sulla eventuale necessità di arrivare alla separazione delle carriere. L'intervista è a Luigi Ferrajoli. Ne LA NOSTRA INDONESIA Giuseppe Biasco ci racconta di un sud in cui, accanto a problemi drammatici, cresce uno sviluppo trainato da produzioni di qualità, mercatini, industria del falso e de/l'imitazione. Mentre MEDITERRANEO è /'intervista a Tonino Perno sulla cooperazione tra le sponde di un mare che rischia di soccombere fra conflitti. In quarta e quinta.Ne LA NOSTRA RESPONSABILITA' Vittorio Foa, ci racconta del Partito d'Azione, della lotta alla trascendenza dei movimenti di massa, di una problematica collaborazione coi comunisti fra coscienza dei crimini e amicizia con persone che lottavano per la libertà, di come /'ordinamento parlamentare sia nato spontaneamente, ancor prima della Resistenza, di una politica che forse oggi va ricercata fra i sindaci e le persone indipendenti dai partiti. In sesta e settima. Insieme a IL CODICE COMUNE, intervento di Comi/lo de Piaz. STANCHE DI GUERRA è il racconto di Zajnap Gashaeva, cecena residente a Mosca, messosi in viaggio per la sua terra natale devastata dalla guerra. In ottava e nona. Ne LA PAURA DEL MAESTRO Gianfranco Bellinzona ci descrive l'esito pressoché fallimentare di una riforma nata con i migliori propositi di adeguare la scuola elementare alle esigenze di una società ormai complessa dove un bimbo di tre anni ne sa quasi di più di un ragazzino di venti anni fa. In decima e undicesima. NAZIONAL POPULISMO è /'analisi di Nonna Mayer sulla diffusione della xenofobia in Francia, nonché sul successo del Fronte Nazionale, che è riuscito a raccogliere un elettorato molto variegato, accomunato dalla paura del domani. In dodicesima e tredicesima, insieme alla lettera da Sarajevo di Kanita Fociak. L'UMANA COMPETENZA è la riflessione di padre Lucio Pinkus su/l'impossibilità della competenza scientifica ad affrontare una sofferenza esistenziale aggravata da solitudini e rimozioni. In quattordicesima e quindicesima. CHI DOMANI? è /'intervista in cui Malika Boussouf, condannata a morte dagli islamisti e malvista dai governativi, ci racconta della sua vita da braccata. In ultima. In copertina: Groznyj, Cecenia, gennaio 96. Bianco

un mese 81 Una sinistra che pensa in contrapposizione alla destra. L'abbaglio contro l'unificazione tedesca e l'incapacità a imparare dagli errori. Un servizio segreto il cui operato va al di là dell'immaginazione umana. I dossier che non vanno usati scandalisticamente ma neanche chiusi per sempre. I rischi di relativismo morale. Intervista a Peter Schneider. Peter Schneider, scrittore, vive a Berlino. E' stato uno dei portavoce del movimento degli studenti in Germania nel '68. Fra i suoi libri ricordiamo: Lenz (Feltrinelli, 1978), Dopo il muro (Sperling & Kupfer, 1992), Papà (e/o, 1988), Accoppiamenti (Garzanti, '94 ). Sembra che la sinistra continui a mancare appuntamenti storici fondamentali. Oggi la Bosnia, ieri l'unificazione tedesca. C'è stato poi un qualche ripensamento? Non sono affatto tra quelli che dicono che non c'è più differenza tra· destra e sinistra e so che quando si parla di multietnicità, di tolleranza, di libertà dell'individuo, tra la destra e la sinistra troviamo ancora differenze che resteranno valide per secoli. Quel che trovo profondamente sbagliato è che una presa di posizione, per esempio, quella che il muro dovesse sparire, sia considerata sbagliata dalla sinistra solo perché sostenuta dalla destra. Penso che un buon 80% delle idee della sinistra siano una reazione a quelle della destra e non siano, per ciò stesso, creative. Per quel che mi riguarda, ho smesso di dire che piove se il mio peggiore nemico, che è la Bild Zeitung, scrive che c'è una,,giornata di sole. Mi sono abituato ormai a guardare fuori dalla finestra per vedere coi miei occhi che tempo fa. Riguardo all'unificazione, anch'io ero tra quelli che erano sempre stati contrari. Essere contro l'unificazione, da sempre bandiera della destra, stava nel senso comune della sinistra: bisognava essere solo moderatamente patrioti, per paura della grande Germania, per i sensi di colpa verso il passato nazista. Il muro, si diceva, è la conseguenza storica del fascismo, dobbiamo sopportarlo, è la nostra punizione. E questo lo pensava la sinistra, i ver~ di, gli intellettuali, Gi.inther Grass, tutti. Almeno fino alla caduta del muro, ma anche dopo. E non ci accorgevamo neanche che il muro era stata la conseguenza non già dell 'hitlerismo, ma della guerra fredda, della rissa tra gli alleati .. Io ho cominciato a pormi delle domande dopo che ebbi una disputa, che ho anche descritto in un saggio, con Monica Maron, una mia amica scrittrice di Berlino Est, che, nettamente favorevole ali 'unificazione, era del tutto incapace di comprendere come io potessi essere contro. "Voi volete -mi disse- perpetuare solamente un privilegio, perché quelli che hanno sofferto di questa divisione sono stati solo i tedeschi dell'Est. Voi avete avuto la fortuna di avere un grande benessere, di godere di una ricchezza enorme". Ali' improvviso mi sono accorto che quelli che facevano un discorso moralistico di fatto difendevano solo un privilegio: avevamo lasciato la sofferenza e gli svantaggi agli altri. E tant'è: noi tedeschi dell'Ovest stavamo molto meglio prima dell'unificazione che adesso. Ma né Grass né i verdi hanno capito la verità di questo ragionamento. Grass mi ha detto addirittura, una volta, che lui non ha mai sbagliato, che si fida del suo intuito. "Se fosse v.ero -gli ho detto- non avresti impiµ:ato mai nulla, perché è dagli errori che si impara". E così, ora, loro non potendo più essere contrari all'unificazione -sarebbe molto difficile da sostenere- si attestano su una critica dei modi e dei tempi con cui è avvenuta. E naturalmente è vero che molte cose sono state fatte male, ma altre sono state fatte bene e comunque le loro critiche sembrano nascere ancora dal bisogno di giustificare se stessi, di apparire coerenti con le posizioni passate. Sono poco attendibili, perché non hanno gli occhi limpidi, perché non può essere osservatore obiettivo chi è preoccupato di confermare le proprie ipotesi. Ma affrontare gli errori non è un fatto religioso, una specie di pentimento, l'ammonimento di un dio che intima di confessare un peccato. Devi fare questo confronto solo per pulire le tue idee, i tuoi occhi. siamo stati fortunati a non aver preso il potere Una cosa invece che mi ha sempre fatto molto piacere, e consolato anche, è che ci sono persone che conosco da treni' anni, Daniel Cohn Bendit, Adriano Sofri, Freimut Duve ad Amburgo, Christian Semler, Thomas Schmidt, e un altro era Alex Langer, con le quali in momenti cruciali, come quando è caduto il muro o quando Saddam Hussein ha lanciato i missili su Israele o, ancora, quando è esplosa la cosiddetta guerra civile nell'exJugoslavia -e sappiamo bene che non era guerra civile- senza che ci fosse bisogno di sentirci, ci siamo trovati in sintonia, sulle stesse posizioni, "dalla stessa parte della barricata". Perché? Perché, credo ci sia una spinta, un piccolo motore morale, non ideologico, che ci ha guidato a prendere posizioni comuni. E questo non dipende tanto dall'esperienza di forte politicizzazione fatta allora, nel '68 e dopo, perché questa ha riguardato tanti altri e non sempre è stata un bene. Mauro Rostagno disse una volta: "Fortunati noi che non abbiamo mai avuto la chance di arrivare al potere, perché sarebbe stato un casino tremendo". Credo che questa sensibilità comune, questa sintonia che dura nel tempo, dipenda piuttosto dal fallo che queste persone, dopo l'esperienza politica, hanno cercato di capire perché tanti di questi concetti non andavano bene, hanno portato avanti una critica e un'autocritica, hanno accettato la fine della certezza. Il riconoscimento degli sbagli e degli errori è la condizione necessaria per qualsiasi maturazione. Molti altri, invece, non si sono preoccupati di riconsiderare le cose che avevano detto in passato, si sono adagiati sempre su nuove possibili posizioni. Non si sono mai chiesti cos'è che non ha funzionato, che ne è stato della rivoluzione culturale cinese, si sono appassionati rapidamente ad altre situazioni, che so, a Cuba o al Nicaragua. E così anche dopo il crollo del muro molti non si sono chiesti se era giusto o sbagliato essere stati categoricamente contro lari unificazione, ma hanno preferito passare ad altro. Tutto ciò non è stato facilitato anche da una debolezza del dissenso nella Germania dell'Est? Questo è un fenomeno interessante ed anche inquietante che, con I'eccezione forse della Bulgaria e della Romania, non ha toccato nel la stessa maniera gli altri paesi dell'Est. La maggioranza degli intellettuali degli altri paesi comunisti, soprattutto dopo l'invasione di Praga, non credeva più alla riformabilità del socialismo. Ognuno trovava una propria strada per sopravvivere, facendo quel che poteva fare, ma sempre con una critica radicale, mettendo in dubbio il fondamento di quella specie di socialismo. Chiedevano elezioni libere, pluralità di partiti, anche non socialisti, democrazia. In Germania Orientale sono stati pochi gli intellettuali che sono andati oltre una critica puramente immanente al sistema. Quelli fra i dissidenti che erano rimasti, da Christa Wolf a Heiner Mi.iller, da Volker Braun aGotz Aly, si limitavano a chiedere una riforma dall'interno, ma consideravano reazionario chi diceva di essere contro il socialismo, fino al punto da non voler aver più niente a che fare con lui. Quindi le loro critiche erano sempre molto sopportabili dal sistema. Perché questo? Perché gli intellettuali tedeschi, pur dissentendo dal governo, erano così fedeli, così leali, in modo anche mostruoso, al progetto socialista? Ho solo una spiegazione, onorevole anche, ma molto triste: il legame con l'antifascismo storico era così forte che il socialismo reale, del quale pure vedevano idifetti, appariva loro sempre meglio di quella società borghese che consideravano una prosecuzione del fascismo. Una spiegazione molto triste perché dimostra che lì la libertà era sempre un valore secondario, che c'era sempre qualcosa di più importante della libertà: il progetto, questa strada difficile, ma eroica, tipicamente e appassionatamente tedesca. Ecco, credo che