Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

gli elettori del Front considerino la democrazia un valore. A partire dal commento di Le Pen sulle camere a gas come di "un dettaglio della seconda guerra mondiale", nell 'autunno '87, la percentuale di francesi che ritiene l'Fn un pericolo per la democrazia non è mai scesa al di sotto dei due terzi. e sempre due francesi su tre dichiarano che non voteranno mai per Le Pen, così come dichiarano che non bisogna allearsi con lui. Anche fra gli elettori di Chirac la maggioranza pensa che non bisogna allearsi con il Front National. Dunque, c'è una sorta di barriera che impedisce uno sviluppo illimitato dell'Fn. In terzo luogo, non c'è un partito che sia più diviso del Front National, il tum-over al suo interno è considerevole, perché raggruppa famiglie molto diverse che si detestano cordialmente: la destra cattolica tradizionalista, la Nouvelle Droite pagana e modernista, nonché vecchi nostalgici di Vichy e della collaborazione con il nazismo. Per cui, periodicamente, qualcuno se ne va sbattendo la porta o per andare a far carriera altrove. Jacques Perras, ad esempio, nell'estate '94 ha lasciato il partito per cercare di essere eletto sindaco di Nizza, cosa che gli è riuscita nelle municipali del giugno '95. Se si fosse presentato con l'Fn non avrebbe avuto alcuna speranza. Non c'è, quindi, un pericolo per la democrazia in Francia ... Non siamo nello stesso contesto politico degli anni 30, anche se gli elementi di base sono gli stessi: la crisi economica, la crisi politica. Nel frattempo, però, l'attaccamento alla democrazia si è rafforzato. Negli anni 30 c'era un razzismo verbale che oggi è proibito dalla legge. In Francia due leggi antirazziste puniscono l'espressione di propositi antisemiti, razzisti o xenofobi: quel che si ascoltava nel dibattito politico degli anni '30 è impensabile oggi. Dunque, anche se ci sono idee xenofobe, direi che nelle democrazie occidentali ci sono delle barriere che trattengono il discorso xenofobo. Inoltre, negli anni 30 la democrazia era molto meno solida di oggi. Difatti, quel che più colpisce quando si interrogano gli elettori del Front National è che sono attaccati alla democrazia e questo è divertente, perché Le Pen, che è attaccato al sistema presidenziale della Quinta Repubblica, ha il suo modello nella democrazia svizzera. Ci sono interi paragrafi del suo programma che fanno il panegirico della democrazia svizzera, soprattutto per il referendum. In tal modo, può opporre alla democrazia rappresentativa la "vera" democrazia, che consiste nel dare la parola al popolo tramite referendum. l'esaltazione del referendum svizzero Dunque, non siamo assolutamente nella stessa situazione degli anni 30! Ora, l'estrema destra è legata ai princìpi fondamentali della democrazia. La sua critica si rivolge contro una classe politica, che Le Pen ha ribattezzato "I' establishment politico", non contro le istituzioni fondamenta) idella democrazia. Ciò detto, non voglio sottovalutare i pericoli. Che cosa intenda Le Pen quando pensa al referendum di iniziativa popolare lo si può immaginare: certamente a dei referendum sugli immigrati o sulla pena di morte. Sarebbe un mezzo per instaurare una democrazia populista, aggirando le istanze rappresentative elette. Le Pen incarna benissimo una leadership autoritaria e popul ista. Da questo punto di vista, parlare di "nazional-populismo", come fa Pierre-André Taguieff, risulta calzante, perché le due dimensioni che strutturano il discorso del Front National, incarnate dal suo leader, sono la di fesa della nazione francese contro i nemici interni ed esterni, cioè gli immigrati e l'Europa dei tecnocrati di Bruxelles, e il populismo, ossia dare il potere al popolo