avessero sviluppato quella lealtà mostruosa partendo dalla lotta antifascista. La conseguenza è che i tedeschi orientali, dal '33 all '89, non hanno avuto un giorno di democrazia. E' un lungo tempo che, credo, abbia marcato lo spirito, non solo della gente comune, ma anche degli intellettuali. Anzi, a volte penso che un taxista o un poliziotto possano meglio arrangiarsi con questa nuova democrazia, perché per loro non si rompe il mondo se dicono: "Ho sbagliato, qualcosa non ho capito bene, questi che ci hanno governato non erano la migliore uva del bigoncio". Per un uomo comune tirare questa conclusione senza drammi è possibile, per un intellettuale no. Allora, di nuovo, abbiamo intellettuali che continuano a dire di essere vittime del colonialismo, dell'imperialismo, eccetera eccetera. Il dibattito, cioè, è molto condizionato dall 'autoprotezione, ma, lo ripeto, quando il primo riflesso del pensiero è quello di autodifendersi, non c'è pensiero né dibattito. Va anche considerato che in Germania Orientale con la Stasi era stato instaurato un sistema poliziesco senza paragoni con gli altri paesi dell'Est ... Infatti. Prima di tutto il numero che è molto importante: ora sappiamo che erano I00 mila gli impiegati fissi del servizio e che altri 100 mila erano informatori fissi, anche loro pagati. Poi sappiamo che su dieci milioni di abitanti almeno uno, se non due milioni, una o più volte nella vita, ha collaborato con i servizi segreti. Sappiamo che più di un adulto su due era schedato, che avevano compi lato 6mi Iioni di dossier, alcuni dei quali di I O mila pagine. Sono cifre impressionanti, ma che, Campagna abbonamenti 1996 - 1 abbonamento con il libro La scelta della convivenza di Alexander Langer lire 40.000 - 3 abbonamenti con un libro a scelta tra quelli elencati a fianco lire 100.000 Modalità di pagamento: Cc. postale n.12405478 - Coop. Una Città a r.l., p.za Dante 21, 47100 Forlì. Oppure bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 - Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale, Forlì, cod. ABI 601 O, cod. CAB 13200. Abbonamento estero: 600001ire. Una copia 5000 lire. Si inviano copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì -Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. ■ - Andrea Caffi Crilica della violenza. edizioni e/o - Aldo Cucchi, Valdo Magnani Crisi di 11110 generazione. edizioni e/o - Don Lorenzo Milani La ricreazione. edizioni e/o - Elisabetta Donini Conversazioni con Evelyn Fox Keller - una scienziara anomala. editrice Elèuthera - David Cayley Conversazioni con Ivan 11/ich - un profe1a conrro la modernirà. editrice Elèuthera - Cristina Valenti Conversazioni con Judirh Malina - /'arre, /'anarchia. il Living 1hearre. editrice Elèuthera paradossalmente, indicano anche che ci sono stati molti che non hanno collaborato, che la collaborazione non era una specie di destino tedesco. E lo vediamo anche dai dossier: non ci sono solo gli informatori, ma anche quelli che hanno resistito a tutte le pressioni del servizio segreto, che non hanno collaborato nel denunciare il vicino, il collega. Non c'è dubbio, comunque, che il servizio segreto tedesco orientale è stato una cosa unica nélla storia umana. Non credo che ci sia un altro esempio di un piccolo potere come quello della Rdt che abbia costruito un servizio segreto così mostruoso. Solo uno come Borges avrebbe potuto immaginare, e descrivere, questa mappa segreta della psiche di un popolo. La cosa assurda, poi, è che se hai un servizio segreto così grande e mostruoso, non hai più le persone in grado di leggere tutti questi fascicoli. Infatti, non sono stati in grado di prevedere il cambiamento della storia, il crollo del comunismo. Hanno cercato alla fine di inserirsi nellemanifestazioni, di guidare loro stessi il dissenso, per controllarlo, anche lì erano molto attivi. C'è un libro molto bello su questo, molto riuscito, di Wolfgang Hilbig, intitolato lch, "lo", ed è la storia di un agente del servizio segreto, scrittore di fama, che deve sorvegliare uno scrittore. E' una bellissima storia che spero sia tradotta presto in italiano. più di un adulto su due era schedato Comunque, erano ovunque, questo è certo, ma inutilmente. Essere dove due o più persone si sarebbero riunite era il loro imperativo. Se si riuniva un gruppo di I O dissidenti si poteva essere assolutamente certi che almeno cinque di loro erano legati al servizio, a volte anche di più. Infine va detto che la Stasi era molta diversa dai servizi segreti degli altri paesi comunisti, non solo per le dimensioni, ma anche la qua1ità del servizio. Tanti amici mi hanno raccontato che se ti ribellavi in Ungheria, in Polonia, in Cecoslovacchia trovavi uno del servizio che ti chiedeva di scambiare un favore per metterci una pietra sopra. E' stata una cosa più all 'italiana, un dare e un avere, ed è per questo che loro non hanno sentito il bisogno di riaprire tutto il passato: c'era stata questo bilanciamento, unito anche, senza dubbio, a un certo cinismo. Sei d'accordo sulla pubblicazione dei dossier? Io non sono d'accordo sull'uso che si fa dei dossier. I giornali si gettano su persone che sono state dei piccoli collaboratori, come Heiner Mi.illereChrista Wolf, perché sono famosi, perché sono storie vendibili. Invece tutti gli alti ufficiali che sono stati i mandanti di questo sistema sono fuori discussione. Si fanno vedere in televisione e nessuno li mette di fronte alle loro responsabilità. Nonostante ciò, io sono contrario ali' orientamento, molto forte in Germania e di cui il maggiore sostenitore è proprio il cancelliere Helmuth Kohl, a chiudere completamente con questi dossier. Con quale argomento? Kohl dice: "Se io fossi cresciuto in Germania Est sarei stato un collaboratore e forse un informatore". Questo ragionamento per me è tremendo, è la stessa cosa che ci hanno sempre detto i nostri genitori dopo il nazismo: tu non puoi giudicare perché non sei stato presente. Anche Gi.inther Grass fa ora questo ragionamento, ed è strano perché lui è sempre stato una persona coraggiosa. Ma credo che anche in questo caso funzioni un riflesso condizionato dalla destra, immaginata, per di più a torto, favorevole ali' apertura dei dossier. Ora, io non voglio mandare in galera nessuno, dico anzi che noi dobbiamo essere modesti, non arroganti, che non possiamo dire né che siamo meglio di loro, né che siamo vaccinati contro certe cose, dopodiché, però, sostengo con forza che dobbiamo dare un giudizio. Io non posso dire come mi sarei comportato in una dittatura come quella della Ddr, ma sostengo che se mi fossi comportato come un maiale si dovrebbe dirlo. Perché il problema è così importante? Perché una società che non dà giudizi non ha valori. Dire: "Io non so come mi sarei comportato" significa rivendicare un diritto umano alla collaborazione. E' come se volessimo crearci I' assicurazione di aver la possibilità di tutte le scelte trovandoci in futuro in una situazione analoga. Questo relativismo morale io lo trovo molto pericoloso. E in questa affermazione di non voler giudicare, c'è una continuità, dal dopoguerra ad oggi, che riguarda anche la Germania Occidentale. Ho fatto una ricerca per il New York Times su cosa significa l'Olocausto per i giovani d'oggi. Da una parte ho appreso con entusiasmo che i giovani sanno molto di più di quel passato di quanto ne sapessimo noi alla loro età. Ho scoperto che hanno un' enorme curiosità, che non hanno paura di fare domande, che vogliono sapere tutto, che vogliono capire come è stato possibile, come è stato organizzato anche tecnicamente. Questo l'ho trovato molto impressionante e molto positivo, ma la cosa grave è che loro hanno imparato dai loro nonni, come io dai miei genitori, che non devono dare un giudizio. E non è un caso che i giovani sappiano così poco di quei tedeschi che ebbero il coraggio di aiutare i perseguitati. Nessuno sa che a Berlino, per esempio, 1500 ebrei sopravvissero con l'aiuto di almeno 7 mila berlinesi. Quando li ho messi di fronte a un episodio che conoscevo e che, ora lo dico in breve, vedeva da una parte un soldato tedesco che spara a un ebreo che in ginocchio implora di essere salvato, e dall'altra una donna che poco prima aveva dato da bere a questa vittima, alla domanda su come giudicare, su cosa fare con questi due personaggi, mi hanno risposto che dobbiamo capire tutti e due i comportamenti. "Ma c'è da una parte un assassino e dall'altra una samaritana. Possiamo dare un giudizio o no?". "No -hanno risposto- non possiamo farlo perché non sappiamo come ci saremmo comportati in quella situazione". Questo l'ho trovato molto grave. Viviamo in una società che non educa al giudizio tra il bene e il male. Fra i tedeschi, poi, questo assume un rilievo particolare perché la maggioranza della popolazione non ha fatto parte della resistenza. E quindi fa comodo pensare che non era possibile resistere. Affermare il contrario viene La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti, Franco Melandri, Gianni Saporetti, Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Massetti, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Collaboratori: Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giovanna Anceschi, Giorgio Bacchin, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci, Massimo Casadei, Michele Colafato, Dolores David, Camillo de Piaz, Mirella Fanti, Kanita Fociak, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Franco Melandri, Carla Melazzini, Maria Assunta Mini, Gabriele Minischetti, Morena Mordenti, Lejla Music, Simonetta Nardin, Linda Prati, Carlo Poletti, Edi Rabini, Stefano Ricci, Flavio Ronchi, don Sergio Sala, Sergio Sinigaglia, Sulamit Schneider, Senka Trolic. Interviste: A Peter Schneider: Edi Rabini e Gianni Saporetti. A Luigi Ferrajoli: Sergio Sinigaglia. A Giuseppe Biasco: Gabriele Minischetti. A Tonino Perna: Gabriele Minischetti. A Vittorio Foa: Marco Bellini, Simonetta Nardin e Sergio Sinigaglia. A Zajnap Gashaeva: Mirella Fanti. A Gianfranco Bellinzona: Marco Bellini. A Nonna Mayer: Marco Bellini. A Malika Boussouf: Maria Assunta Mini. A Lucio Pinkus: Marco Bellini. Disegno di Stefano Ricci. Foto di Fausto Fabbri. Pag. 4, di Gianni Fiorito. Pag. 9 di Mirella Fanti. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 29 febbraio'96.

preso come una provocazione, un'offesa. E invece è proprio così: non è vero che non ci si poteva ribellare, non è vero che c'è un automatismo di comportamento. Per questo trovo grave che molti intellettuali pensino di essere di sinistra proponendo la chiusura di questi atti, di questo capitolo, perché è lo stesso discorso fatto dai nostri genitori dopo il fascismo: "Non vogliamo che tutti siano processati". Si tratta di far capire che di fronte a certi avvenimenti della storia non c'è un automatismo nella rassegnazione, nel piegarsi. In ogni situazione e 'è la possibilità di scegliere, anche ad Auschwitz. Ho studiato le vicende dei medici di Auschwitz. Alcuni di loro, mandati lì casomai trovarono delle scuse, dissero che il clima non andava bene per i loro bambini e furono autorizzati ad andarsene. Ci sono sempre queste scelte. Questo relativismo morale, così comprensibile nel caso tedesco perché molto confortevole, trovo che sia molto pericoloso. Ma lo vedi come una tendenza più generale del nostro tempo? Certo. L'assenza, la latitanza degli europei, nel caso della Bosnia, è significativa. Senza gli Stati Uniti non ci sarebbe stato l'intervento. Gli europei, con i loro 15 paesi tra i più potenti del mondo, hanno detto che non potevano intervenire contro i serbi bosniaci. Naturalmente era una cosa poco credibile, ma i cosiddetti esperti ci avevano detto che ci voleva almeno mezzo milione di soldati, che dall'aria non si poteva fare niente, che sarebbe diventato un nuovo Vietnam. Ho intervistato molti ufficiali tedeschi e mi hanno sempre detto: "In Bosnia no, sarebbe una macelleria". il poeta lassù, il giornalista . ~ quagg1u Anche intellettuali intelligenti hanno di colpo creduto a questi generali. Ora che l'intervento è stato fatto, e non con mezzo milione di soldati, ora che ha avuto un certo successo, anche se i rischi di guerra non sono finiti, vorrei almeno vedere tutti questi commentatori ammettere di aver sbagliato. Nessuno lo fa. Di nuovo non si analizzano gli errori. Così non si impara la lezione. Della polemica con Peter Handke, puoi dirci qualcosa? Per me Peter Handke è ridicolo. Ora fa finta di essere controcorrente, mettendo indiscussione una presunta descrizione ufficiale della guerra diffusa da un'opinione pubblica internazionale del tutto antiserba. Questo quando si può documentare benissimo che francesi, inglesi, italiani anche, la stessa Unprofor all'inizio, tutti erano filoserbi. C'era un pregiudizio positivo, per nulla negativo, nei confronti dei serbi, che erano stati gli alleati delle forze anti-naziste nell 'ultima guerra. Anche tutti i reporter che ho conosciuto a Sarajevo in un primo momento dicevano: "Ma io non credo alle cose che si sentono sui serbi, io voglio avere delle controprove". E, dopo due o tre settimane, le stesse persone, fra cui tanti americani, le incontravo a Berlino e mi dicevano: "Mi dispiace, è tremendo, però quelle storie sono vere". Adesso, quattro anni dopo, arriva uno a dire di non credere a tutte le storie dei massacri serbi. Ma non porta un solo fatto su cui abbia cercato di indagare, per dire che queste storie, riportate su giornali diversi, di idee diverse, siano false. Lui non fa questo sforzo, ha solo l'arroganza del poeta di sapere meglio, di vedere una realtà superiore, di vedere al di là dei fatti. E l'arroganza verso igiornalisti è proprio una malattia tedesca: c'è il poeta, lassù, e il giornalista, quaggiù, che al massimo può fare da cameriere al poeta. InAmerica questa logica non e' è. Naturalmente all'Europa la tesi di Handke fa comodo. Dopo tre anni di indifferenza colpevole arriva qualcuno a rassicurare: "Non abbiate sensi di colpa, siete stati male informati". La logica dell'emergenza, prettamente politica, è iniziata già all'indomani dell'unità nazionale. Perché alla cultura marxista interessava più chi decide e non cosa si decide. La separazione delle carriere è giusta perché le due funzioni sono completamente diverse. Il prezzo troppo alto pagato a ogni strappo della normalità. Intervista a Luigi Ferraioli. la politica era più presente che altrove, un paese ad alto tasso di politicizzazione; poi abbiamo scoperto che più che la politica manca il senso delle istituzioni. Non so in altri paesi cosa sarebbe successo. Mi ricordo che nel '92 un collega francese, docente di Filosofia del diritto, mi diceva: "Guardate che quando si crea un rifiuto così viscerale della classe politica in toto, dovete aspettarvi un'ondata di fascismo". Su questo ho molti dubbi, non mi sembra un argomento sufficiente per contestare un 'affermazione di legalitàcomequellaespressa dai processi contro Tangentopoli: un doppio, un triplo stato, fatto appunto da una facciata di legalità e da un retroterra di illegalità, non è uno stato democratico. Forse stiamo vivendo una vicenda paradossale: un'azione tesa a riaffermare la legalità democratica, ha finito per generare un rifiuto delle istituluigi Ferrajoli è stato giudice fino alla metà degli anni 70 ed è tra i fondatori di Magistratura Democratica. Attualmente è professore di Filosofia del diritto presso l'Università di Camerino. E' autore di numerosi saggi di teoria del diritto e logica giuridica.fra cui Diritto e ragione (laterza). Lei è considerato uno dei teorici del garantismo, può dirci in poche parole cosa si intende con questo termine? Garantismo è un termine recente, nato in maniera contingente negli anni '70 di fronte all'attualità politica, in particolare di fronte alla legislazione d'emergenza, che costituì una svolta autoritaria e illiberale dello stato. Quindi, nasce sul terreno penale. Tuttavia, a me pare che l'idea alla base del garantismo, e cioè la concezione del potere pubblico come tutela dei diritti fondamentali, vada al di là del diritto penale, in quanto si rifà al costituzionalismo, ossia alla visione dello stato come qualcosa costruito da noi, la cui legittimazione deriva dalla difesa delle garanzie del cittadino. Sicché lo spazio della politica ne risulta limitato. La politica, come del resto il mercato, è la sfera del decidibile, cioè la sfera della discrezionalità, limitata da ciò che non è decidibile: nessuna maggioranza può limitare i diritti fondamentali. Iconfini della politica sono rappresentati dai diritti di tutti. Il potere della politica ha, pertanto, dei limiti come era sancito dal vecchio stato liberale e anche dei vincoli come stabilito dallo stato sociale di diritto, sebbene quest'ultimo esista solo sul piano teorico e sia tutto da costruire. La nostra Costituzione, infatti, contiene tutta una serie di diritti sociali, senza che, peraltro, siano state elaborate le garanzie idonee a renderli effettivi, quindi ad evitare che, sanciti come diritti e non come semplici aspettative, la loro applicabilità sia affidata alla discrezionalità della politica. Da cosa dipende la scarsa sensibilità garantista della sinistra italiana? In verità, il garantismo non ha avuto molta fortuna né a sinistra né a destra. Nella cultura della sinistra ha prevalso la visione marxista del diritto, per la quale esso è sovrastruttura, riflesso dei rapporti di forza; non c'è mai stata una grande fiducia nel diritto, salvo lodevoli eccezioni, penso a Lelio Basso e ad alcuni costituenti. In breve, è stato sempre considerato uno strumento da piegare alle esigenze della politica. Viceversa, il garantismo implica il prevalere del diritto sulla politica, non nel senso che deve prevalere la procedura, ma nel senso che la politica deve essere vincolata a precise finalità, come la tutela della libertà e la soddisfazione dei diritti sociali. Quindi, la politica, come del resto il mercato, nell'ottica del garantismo non solo è limitata, ma è vincolata dal diritto. Invece, nella tradizione rousseauviana e marxista-leninista non è certamente ancorata a questa concezione. Per l'ideologia comunista ciò che conta è chi decide, come se il soggetto decidente, essendo in questo caso il proletariato, sia di per se stesso una garanzia. Questa è Montesquieu ci insegna che il potere tende sempre a degenerare, ad accumularsi in forma assoluta, chiunque lo detenga. Se, allora, per la sinistra comunista è fondamentale chi decide, per il costituzionalismo è basilare che cosa si decide, la sostanza della decisione: chi decide è meno importante del che cosa viene deciso. In questo senso, personalmente critico molto la visione proceduralistica 1 del diritto, presente anche in Bobbio, perché il costituzionalismo non si limita a vincolare solo sul piano formale, ma lega la decisione alla sostanza, tant'è vero che le leggi sono incostituzionali qualora ledano i princìpi fondamentali. Nella destra la situazione è diversa. Il garantismo della destra attuale è un garantismo molto particolare, che si rivolge unicamente al potere giudiziario.L'insofferenza espressa nei confronti dei giudici non è tanto la richiesta, sotto questo aspetto fondata, della limitazione di un potere che, come tutti i