facendo a meno delle "élites corrotte" che "non si preoccupano affatto di quel che la gente vuole". Cari amici, lettera da Sarajevo ero giusto appena guarita dall'influenza quando è arrivato un gruppo di giornalisti italiani. Volevano vedere un sacco di cose e fare tante interviste, ma non conoscevano la città, così li ho dovuti accompagnare io. Di quei giorni la cosa più importante è stata conoscere il generale Dell'Aglio, comandante delle forze italiane dell'lfor, una persona davverosquisita. Giorno dopo giorno arrivano convogli di autocarri e di soldati dell'lfor da ogni parte del mondo. La loro missione non è facile: consolidare la pace in Bosnia Erzegovina. Ma, se si pensa quant'è stata la sofferenza per il popolo bosniaco durante la guerra, si capirà l'importanza della presenza dell'lfor. Per la prima volta dopo così tanto tempo sono andata con mio figlio Faris al concerto d'inizio d'anno. Per la prima volta dopo così tanto tempo ho passeggiato per le strade senza il timore dei cecchini o delle granate. E quando sono arrivata al teatro ho visto che ogni cosa era come una volta. Le stesse care facce conosciute, le donne elegantemente vestite, con i gioielli di famiglia, e poi le luci, i sorrisi ... ma anche un amaro sentimento nel cuore: quante persone non sono più qui a condividere con noi questo momento. Come ogni volta che mi pare di essere felice mi accorgo che mio marito è morto e che mi manca tanto. Durante le giornate di lavoro non ci penso mai molto, ma nei momenti belli vorrei che fosse qui con noi. Tutti si preparano con cura per questo concerto. Amila, per esempio, è venuta a casa mia a prendere in prestito un cappotto e le scarpe, perché non può comperarne di nuove e le vecchie non le vanno più bene. E' stato meraviglioso, ho incontrato tanti amici e giornalisti tornati a Sarajevo per vivere il passaggio simbolico di un grande momento: la fine di un anno e l'inizio di uno nuovo. Forse la fine di un incubo e l'inizio della pace. Dopo il concerto sono tornata a casa, Faris è andato a dormire ed io sono rimasta sola in casa. Quest'anno ladifferenza è stata che avevo l'elettricità e potevo vedere la Tv. Ma quando è scoccata mezzanotte non avevo nessuno con cui scambiare un bacio e gli auguri per l'anno nuovo. 111 °gennaio sono andata a pranzo dai miei genitori. Sette giorni dopo c'erano le celebrazioni del Natale ortodosso. Ricordo che solo pochi anni fa eravamo soliti festeggiare tutti insieme anche questa ricorrenza. Andavamo a casa dei nostri amici serbi che preparavano per noi qualcuno dei nostri dolci preferiti o altri piatti tradizionali che di solito si fanno in quei giorni, come l'agnello. Quest'anno invece non sono contenta, in questi giorni sono solo terrorizzata: che qualcosa succeda a qualcuno di noi, che qualcuno paghi con la vita un momento di felicità, come è sembrato accadere durante la guerra. Alla sera abbiamo sentito rumori di spari, ma nessund è stato colpito. Ho visto il mio amico Valerian: è venuto un giorno a casa mia per dirmi che finalmente sua figlia è andata negli Stati Uniti dove pensa di studiare in qualche università. Non ci sarebbe niente di strano, in condizioni normali, ma qui durante la guerra molte persone, per salvare i figli, per mandarli in qualche parte del mondo, hanno dovuto affrontare grossi sacrifici. Le donne hanno venduto i loro gioielli o qualsiasi cosa di valore avessero in casa. Lo stesso è successo a Valerian: è uno scrittore, ma durante la guerra era senza soldi, senza lavoro e qualche volta è rimasto senza mangiare per riuscire a comperare il biglietto dell'aereo per gli Stati Uniti. Era molto felice di mostrarmi la prima lettera e le foto di sua figlia. Poi mi è venuto in mente che dopo il caffè a casa mia