poteri, tende a essere dispotico e a cadere nell'arbitrio, ma esprime un rifiuto dei limiti che devono subire gli altri poteri. Il paradosso che fa di questo garantismo un antigarantismo, è che la funzione giudiziaria, la quale certamente fonda la propria legittimazione sulle garanzie, viene attaccata e respinta perché a sua volta è un limite, una tecnica di controllo sul potere politico, il quale, invece, viene assunto come onnipotente, al pari del potere economico. In questo modo si esprimono due assolutismi, quello della politica e quello del mercato, entrambi insofferenti alle regole. Ciò che rende poco credibile tale garantismo è il fatto che si esprime unicamente nei confronti di un potere che è anche un potere di garanzia. In fondo, la giurisdizione ha la funzione pubblica di controllo sugli altri poteri, di tutela dei diritti civili, dei diritti di libertà, contro la prevaricazione degli altri poteri. Allora, se è indispensabile che la sua legittimazione si fondi sulle garanzie, un garantismo limitato solamente alla funzione giudiziaria finisce per cadere nel paradosso. Però non è che, soprattutto dopo Tangentopoli, il ruolo della magistratura sia diventato preminente, eccessivo? la legge, trasparenti, conoscibili. Viceversa, abbiamo avuto negli anni passati un 'inflazione assolutamente patologica del diritto penale, in una situazione dove esso non ha confini. Si procede sotto l'etichetta di abuso in atti d'ufficio, d'omissione, anche di fronte a semplici illeciti amministrativi. Sta venendo meno il confine tra illecito amministrativo e illecito penale. Ciò ha conseguenze disastrose: toglie credibilità alla magistratura, paralizza l'amministrazione, finisce per generare unasituazioned'incertezza del diritto penale molto simile a quella premoderna. L'inflazione legislativa ci sta portando indietro nel tempo quando si sentiva l'esigenza del codice, di una limitazione del giudiziario. Limitazione tesa a favorire una maggiore attenzione ai reati più gravi. Tra l'altro un sistema inflazionato come quello italiano genera inefficienza e quindi arbitrio e ingiustizia. Quali sono le cause di questa logica emergenziale che continua a caratterizzare la situazione italiana? La logica emergenziale fa parte della logica del politico, si legittima attraverso l'identificazione del nemico ed è una logica che non si è manifestata solo negli anni 70. Già dopo l'Unità il legislatore italiano ha proceduto a colpi di emergenza, come nella lotta al brigantaggio. Insomma, la nostra è una storia di ordinaria emergenza, perché l'emergenza è un fattore di forte legittimazione politica. Serve acreare situazioni di eccezione che richiedono il consenso, e il diritto penale è lo strumento, tramite il quale è più facile raccogliere il consenso. lo credo che se sulle idee di Beccaria si fosse tenuto un referendum, l'esito sarebbe stato tragico, perché le garanzie sono sempre a favore di chi in quel momento si trova ad essere più debole: il delinquente, il "nemico". Di conseguenza non e' è consenso per il garantismo, salvo il consenso demagogico che si può facilmente manipolare, magari, come dicevo prima, in nome della sovranità della politica o del mercato. E' anche vero che ci sono stati momenti di reale emergenza, penso al terrorismo e alla lotta alla mafia. Ma l'errore è stato, ed è, affrontare queste sfide non usando gli strumenti ordinari. Questo ha avuto, ed ha, effetti negativi per la nostra democrazia, perché finisce per togliere credibilità e legittimazione alla politica. In fondo lo strapotere dei giudici è anche legato alla convinzione che il potere della giurisdizione sia l'unico potere forte che faccia giustizia. C'è stata una notevole incapacità ed irresponsabilità della politica nell'affrontare i problemi posti dall'emergenza. In conclusione, i giudici dovrebbero svolgere il loro lavoro in maniera il più possibile neutrale, terza, perché la figura del magistrato impegnato in campagne contro lacriminalità ha nuociuto alla magistratura, alla cultura garantista, ma anche alla politica che ne è uscita in qualche modo squalificata. Riguardo alla lotta contro la mafia ultimamente si è molto dibattuto a proposito dell'articolo 41 bis, lei che ne pensa? sempre troppo alto. Non ci si rende zioni, innescando una spirale quaconto che si comincia ad incrinare lunquistica, che ha coinvolto non la fiducia nell'uguaglianza, nella solo i partiti corrotti che hanno legalità proprio con l'eccezione, governato, ma l'intera struttura istiche, paradossalmente, crea senso tuzionale. La crisi costituzionale di illegalità. Naturalmente, <lobbia- che stiamo vivendo, è in fondo una mo essere consapevoli che il ga- crisi di questa natura, che sta porrantismo è costoso, per cui bisogna tando ad un rifiuto dei partiti, della pagare dei prezzi, anche in termini politica e tendenzialmente potrebdi sicurezza sociale: è sicuramente be portare ad un rifiuto della demopiù facile combattere la criminalità crazia stessa. Questa è, almeno, la con sistemi eccezionali, però sono mia preoccupazione. convinto che nei tempi lunghi il Per riequilibrare questa situaprezzo che si paga è terribilmente zione, tra le varie proposte, c'è più alto del vantaggio che si ottiene quelladellaseparazionedellecarnell 'immediato. riere ... In questo senso, critico molto an- La separazione delle carriere è, seche la stessa legge sui pentiti. Non condo me, una cosa giusta, anche critico il loro necessario utilizzo, se si è caricata, forse per colpa di ma il fatto che, se un soggetto è chi l'ha avversata, di implicazioni imputato nel processo in questio- politiche che necessariamente non ne, può trarre benefici dalle sue possiede. La separazione delle cardichiarazioni, con tutte le conse- rierepuòessereassolutamentecomguenze del caso. Così, si può defor- patibile con l'indipendenza del Pubmare il dibattimento, perché ci può blico Ministero. essere un interesse amentire. Quin- Insomma, a forza di dire che la di, è consigliabile la massima cau- separazione lederebbe l'autonomia tela: le dichiarazioni dei pentiti non del PM, paradossalmente si è fatto possono essere sufficienti, devono in modo che possa avere questo essere sempre suffragate da riscon- significato, ma è un errore che rieatri precisi. de su chi ha fatto questa battaglia . .,. A proposito dello spinoso pro- La separazione delle carriere va blema del rapporto tra potere sostenuta perché in effetti si tratta politico e magistratura, negli al- di due funzioni completamente ditri paesi democratici quali sono verse, non ha senso il collegamento le regole, come è stata risolta la che c'è tra il GIP e il PM. questione? Venendo alle cose da fare, a me Direi che l'Italia è il paese dove la sembra che si dovrebbe cominciare magistratura, e il PM in particola- con il ricodificare il diritto penale. re, è più indipendente. Noi abbia- Noi viviamo in una situazione premo un ordinamento giudiziario che moderna, simile a quella che Hobdopo l'istituzione del Consiglio Su- bes chiamava "la disordinata giuriperiore, l'abbattimento delle car- sprudenza dei giudici" per cui e' era riere e della gerarchia interna, che la necessità di un codice semplice e praticamente ora non esiste più, chiaro. Mi rendo conto che di fronrende la nostra una situazione mi- te alla complessità della realtà che gliore rispetto a paesi, come la Fran- viviamo, alla raffinatezza della crieia o la Spagna. Poi, ci sono altre · · !Tiinalità organizzata, un codice nazioni dove il PM è elettivo, ed ha. semplificato non è facile. Però, noun condizionamento di carattere. no~tante questo, il principio in base politico. Per rendere l'idea, è come al quale in un codice i reati previsti se in Italia fosse un esponente del dovrebbero essere chiari, precisi, Pds o di Forza Italia, con le conse- rigorosi, accessibili a tutti, aumenguenze che lascio immaginare: il terebbe la certezza del diritto, la Pubblico Ministero eletto ben dif- conoscibilità. ficilmente può non essere di parte. Inoltre, in sistemi come quello americano, la non obbligatorietà del1'azione penale può essere un fattore di ulteriore arbitrio, di ulteriore disuguaglianza. Quindi, in questo senso, io credo che l'indipendenza della magistratura in Italia sia una delle più grandi risorse della nostra democrazia. L'anomalia italiana non consiste nel ruolo che la magistratura ha dovuto assumere? Sì, forse. Noi abbiamo sempre pensato ali' Italia come a un paese dove Enrico Deaglio Bella ciao Noi, ormai, siamo in una situazione di inflazione, che ha fatto perdere i confini al diritto penale. La sentenza dell '88 della Corte Costituzionale, secondo cui l'ignoranza è scusabile quando è inevitabile, è una dichiarazione di bancarotta del diritto penale. Secondo me una minimizzazione, una riduzione del diritto penale a extrema ratio è indispensabile non solo per legittimare il ruolo della giurisdizione, ma per la separazione dei ruoli e delle competenze. - Diario di un anno che poteva anche andare peggio Dopo Besame mucho, un nuovo viaggio in Italia per· raccontare che cosa è rimasto e che cosa siamo diventati: oltre al Grande Teatro, tante storie inaspettate, troppo vere per essere incredibili. Bi lioteca G I ntaomp~ uran cOe: Sicuramente è indubbio che la magistratura abbia avuto un ruolo anomalo, e questo non solamente per l'anomalia costituita dalla vastità del fenomeno della corruzione in Italia. E' anomalo anche perché Tangentopoli ha messo in evidenza i profondi limiti della nostra democrazia: per esempio, abbiamo un diritto penale dai confini non determinati, con grandi spazi di discrezionalità, per cui accanto ai processi di corruzione si è sviluppata una giurisdizione pervasiva che mette sotto inchiesta l'amministrazione, magari con inchieste esplorative. C'è una incertezza del diritto che si risolve in una lesione della divisione dei poteri anche al contrario, nel senso che la giurisdizione finisce per travalicare le sue competenze per sindacare nel merito del comportamento dell'amministrazione. Questo richiederebbe una diversa deontologia dei giudici, ma anche una ricodificazione del diritto penale che dovrebbe essere riservato a figure di reato tassative, rigorosamente previste dallo credo che i rimedi ordinari siano più che sufficienti. Il prezzo che si paga per la rottura della normalità è UNA CITTA' 3

B Un'industrializzazione del tutto fallita che ha devastato il territorio, un'agricoltura fiorente e creato conurbazioni simili, per tanti aspetti, a quelle del Terzo Mondo. Aree di sviluppo anche intenso. La produzione di tutto, compresi falsi e imitazioni di ottima qualità. Una creatività e un'imprenditorialità da recuperare. Intervista a Giuseppe Biasco. Giuseppe Biasco, sindacalista. ha fauo parte della segreteria regionale della Vii-Campania. Quando si parla del sud, si parla sempre di disoccupazione crescente, di gap crescente con il nord, addirittura di sacche di povertà, mentre, contemporaneamente, si fa riferimento a una ripresa, a situazioni di sviluppo. Puoi descriverci a grandi linee la situazione reale del sud'? Direi che nel Mezzogiorno, a partire dal dopoguerra, si sono veriute sviluppando grandi aree metropoa litane a fortissima conurbazione e terziarizzazione, che, sicuramente, assomigliano molto alle conurbazioni delle grandi realtà europee, avendo, però, tutti i problemi e le contraddizioni delle realtà urbane del Terzo Mondo. Sono realtà metropolitane dentro le quali si è sviluppato moltissimo il settore del- ! 'edilizia, con tutto quello che ad esso è collegato: speculazioni sulle aree fabbricabili, cambiamento delle destinazioni d'uso dei suoli, problemi ambientali gravissimi. A ciò si deve aggiungere, in vastissime aree del Meridione, un'industrializzazione completamente fallita , che ha lasciato dietro di sé la distruzione di intere zone agricole con un'erosione costante e continua della ricchezza agricola, delle acque, dei fiumi. La distruzione ciel territorio. il consumo del territorio, sono stati enormi. E' così che un territorio bello di per sé, con un clima accettabile, un ambiente ricchissimo di una fauna e una flora estremamente variegate, è divenuto la risorsa cui tutti hanno attinto nel modo più sconsiderato. Per esempio, chiunque, storicamente, abbia progettato qualcosa a Napoli, ha progettato sempre costruzione di case, abbattimenti cli alberi, ristrutturazioni urbanistiche che · allontanassero i poveri dal centro · cittadino per ammassarli in quartieri dormitorio alle periferie. Questo è il quadro a grandissime linee. Ora, la questione della povertà riguarda il sud come tutte le grandi realtà del degrado, della disperazione nelle grandi realtà urbane, dove lo sviluppo convive con l'assoluta mancanza di una qualsivoglia solidarietà sociale. Tutto questo si è accompagnato alla distorsione della vita di masse di persone che si sono dedicate ad attività illegali, semi-legali, clandestine o delinquenziali. Ma, per quanto strano possa sembrare, contemporaneamente nel Meridioneabbiamozone a grandissimo sviluppo economico: tutta la piana pugliese per l 'agricoltura, ad esempio, come alcune zone del salemitano. La stessa realtà provinciale napoletana è estremamente contraddittoria: a Napoli passi dalla realtà disumana della 167 di Secondigliano,cheèunquartiere estremamente a rischio dal punto di vista dei minori,delledonne, degli anziani, della clelinq uenza organizzata e quant'altro, a realtà ricchissime e terziarizzate, come San Giuseppe Vesuviano, che sono addiritt.ura leader in una serie di attività commerciali e produttive, quali, ad esempio, i blue-jeans oppure come Arzano e Casoria, dove ci sono aziende leader nel settore delle scarpe, e così via. Insomma, abbiamo realtà produttive che possono misurarsi benissimo con livelli internazionali accanto ad altre realtà che sono veramente degradate. E' uno sviluppo a macchia cli leopardo. Quindi, la situazione non è disastrosa ... Diciamo che nel Meridione, volendo parlare in termini puramente economici, ogni persona concorre per 70 unità di valore al prodotto interno lordo italiano. Ora. devi immaginarti che il valore medio europeo è I00-1 O I, il massimo di valore pro-capi te per uno Stato nel la sua completezza è quello della Danimarca, che è 125, mentre la Germania ha 11 O. Dentro la realtà italiana, la realtà della Lombardia è ben 137; questo vuol dire che la Lombardia è una realtà regionale che è al di sopra di ben 30 punti della media europea, ed è al di sopra anche del paese che ha il massimo del valore. Allora, quando noi misuriamo la realtà del Meridione con la realtà della Lombardia, la distanza è del doppio, due a uno. e risulta perciò incolmabile. Non raggiungi chi va a 200 chilometri all'ora se vai a 150. Detto ciò, va anche riconosciuto che 70 è una buona media di partenza per raggiungere la media europea. le kimberland non sono da meno dell'originale Se noi potessimo avere un piano politico generale, un'efficienza della macchina pubblica, vale a dire la funzionalità di regioni, provincie e comuni, se buona parte dell'imprenditoria del Meridione fosse convinta del ruolo del!' impresa nel vero senso della parola, che è di sfida e di rischio economico, non mirando solamente ad essere assistita com 'è successo negli anni passati, se noi avessimo una qualità professionale ben caratterizzata nei giovani che escono dalle nostre scuole, probabilmente nel giro dei prossimi dieci anni potremmo recuperare completamente il gap con l'Europa. Non quello con Milano, ma questo non è un problema di particolare ri Iievo. Quanto "sommerso" contribuisce allo sviluppo economico del Meridione? Effettivamente, sono le centinaia di piccolissimi laboratori che sfuggono completamente a qualsiasi regola e a qualsiasi governo, sprofondati nei vecchi "bassi", che una volta erano abitati e ora sono in gran parte occupati da laboratori di scarpe, di guanti, di camicie, di pantaloni, di jeans, ecc., a rappresentare la nostra Indonesia. Qui si vendono camicie per 18-20 mila Iire che possono benissimo concorrere con quelle che costano 50-60 mila. Perché? Perché oggettivamente questi laboratori abbattono tutti i c6sti di produzione, abbattono i costi di pubblicità, di merchandising, cioè della possibilità cli imporre la propria merce sul mercato. Quindi, con tuui i soldi dell'intervento straordinario, con i 40 anni di Cassa per il Mezzogiorno, con le migliaia di miliardi che sono comunque arrivati, si è sviluppato un inizio di capitalismo meridionale, che è identico, per molti aspetti, al capitalismo che si è sviluppato in Inghilterra, Francia e Italia nella seconda metà dell'Ottocento e che oggi comincia a mandare i suoi primi vagiti in una serie di realtà come Hong-Kong, l'Indonesia, l'Argentina, il Messico o che comincia a intravedersi, pur se in modo estremamente contraddittorio, nei paesi del l'ex "blocco sovietico". Il tutto ad un livello più avanzato, perché qui si è in grado di produrre di tutto, anche prodotti ad altissimo Iivel lo tecnologico, come pezzi di ricambio per computer, computer, videocamere, ecc., con nomi estremamente fantasiosi. Si è in grado di copiare tutto; qui è molto fiorente l'industria dell'imitazione: invece di Timberland si chiamano Kimberland, ma sono, in qualche caso, addirittura migliori delle Timberland originali e sono vendute ad 1/3 del loro valore. Oppure c'è l'industria del falso vero e proprio: le Timberland si chiamano proprio Timberland, e così si produceArmani, Versace, il Charro. Napoli in questo senso può produrre veramente di tutto. Accanto a questo c'è, poi, una realtà che comincia ad avere un proprio marchio, una propria identità. Basta girare per i mercatini, quelli più attrezzati, e lo si vedrebbe fisicamente: c'è chi vende roba usata e chi, invece, vende roba nuova a prezzi estremamente concorrenzia1i, prodotta nel Meridione non solo attraverso un meccanismo di violentissimo sfruttamento dei