lui sarebbe ritornato nel suo appartamento vuoto. Ha venduto la Tv, tutti gli elettrodomestici, i quadri e anche dei libri per poter comperare quel biglietto e dare a sua figlia la possibilità di studiare e avere un futuro. Valerian era a casa mia domenica, lunedì mattina molto presto io dovevo partire per Spalato. Non ci sarebbe stato niente di eccezionale, ma devo dire che questa era la prima volta dopo quattro anni che io lasciavo Sarajevo, la nostra prigione in tutti questi anni e che tornavo a vedere Spalato, la città dove sono nata. Dopo che era morta mia nonna, nove anni fa, non ero più tornata a Spalato. Questa volta dovevo tornare per lavoro. Ero al tempo stesso spaventata e felice, eccitata e triste. Ho perso l'abitudine di viaggiare, e prima di tutto non sapevo che cosa portare con me, inoltre sapevo che avrei dovuto attraversare llidza (la parte di Sarajevo ancora nelle mani dei serbi). Avevamo un'auto blindata ed anche la scorta, ma comunque provavo una strana sensazione. Tutte le case dalla nostra parte vicino ad llidza sono distrutte. Una volta c'erano belle case con alberi e giardini, ora è una città fantasma. Il mondo fuori di Sarajevo sembrava normale come se la guerra non l'avesse mai toccato. Appena arrivati nei pressi di Mostar abbiamo però rivisto case distrutte e segni di distruzione. A Mostar la devastazione era enorme. Avrei voluto gridare: "Dov'è finita tutta la sua bellezza?". Tutto ciò che l'uomo e la natura insieme avevano creato per secoli, la stupenda moschea del XV secolo, il vecchio ponte, tante case: tutto distrutto. Chi è stato così diabolico e violento da essere capace di distruggere tanta bellezza? Dopo Mostar, lungo la Neretva, fino a Metkovic, in Croazia e anche qui i segni della guerra non si vedono. E poi, finalmente, il mare. lo sentivo l'aria con un profumo diverso, vedevo l'erba di un altro colore: eravamo in Dalmazia. Dopo un'ora avrei visto la città dov'ero nata, la mia casa, la mia scuola, il posto dove sono sepolti i miei bisnonni. Anche a Spalato, come in tutte le altre città della costa, non si vedevano i segni della guerra. La città piena di gente, le strade piene di traffico, belle case e negozi e soprattutto la bellezza dell'arte classica romana del palazzo di Diocleziano. La figlia di mia cugina è venuta a prendermi: l'avevo vista una prima volta quando era piccola, ora è una giovane donna elegante, alta come una mannequin. Cena in famiglia, baci, centinaia di domande a cui ho dovuto rispondere. Non erano sinceri nel farmi i complimenti: non mi hanno detto come realmente sono apparsa loro. Solo mia cugina Ksanta mi hachiesto cosa ne è stato dei miei bei capelli biondi (ora sono grigi). Il giorno dopo sono andata a visitare la città e a vedere le care strade e le piazze. Quando sono arrivata alle porte delle mura e sono entrata nel palazzo di Diocleziano, ho sentito sul viso due grosse e calde lacrime: non volevo piangere, ma è stato più forte di me. Sono andata innanzi tutto alla "mia" chiesa, la cattedrale di San Dujo, dove lo stesso buio e lo stesso profumo mi stavano aspettando. Poi ho passeggiato per le strade della città vecchia, piene di negozi belli e nuovi e pieni di cose costose e non necessarie (a Sarajevo abbiamo dovuto imparare che è possibile vivere senza molte cose). Non ho potuto comperare niente, a parte alcuni dolci tipici di Spalato. Essere nella mia città natale è stato meraviglioso e contemporaneamene doloroso. Ma il giorno è comunque volato via e sono ripartita per Sarajevo. Fino all'ultimo ho cercato di guardare la linea blu del mare, poi sono arrivati i paesini croati, poi l'Erzegovina con tanti segni della terribile guerra e infine la Bosnia. A llidza di nuovo uno strano senso di paura e