minori, ma anche, e qui sta la novità, attraverso l'appropriazione di una serie di sistemi tecnologici molto importanti. In questo senso oggi si sta verificando anche la trasformazione di camorra, delinquenza organizzata e quant'altro. Chiaramente tutto questo ti dà il senso di una povertà che, però, non è più la povertà di chi non ha soldi, ma di chi ha molto meno soldi di una realtà normale. Alla fine si riesce ad avere una condizione in cui la gente, attraverso stranissimi meccanismi, riesce a produrre un reddito che arriva al milione e settecento, al milione e ottocento mila lire al mese. Attraverso il lavoro della figlia, del padre, della madre, si possono permettere, in alcuni momenti, di andare in vacanza il mese di agosto, anche se l'anno dopo non lo possono fare. In breve, seguono i cicli di un mercato che è completamente, totalmente loro e che può essere addirittura in antagonismo con il mercato nazionale: se il mercato nazionale tira, loro hanno una grave crisi; se non tira, vanno bene, perché i consumatori, non avendo molti soldi, si orientano verso un prodotto di diverso valore. Ecco perché nel sud ci sono pochi hard-discount e, invece, molti mercatini: perchéc 'è addirittura un rapporto diretto tra la bancarella e il produttore. Quello che fa Stefanel con i propri prodotti, cioè venderli attraverso i propri negozi, loro lo fanno ad un livello molto, ma molto più piccolo, anche se notevolmente articolato. Quindi, possiamo parlare di povertà solo se la rapportiamo ad una società consumistica che non c'è proprio. Se noi dovessimo vivere secondo una nostra concezione della vita, che è una concezione meno

esasperata, meno drammatica. meno violenta di quella che subiamo quotidianamente. sevivessimo con un ritmo diverso. più sereno, meno esasperante. anche nel consumo quotidiano di tutte le cose, attraverso la trasformazione della nostraanticacultura. probabilmente loro non sarebbero poveri. Quindi la realtà della povertà la misuri con l'impossibilità di accedere a consumi che sonoormai diventati altissimi... Questo lo puoi vedere nel caso più drammatico: la casa in cui c'è un tossicodipendente: lì si muore di fame. perché il tossicodipendente praticamente distrugge una realt;1 familiare. Puoi guadagnare anche cinque milioni al mese. ma resterai comunque povero perché tuo figlio ti toglie tutto. E non c'è dubbio che la droga abbia a che fare con il rapporto tra emarginazione e ingresso nella società dei consumi: nelle realtà povere la droga viene vissuta come il massimo consumo possibile. Serve soltanto a distruggerti e tu lo sai. ma. anche se ti stai comprando alienazione e morte, questo ti fa entrare in un meccanismo, in un circuito, per cui tu hai bisogno di soldi, moltissimi soldi, e te li devi procurare in tutti i modi possibili e immaginabili. da quelli corretti a quelli disonesti, allo scopo di accedere a quello che è il massimo del consumo possibile per loro, quello paradossalmente più facile. napoletana. ma è anche il tentativo di dire: "Cè una tua idcntitù, una tuacultura. una tua concezione della vita che dcv ·esseresalvaguardata. c'è una tua tradizione ..:·. Ti faccio un unico esempio che ti sembreri1 strano. ma che a mio parere è significativo. Quando prepari il ragù. ci metti il parmigianoreggiano. noi, invece, normalmente ci mettevamo il nostro provolone. il caciocavallo, che è un provolone secco.di cui diventò famosa la casa produttrice. che è ancora oggi abbastanza conosciuta. Auricchio. Ora, alla fine di tutta questa vicenda. che è anche una vicenda di colonizzazione. il provolone Auricchio viene prodotto a Cremona. perché si è avvicinato ai grandi produttori di latte nel) 'ambito del meccanismo della distribuzione europea della produzione del latte e viene venduto in termini marginali. Mentre quello che oggi c'è sulle tavole e nelle nostre salumerie è il parmigiano-reggiano che è contrastato soltanto dal grana padano. Con questo voglio dire che noi stiamo perdendo la nostra tradizione nel la produzione della pasta, la nostra "arte bianca". il nostro modo di conservare i prodotti, dal pomodoro agli ortaggi. la nostra capacità di produrre carni macellate o insaccate. Da questo ti rendi conto che questa società estremamente competitiva, estremamente violenta dal punto di vista consumistico, di fatto ti distrugge l'identità e impedii pomodorini sce, d'altra parte, la costituzione di imprese che abbiano la capacità di vincere sul piano del mercato. Sui 20 milioni di tonnellate di pomodoro che vengono trattate ogni anno, vengono fin dalla Cina I nuovi poveri sono coloro che aspi- soltanto 2 milioni vengono prodotrano al massimo del consumismo e te in Campania, che un tempo era la si misurano quotidianamente con il realtà principe. degrado di una vita che si distrugge Ciò significa che è completamente da sé, che distrugge attorno la vita falsa quella propaganda che dice delle famiglie. Infatti, è nato il Mo- che quella conserva di pomodori è vimento delle madri democratiche, qualità San Marzano, mentre. inle famose ·'madri coraggio'' anti- vece, sempre più spesso sono podroga, perché. a un certo punto, un modori provenienti dalla Grecia, istinto le ha spinte a rendersi conto dalla Spagna e qualche qualità. di che un figlio non solo distrugge se quelle più piccole, che vengono stesso,ma distruggerà gli altri figli, vendute come i vecchi pomodorini l'intera famiglia. napoletani, viene addirittura dalla Quali prospettive vedi ora? Cina. La globalizzazione, l'interQuesta povertà nasce da una con- nazionalizzazione, ma anche il fatcezione distorta dello sviluppo: una to che non si è stati capaci di mansocietà che ha un P.I.L. individuale tenere la qualità del prodotto, perdi 70, sebeneorganizzata, benstrut- ché il territorio è stato distrutto turata, ben servita dalla politica e grazie al falso mito dell'industriadalla funzionalità delle amministra- lizzazione del Sud, hanno devastazioni, può essere una società non to alcune nostre risorse reali. Non povera, sicuramente non opulenta, ci troviamo nella condizione di ma senza dubbio capace di distri- un 'assoluta mancanza di sviluppo, bui re bene quello che è in grado di ma in quella di uno sviluppo distorprodurre. to, disordinato e disomogeneo. In questo momento, nella regione Alla luce di quanto hai detto, anCampania, tra depositi postali e che il dato della disoccupazione depositi bancari, c'è una somma di andrebbe riletto? denaro che si aggira attorno ai 50 Bisogna avere la consapevolezza mila miliardi di lire. Se noi avessi- che quandosi ha un livello simile di mo un sistema finanziario, econo- P.I.L., e, legato a questo, anche un mico, bancario, all'altezza di svol- simile livello di consumo, diventa gere una funzione sociale e quindi veramente assurdo pensare che il impegnasse anche solo il 10% di datodel20,22o24%didisoccupaquesti depositi, noi avremmo 5 mila zione al sud. sia veramente reale. Il miliardi all'anno, solo per la regio- 22 o 24% di persone è iscritto al neCampania. da devolvere in inve- collocamento, ma di questi una parstimenti produttivi, cultura Ii o quan- te, sicuramente non enorme, diciat 'altro. Questa somma sarebbe per- mo un buon 6 o 7 %, ha una serie di centualmente maggiore di quella attività che sono quelle che oggi stabilita nella legge 64 sull 'inter- vengono proposte ali 'attenzione del vento straordinario nel Mezzogior- dibattito sui problemi del lavoro. no o di quella stanziata dai piani Hanno, cioè, un ·erraticità del lavooperati vi europei o dalla Cassa per ro, cambiano costantemente. senza il Mezzogiorno. neanche avere il tempo di mettere a Noi potremmo, con il denaro dcpo- posto le proprie carte di assunzione sitato nelle poste e nelle banche, o di inviarle al collocamento: haninvestire nel nostro sviluppo. Per- no un lavoro pari-time. fanno lavoché, in ogni caso, questo flusso di ri stagionai i o saltuari. Oppure fansoldi, in maniera completamente no lavori in nero, completamente diseguale, disomogenea e disordi- stabili, fissi e sicuri, senza mai esnata, comunque è arrivato nel Mez- sere iscritti alla previdenza sociale. zogiorno, per cui si sa chi si è perché in questo modo guadagnaveramente arricchito, e si sa chi. no di più senza però rinunciare al invece, non ha mai avuto la possi- collocamento, perché in questo bilità di uscire fuori da questa modo ottengono altre garanzie. quotidianità drammatica di ricerca quali. per esempio, i I fatto che non e mantenimento della vita. hanno il "730", quindi non fanno la Devi considerare questo, perché, denuncia dei redditi, e come loro altrimenti, non capiresti qual è l'at- non la fa il padrone. tuale stato del Mezzogiorno. Quin- Sono centinaia di migliaia di piedi. si tratta di una povertà legata coli imprenditori, di grandi comsopralluttoad unaconcezionedella mercianti, di venditori all'ingrosvita, è una povertà di strategie so- so: insomma un pulviscolo cli picciali, di progetti collettivi: una po- col issi me attività che ricordano vertà di identità sociali e culturali. moltissimo i primordi di una socieE' in questo senso che si innesta Làcapitalistica. Ed è una produziol'esperienza di Bassolino. E' certa- ne completamente sommersa. Almente un 'operazione economica e lora, se è sommersa la produzione. culturale tesa alla valorizzazione è sommersa la vendita ed è somBr6ca cot8ca reG 1'nsonch8 I 18necOC questi beni. Cè pertanto una rcaltit nella quale la legalità è estremamente labile. Questo è il terreno nel quale si mettono insieme stranissimi cicli in cui l'elemento di frizione è costituito dall'usura, che è il meccanismo finanziario attraverso il quale la camorra ricicla i propri proventi. Sicuramente, comunque, i Idato del ladisoccupazione in Campania è un dato elevatissimo, perché rappresenta. a mio avviso. il 14-15%. che resta una realtà enorme. riguardando in modo particolare i giovani in cerca di prima occupazione. Giovani di livello scolastico medio-alto, e quindi diplomati e laureati, che non hanno, però, unaspecializzazione. nonhanno la possibilità di accedere ad elementi culturali aggiuntivi, per i quali. inoltre. ultimamente si è chiusa anche la strada della carriera amministrativa nelle regioni del nord. C'è un intreccio molto forte fra imprenditorialità, creatività e illegalità. Si può risolvere con misure puramente repressive? Attenzione: un'impresa, di per sé, può nasceredalla contravvenzione cli alcune regole di mercato esistenti. Questo può essere ancora accettabile. regolarizzato. Lo stato, per esempio. vara continui condoni. Quello che non può essereaccettato è che dai proventi del commercio di droga si possa costruire una rete di governo dell'economia. Sempre, la capacità di fantasia, di applicazione, di errore, di furbizia, di intelligenza,,sono alla base di un 'intrapresa economica, nella quale tutto è rischio. Hai iniziato parlando della catastrofica industrializzazione del Meridione. Ti sembra che anche la sinistra abbia avuto grosseresponsabilità nella politica di aiuto al Mezzogiorno? E quali? Secondo te, c'è ancora bisogno di un aiuto e di che tipo? La sostanza del ragionamento è questa: "Non vogliamo più essere aiutati in nessun modo; fin quando ci avete aiutato ci avete solo costantemente e continuamente sottomessi in termini culturali, ideologici ...". Anche in termini ideologici, perché cos'era, secondo te, una sinistra che rivendicava fabbriche e fabbriche "per la necessità e il bisogno di avere una classe operaia che fosse il riferimento, il fulcro fondante del patto sociale per lo sviluppo della sinistra, della democrazia e bla, bla bla ... "? La linea di mettere gli operai dove non c'erano, dove probabilmente non e 'era bisogno che ci fossero, di privilegiare una classe operaia che era sostanzialmente un nucleo corporativo, è stata esiziale. Non sta scritto da nessuna parte che soltanto per il fatto di essereclasse operaia automaticamente si è all'avanguardia. Lo dico con grande sincerità: i vecchi, gloriosi, siderurgici di Bagnoli erano la retroguardia economica e politica in questa città. Insomma, abbiamo anche dovuto subire l'imposizione cli una sinistra estranea, mentre eravamo fortemente collegati a un 'altra sinistra, quella delle campagne, delle città. una sinistra che era autonomista e federalista. l'acqua del rubinetto e l'alluvione Ma adesso, in questa lotta, in questo mercato fortemente libero. fortemente antagonista, vorrei che noi del sud fossimo liberi di sfruttare noi stessi. Si può dire. infatti, che il 70% dei prodotti consumati in Campania sono prodotti nel nord. ma se noi producessimo da soli i nostri prodotti. automaticamente avremmo il riequilibrio, perché il mercato del sud è un mercato di più di 25 milioni di persone. Qui c'è la più grande natalità. e qui c'è anche il futuro. Un riequilibrio potrebbe anche portare a una riflessione nel nord sul tipo di sviluppo distorto che questo ha conosciuto: ormai sulle tavole milanesi non si beve più l'acqua del rubinetto, mentre se arriva un fortissimo acquazzone e'è distruzione e morte in intere regioni. Il problema ambientale è ormai diventato la cartina di tornasole di ogni sviluppo. - MEDITERRANEO Un mare che rischia di morire fra i conflitti. Le potenzialità di una cooperazione sud-sud. La ricchezza dell'emigrazione. La salvaguardia dei mercati locali da una mondializzazione che travolge tutto. Le culture mediterranee segnate dalla linea delle work-houses. Intervista a Tonino Perno. Tonino Perna insegna Sociologia economica all'Università di Messina. E' direttore generale del Cric (Centro Regionale di Intervento per la Cooperazione) di Reggio Calabria. Puoi spiegare cos'è la cooperazione sud-sud? L'idea della cooperazione sud-sud è nata dalla constatazione che, sebbene il nostro reddito pro-capite sia nettamente più alto di quello dei paesi del cosiddetto terzo mondo, e più alti, soprattutto, siano i consumi, tuttavia condividiamo con il sud del mondo il fatto di dipendere da un'economia mondiale sempre più centralizzata, rispetto alla quale anche noi siamo periferia, zona marginale, sud insomma. Eravamoconvinti, -e la pratica inquesti 12anni ce l'ha confermato-, che molte idee e progetti, che maturano in comunità e gruppi del Brasile, dell'Ecuador, del Nicaragua, possono essere trasferiti qui, cumgrano salis, così come alcune esperienze nostre possono avere qualche utilità per loro. In altre parole, la cooperazione sudsud non deve essere vista come una donazione a senso unico da parte di chi ha a chi non ha; si tratta piuttosto di uno scambio, vicendevole, di esperienze, di progetti: per esempio il primo progettoche attuammo fu un programma di informatizzazione della pubblica amministrazione nel Nicaragua sandinista e uno dei primi progetti che importammoa ReggioCalabria fu unprogramma di animazione sociale per quartieri popolari e degradati, provenientedal Brasile. Eppoi, visto che gli stati nazionali si ridurranno sempre più a stati di polizia, -non a caso Dahrendorf ha scritto che il modello sarà costituito da Singapore o dalla Cina, ossia da unostatoautoritario che non conta nullasul piano della politica economica e sociale-, e che in futuro la scena sarà occupata da istituzioni internazionali (Onu, Cee, Fao, ecc.), da un lato, e organizzazioni locali, dall'altro, noi, in quanto organizzazione locale che si occupa di cose internazionali, crediamo moltonella creazione di reti locali che diverranno sempre più importanti nello scenario internazionale. Credo che questa sia l'unica soluzione alla crisi irreversibile degli stati così come li abbiamo conosciuti. Per questo noi ci rivolgiamo a comunità e gruppi locali, saltando il livello della cooperazione governativa e mi(listeriale, che ci pare sempre più fallimentare. A questo proposito faccio un esempio. In Albania, come Cric, abbiamo messosudelle cooperative di abbigliamento, un settore industriale che nessuno finora ha finanziato, perché tutti sono andati solo a distribuire aiuti alimentari. Il governo italiano ha speso 450 miliardi in Albania e l'unica cosa che si vede di questa spesa è un tratto di strada fra Tirana e l'aeroporto, tutto il resto se n'è andato inaiuti alimentari, invisitedi esperti, in training per formare il personale, ecc. Oppure penso all'epidemia di colera che si è sviluppata in Albania a fine '94: con 180 milioni abbiamo realizzato l'intervento di prevenzione colera, prima di terapia quando è scoppiato, poi di prevenzione. L'ufficio emergenza del Ministero Affari Esteri ha stanziato, invece, 500 milioni per l'intervento di necessità sul colera: 280 milioni sono finiti agli esperti, andati sul posto per capire qual era il fabbisogno di medicinali, solo una minima parte è stata spesa in attrezzature, ma con tempi che sono stati molto più lunghi dei nostri, anche se loro avevano adisposizione aerei, mezzieconomici ...Quando parlodi fallimentodella cooperazionegovernativa intendo proprio questo. Se la cooperazione governativa è fallita, allora bisogna creare una cooperazione decentrata, popolare, che coinvolga gli enti locali, le associazioni locali, le Università. Questa è la nostra scommessa. Malgrado voi facciate cooperazione soprattutto in Africa o America latina, è il Mediterraneo ad avere molta importanza per voi. In che senso? Sì, noi siamo partiti dal Mediterraneo. Nell'87 organizzammo, qui a Reggio Calabria, il primo "Festival del Mediterraneo" in Italia, cui parteciparono relatori provenienti da 12paesi diversi, nonchémolte realtà associative e culturali del Mezzogiorno. Bene, che cos'è per noi il Mediterraneo? Innanzitutto, direi che è a fondamento della nostra identitàmeridionale. La storia del Mezzogiorno negli ultimi 40 anni è la storia di una continua fuga dal mondo mediterraneo. Prima si è inseguito l'aggancio con il Nord Italia, poi con il Nord Europa, finché ora c'è il nulla, essendo state distrutte molte culture locali: noi non potremo mai essere altoatesini