amarezza di fronte ai camion e alle auto dei serbi che hanno deciso di partire portando con sé ogni possibile cosa. La nostra gente in Bosnia, a Banja Luka, a Bijeljina, a Foca, a Srebrenica è stata fortunata quando ha potuto salvare la vita, perché per il resto non ha potuto portare con sé neppure i documenti né le foto di famiglia. Per questa stagione è stato caldo, forse il sole ha voluto fare la sua parte per la pace. Una mattina ho visto dalla finestra del mio ufficio due ragazzine che giocavano nel prato e s'erano tolte il giubbotto. Come tutti i bambini del mondo hanno fretta di giocare all'aperto e hanno voglia di sole e di crescere in pace. Quella scena mi ha ricordato la mia infanzia e quanto io ero più felice di loro: non sapevo cosa fossero il buio, il freddo, la fame, i bombardamenti. Ora per mio figlio, per quelle due ragazzine, per tutti i bambini della Bosnia spero che quelle cose non tornino e che la vita sia bella e normale come quel 20 gennaio. Kanita Fociak BibliotecaGi'noBianco PER I RAGAZZI DI SARAJEVO Almedina è nata a Sarajevo il 28 settembre 1986. Come tutte le bambine della città ama giocare con la Barbie, fare collezione di figurine e di tovaglioli di carta colorati. Ma la guerra ha spezzato la vita normale e felice della sua famiglia fin dal primo giorno. Il 6 aprile 1992 Almedina, suo fratello di un anno più grande, sua madre Senada e suo padre Aziz furono cacciati dalla loro casa nella parte di Sarajevo chiamata Pionirska Dolina, tuttora nelle mani dei serbi. Diventarono profughi nella loro stessa città e cominciarono a cercare un'altra abitazione. Ma non furono risparmiati da un'altra terribile disgrazia: una granata esplosa di fronte alla porta ferì gravemente alla testa la madre di Almedina. Nessuno poteva credere che si sarebbe salvata, ma la vita qualche volta riserva dei miracoli. Senada è oggi viva, ma paralizzata. Non può più camminare. Con l'aiuto del marito riesce ancora ad occuparsi della casa e dei due figli. Almedina e suo fratello sono molto bravi a scuola. Lei frequenta la quarta classe, studia già inglese ed arabo e la sua materia preferita è la matematica. Finite le lezioni il suo gioco preferito continua ad essere la Barby. Almedina è molto minuta e dimostra meno dei suoi anni. Parla così lentamente come se avesse paura di sbagliare e dice sempre solo il minimo indispensabile. Quando sono con gli altri bambini, suo fratello Aldin è sempre attento perché si sente responsabile di lei. Amila è nata a Sarajevo il 12 novembre 1977. In soli tre anni e nel bel mezzo della guerra, Amila ha finito due scuole: il liceo classico e la scuola musicale e con il massimo dei voti. Parla in modo eccellente inglese, francese e italiano ed è una ragazza incredibilmente matura per la sua età. Non l'ho mai vista senza un libro. Fuori dalla scuola è una ragazza normale, dolce, sensibile, benvoluta dai suoi compagni. Amila ha entrambi i genitori: il padre Enes è un geologo, la madre Tenzila è una neuropsichiatra. Il che significa che da anni il padre non lavora, e chissà quando potrà tornare a fare il geologo in uno stato disseminato di mine, mentre la mamma lavora duramente in una clinica psichiatrica. Amila cerca di mandare avanti la casa, pulendo e cucinando e contemporaneamente frequenta l'accademia musicale. Sua madre non è soddisfatta per questa scelta della figlia: pensando al futuro avrebbe preferito per lei degli studi di medicina. Ma Amila è stata molto risoluta nella sua decisione. Mi ha detto che è stata la musica a salvarle l'anima e la vita durante la guerra. Nei momenti più brutti e pericolosi suonava il piano per sé e per i suoi amici. Fra le conseguenze della guerra -morte di persone, invalidi, case distrutte- c'è da mettere anche la distruzione di tante famiglie, all'interno delle quali i bambini o i ragazzi soffrono e stentano a trovare la loro strada. Amila, in questa guerra, ha trovato la musica e la cultura, non ha perso i genitori, ma ha perso l'armonia famigliare, quel clima così importante per ogni bambino. So che questa ragazza così brava e coraggiosa ha bisogno di un piccolo aiuto. Timur è nato a Sarajevo il 16 febbraio 1991. Ricorderò sempre quando 4 anni e mezzo fa Nera, la mamma di Timur, mi chiamò un po' confusa ed emozionata per dirmi che era incinta e per chiedermi cosa doveva fare. Aveva già due figlie grandi, Ariana e Harisa, che frequentavano le scuole medie. Risposi semplicemente che noi crediamo solo nel nostro detto che ogni bambino ha il suo destino, ma tutti portano buona fortuna ai loro genitori. Qualche mese dopo nacque Timur e davvero portò felicità nella sua famiglia. Non solo era un bel bambino, ma era anche l'unico maschio che avrebbe potuto dare continuità al nome di famiglia, perché anche lo zio era senza figli. Felice era soprattutto suo padre Sukrija che non era più tanto giovane. Purtroppo la sua felicità non è durata a lungo: il 20 agosto del 1993, durante un'azione nella quale furono uccisi molti dei suoi soldati, Sukrija fu stroncato da un attacco di cuore. Timur aveva appena due anni e mezzo, ma fin dal primo momento seppe la verità. Suo padre era morto e non l'avrebbe più rivisto. Circondato dall'amore delle sorelle e della mamma, Timur vive come un bambino felice. Piange solo quando piove, perché teme che l'acqua entri nella tomba di suo padre. E' ancora troppo piccolo per andare a scuola, ma è già un bambino responsabile, intelligente, molto aperto e socievole. Suo padre era un carpentiere, la madre una sarta, ma ora, naturalmente, non lavora. Anche lei soffre di cuore. Mia è nata a Sarajevo il 1 ° maggio 1985. E' l'alunna più brava della sua scuola "Grbavica I". Ha tanti interessi, ma quando le ho chiesto di esprimere un desiderio mi ha immediatamente risposto: "pollo! Un po' di carne di pollo!". Il che significa che la vita che i nostri bambini hanno passato a Sarajevo in questi anni è stata così assurda che il massimo della loro fantasia e dei loro desideri è il cibo. Ama moltissimo guardare la tv, leggere e disegnare. Ama gli animali e in un attimo può disegnare quello che vuole, un gatto o una lepre ... Fa amicizia facilmente dovunque si trovi perché è molto aperta e socievole. Vive sola con la madre Sabina. Il padre, Tomislav, professore universitario di veterinaria, è morto il 14 novembre 1992, due giorni appena dopo essere stato insignito del titolo di dottore in scienze nella nostra università. Mia assomiglia molto a suo padre ed è molto felice quando qualcuno, che ha conosciuto Tomislav, lo sottolinea. Anch'io lo conoscevo, da quando eravamo bambini. Era simpatico e da lui Mia ha ereditato l'amore per gli animali. Si può ben immaginare come è stato difficile e doloroso per Tomislav vedere all'inizio della guerra tanti animali vagare soli ed affamati nelle strade devastate dai bombardamenti, abbandonati dai loro padroni privi del cibo anche per se stessi. E' così che da Sarajevo sono scomparsi cani e gatti bellissimi. Ora la situazione è un po' migliorata per tutti, ma resto convinta che quella tristezza ha avuto un ruolo nella morte improvvisa del padre di Mia. Mirza é nato a Sarajevo il 6 maggio1984 ed è figlio unico. E' un ragazzo molto gentile ed intelligente. Ora frequenta la quinta elementare, ed é così bravo da essere il migliore della sua classe, tanto che i suoi insegnanti lo hanno proposto per la classe speciale (quella per gli allievi più intelligenti). Ma fuori dalla scuola é un ragazzino normale come tutti quelli della sua età che