o piemontesi dal punto di vista del reddito pro-capite o della produzione. Inoltre, negli ultimi vent'anni il Mediterraneo è diventato sempre più periferico, marginale, nel commercio internazionale. L'asse dell'economia mondiale si è ormai spostato nel Pacifico e la situazione è ora molto più difficile: i margini di incontro si stanno assottigliando a vista d'occhio. Contemporaneamente il Mediterraneoè diventato sempre più ricco di guerre, di conflitti fra diversi e opposti integralismi. E questo oltre a rendere ormai impossibile lavorare con gruppi locali non governativi, mette a repentaglio, secondo me, uno dei portati positivi della civiltà europea: la tolleranza. E' però vero che il Mediterraneo sta conoscendo una notevole vivacità culturale... Sì, e da questo punto di vista l'Algeria era, fra tutti i paesi del Mediterraneo, quello in cui c'era la maggiore vivacità culturale. Durante i festival del Mediterraneo abbiamo ospitato dei gruppi algerini di teatro e di musica fantastici. Il fatto che ci siano tre-quattro milioni di algerini in Francia permette loro di rispondere alla modernità attraverso nuove sintesi fra la tradizione locale e, per esempio, questa afro-rock music, che loro hanno in gran parte contribuito a creare con la musica rai. Tra parentesi, l'immigrazione, in genere considerata una calamità, può essere una chance economica capace di abbattere i muri che si stanno creando nel Mediterraneo, perché gli immigrati, tornando in patria, spesso mettono su attività importando beni dall'Europa: insomma, avremmo tutto da guadagnare dall'accogliere immigrati. E lavivacità culturale di cui parlavo non riguarda solo il Maghreb o la Spagna, anche il nostro sud ne è toccato. Dal punto di vista sociale, infatti, assistiamo a una rinascita delle città meridionali, dovunque se ne vedono i segnali, da Catania a Napoli. Persino in una città estremamente disastrata come Reggio Calabria si vede un cambiamento positivo fatto di piccole cose, come ritirare la spazzatura, aggiustare le strade, mettere un po' di verde, ecc. Dal punto di vista associativo, una recente ricerca ha mostrato come negli anni '80 siano nate in proporzione molte più associazioni culturali al sud che nel centronord: il 60% delle nuove associazioni culturali è nato nel sud, che ha il 39% della popolazione italiana. Questo costituisce un'inversione di tendenza storica. Cosa caratterizza l'identità mediterranea, cui prima accennavi: un diverso modo di vivere il tempo sociale, organizzare le città, regolare la produzione in modo non-fordista? Come prima cosa, direi che non esiste una cultura del Mediterraneo, ma più culture del Mediterraneo. Però, si può notare che l'Europa è percorsa da una linea di demarcazione che divide le regioni in cui, nei secoli XVIIXVIII, i secoli della "grande reclusione", furono introdotte le leggi sui poveri, che portarono alle work houses, da quelle che non le introdussero. Per esempio, se si va in Spagna, si vedrà che la Catalogna assomiglia molto alla Lombardia come stile di vita e struttura produttiva, mentre il resto della Spagna è un'altra cosa. Perché? Perché la Catalogna è stata l'unica regione della Spagna investita dalle leggi sulla povertà. Così in Italia le work houses arrivarono fino allo Stato della Chiesa, dove ne vennero aperte due, e lì si fermarono. Nel Regno di Napoli non entrarono mai: ci furono ospizi per i poveri, ma non work houses .. Ora, le work houses servivano a rinchiudere e far lavorare i poveri, chi non poteva mantenersi, chi non lavorava: dal Seicento in poi il povero non è più il "prossimo" da soccorrere, ma-il pericoloso portatore di malattie, pestilenze, disordine da tenere lontano e separare. Quale fu l'effetto sociale di questa reclusione, e messa al lavoro, dei poveri? In tutto il Nord Europa: Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, e nel Nord Italia, dopo che nel secolo scorso le work houses furono via via smantellate, è stata interiorizzata una concezione del lavoro per cui tu, senza lavoro, sei morto civilmente,.non sei più nessuno socialmente: tu hai bisogno di lavoro, perché senza lavoro sei un uomo senza onore. Invece, nelle regioni non toccate da questa reclusione, e quindi in Spagna, Portogallo, Grecia, Jugoslavia, Sud Italia, il rapporto con il lavoro è rimasto quello che era nei secoli precedenti, cioè il lavoroè una fatica che purtroppo si deve fare, non è lo scopo della vita, non è qualcosa la cui mancanza ti distrugge socialmente. Nona caso l'Europa mediterranea, ma forse è meglio dire il Mediterraneo nel suo insieme, conosce poco e in ritardo il rivolgimento prodotto dalla rivoluzione industriale, alla quale le work houses offrirono manodopera a bassissimo costo, almeno agli inizi. Perché, allora, questo ritardo? Perché, il massimo onore sociale per un siciliano, come per un tunisino, era, storicamente, non lavorare: il lavoro è fatica, degradazione, per cui chi può fare a meno di lavorare manualmente viene meglio considerato socialmente. Di qui la corsa al possesso della terra: se posseggo la terra nondevo lavorarla, la faccio lavorare a qualcun altro. Vi è un rapporto molto stretto fra terra e onore.-L'ho presa molto alla lontana, ma questa lunga premessa storica mi sembrava necessaria per spiegare perché siciliani e calabresi si capiscano meglio con greci, spagnoli, portoghesi o maghrebini, avendo avuto una storia abbastanza simile, essendo stati solo lambiti dalla rivoluzione industriale.Anche nel rapportocon lo stato, oltreché nel lavoro, nei paesi mediterranei si avverte socialmente una profonda differenza dai paesi del Nord Europa: qui, come in Marocco o inGrecia, lo stato non viene interiorizzato, ma viene identificato con il poliziotto, con l'esattore delle tasse. Ci sono, quindi, dei tratti sociali specifici alle diverse popolazioni che abitano le rive del Mediterraneo. La mondializzazione economica costituisce una minaccia per l'economia mediterranea, non solo per il diminuito livello degli scambi... Diciamo che tuttora resistono nel Mediterraneo grandi sacche di agricoltura di sussistenza, che nella visione classica dello sviluppo dovrebbero scomparire per fare spazio alla grande azienda. Ora, ne va della salvezza culturale ed ambientale del Mediterraneo, perché fino a quando esisterà, per esempio, l'appezzamento di terra a 30 km. da qua, a.Bagnara Calabra, su una roccia di 700 m., fino a quando il contadino continuerà a piantare la vigna su una roccia da alpinista, allora si manterrà il terreno, si manterrà l'identità, sarà possibile conservare uno stile di vita mediterraneo. Se, invece, questa cultura dovesse venire distrutta a causa delle biotecnologie o dell'allargamento del mercato, è evidente che si produrrebbe una terribile omologazione, scoppierebbero conflitti sociali molto più aspri di quanto immaginiamo. Pensiamo, tanto per fare un paragone, a cosa sarebbe stata l'Europa senza i prezzi politici in agricoltura! Noi, infatti, pratichiamo al resto del mondo prezzi di mercato, però sul mercato europeo abbiamo prezzi politici grazie ai contributi, alle sovvenzioni, ecc. Non è un caso se fino al 1990 il 75% di tutti i fondi della Comunità Europea andava all'agricoltura. Il giorno in cui questo mercato protetto verrà abbattuto e lasciato alla libera concorrenza delle multinazionali, i piccoli contadini cosa faranno? Come qualcuno a Bruxelles ha detto, si dovranno trasformare in guardiani della terra, perché coltivare non avrà più senso. Infatti, con le biotecnologie si avrà un livello di produttività talmente alto che in pochissimo spazio si potrà produrre ciò di cui hai bisogno. Si calcola che al posto di 100 ettari te ne basteranno 1 O o 15, e allora tutto il resto che fine farà? Diventerà un grande deserto. Ma attenzione, tutto questo colpirà anche noi, non riguarderà solamente i paesi del Maghreb, almeno che non si trovi il modo di demercificare i prodotti agricoli. In altri termini, alcune cose possono stare sul mercato mondiale, come l'automobile, il computer, ma i beni alimentari no. Dovremmo fare come gli antichi greci che ne impedivano il commercio. Era permesso il commercio della ceramica, del vasellame, degli attrezzi da lavoro, di tante cose, ma il commercio dei beni alimentari era proibito: si doveva consumare quello che si produceva sul posto. Questi sono i pericoli che il Mediterraneo sta correndo. Credo che non si possa salvare il mondo mediterraneo con la retorica del passato, "il mare delle civiltà", bisogna guardare al futuro e il futuro è questo: come demercificare e conservare spazi sociali e produttivi sganciati dal mercato mondiale, nei quali le comunità locali possano vivere con un minimo di autonomia? Se non accadrà questo, vorrà dire che ben presto mangeremo tutti le stesse patatine prodotte dalla stessa multinazionale americana: credo sinceramente che questa sarebbe una catastrofe. - UNA CITTA' . 5

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