abitano nelle vicinanze, e la sua più grande passione é il calcio. Mi ricordo che durante i terribili giorni della guerra, nonostante il pericolo dei bombardamenti, cercava sempre di scappare per le strade a giocare con gli altri bambini. Non c'è bisogno di spiegare come si sentivano i suoi genitori in quei momenti! Una volta persino un poliziotto gli ha detto che avrebbe fatto stare suo padre molto in pena se avesse continuato a corrersene per le strade a quel modo. Mirza è stato fortunato a sopravvivere, non è stato neppure ferito, ma la vita é spesso crudele. Dopo tutte le sofferenze passate durante la guerra, proprio quando veniva firmata la pace, il padre di Mirza, Ibrahim, è morto di cancro. Era 1'11dicembre 1995. Ora Mirza vive solo con la madre Aida, casalinga. Anche se sa che suo padre è morto, non mostra la sua tristezza. Si può scorgerla solo negli occhi. Il suo più grande sogno è diventare il nuovo Roberto Saggio. Damir è nato il 15/6/82 a Banja Luka (ora territorio serbo). Quando la guerra è cominciat8i,tutta la famiglia viveva lì. Come molti altri uomini che non erano serbi, anche il padre di Damir fu fatto prigioniero e avviato ai lavori forzati. Intanto la madre di Damir faceva tutto il possibile per ottenere i documenti e le carte necessari per lasciare Banja Luka, dove la vita era sempre più pericolosa e difficile per chi non era serbo. Non sapremo mai quali cose orribili hanno dovuto sopportare a Banja Luka, ma finalmente nel gennaio '95 sono riusciti ad avere tutti i documenti necessari, e, dopo aver firmato una dichiarazione con la quale lasciavano " volontariamente" tutte le loro proprietà, sono arrivati in una piccola città, Bugojno, dove un parente aveva trovato loro una casa. Pur essendo profughi erano felici di essere vivi. Finalmente in salvo cominciarono una nuova vita. Un giorno, il 12 luglio 1995, i genitori di Damir avevano sentito dire che da Banja Luka erano arrivati i1uovi profughi. Decisero di far loro visita e di aiutarli in qualche modo. Presero tutto il cibo che erano il'.)grado di portare ed uscirono di casa; Damir non voleva uscire e rimase a casa. Quella sera c'era un grande temporale: improvvisamente cadde un fulmine e li colpì. Il padre lsmed e la mamma Jamika, tutti e due di 34 anni, morirono insieme, di fronte a casa e sotto gli occhi di Damir. Dopo la tragedia i fratelli della mamma, Mirsad (28 anni) e Jasmin ldrizovic (32) presero Damir con loro a Sarajevo. Così ora vivono insieme (anche loro sono profughi da Banja Luka) in una casa che momentaneamente gli è stata ceduta da una persona che ora non vive a Sarajevo, ma potrebbero essere senza casa da un momento all'altro. Gli zii non sono sposati, così sono tre maschi soli in casa. Damir non parla molto. E' un ragazzo calmo ed intelligente. Frequenta ora l'VIII classe delle elementari ed è molto bravo. Gli piacciono la musica ed il calcio. Ama molto gli uccelli: lo zio Mirsad gli ha regalato un canarino, ha speso 20 marchi (il suo stipendio mensile è di 40 marchi!). Il sogno più grande di Damir è vedere il mare. ( a cura di Kanita Fociak) Per aderire all'iniziativa di adozione a distanza inviare il contributo tramite bonifico bancario c/c 28304m della Carisp di Forlì, sede centrale, specificando se si tratta di una tantum o di versamento mensile, bimensile, o trimestrale. L'entità del contributo è del tutto discrezionale, mentre ad ogni ragazzo di Sarajevo verranno versate 200.000 lire mensili, almeno per un anno. I brevi cenni biografici riportati sopra riguardano i primi ragazzi che già ricevono il contributo mensile. Per informazioni rivolgersi alla redazione di Una Città. Tel. 0543/21422; fax 0543/30421. UNA CITTA' 1 3

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