Una città - anno V - n. 39 - marzo 1995

lo che adessoho ancora rabbia dentro. Quelle due persone che sono mancate erano miei cugini. Se un domani dovesse di nuovo capitare, credo proprio che non starei più in mezzo agli altri acuriosare, macercherei di fare subito qualcosa. Silvano. La rabbia di tutta la gente, dicevo, al di là del problema Ferrero, è proprio quella di aver subito un dramma, un disastro terribile, senzaneancheaver capito cosastava succedendo. Questo è stato, secondo me... Chiara. Inqualificabile ... Silvano. E' il punto più balordo di quanto è successo. Perché poi gli eventi naturali, si sa,a volte hanno questa violenza. Il Tanaro è amico damigliaia di anni eseogni tanto fa un po' il cazzoneè anchecomprensibile. E d'altronde gli hanno rubato il letto, gli hanno fatto far!! curve che lui neanche s'immaginava e questa volta ha tirato dritto. Ma qualunque imbecille avrebbe capito che l'acqua che tre ore prima, 30 chilometri sopra, viaggiava 6-7 metri sopra il letto normale, sarebbe scesa a valle. Da noi c'era un ristorante proprio in mezzo al Tanaro, nel letto, e sa.batosera c'era una cena con gente che andava e veniva. Li hanno salvati la domenica pomeriggio con gli elicotteri. Il cameraman che ha ripreso Tanaro in piena, seguendolo in gommone e l'acqua. Questa è la rabbia che non passerà. Passato il ricordo dell'alluvione è rimasto un malessere e, anche, un'ostilità per chi avrebbe avuto il dovere di fare alcune cose molto semplici che non ha fatto. Sarebbero bastatedue telefonate del prefetto di Cuneo per bloccare le strade. Sicuramente si sarebbe evitata la perdita di qualche vita. Poi per il resto non è che puoi fare molto di più. Silvano. Cosa, mi è rimasto più impresso alla fine? La sensazione "bellissima", fra molte virgolette, provata dopo due ore che ero dentro alla Ferrero, che i principii che erano alla basedella vita dei nostri non erano perduti. Io abitavo in Langa dove, in paesini molto piccoli, era molto spiccato questo senso del mutuo soccorso perché la vita te lo imponeva quasi tutti i giorni. Ora, col boom, la ricchezza, il telefonino e tutto il resto che è arrivato anche in quei posti, tutto questosembravaperso.Mi ero convinto che ci si fosse dimenticati di cosa fosse l'aiutarsi, il cercare di soccorrere chi ne ha bisogno, e che ognuno si fosse isolato nel proprio angolo. Ma è bastataun'occasione così per recuperare tutto. Ti sei trovato a fianco di gente che magari neancheconoscevi, perché operiamo su turni diversi, e in tre secondi la conoscevi, le parlavi, sentivi che quella era gente che come te stava operando per un bene comune. Per il resto, non possoneanche dire di aver visto cose particolari. Ognuno si occupava, a testa bassa,dei propri duemetri quadrati di fango che avevada togliere. Uno · può pensare che entrando dentro magari uno andasseanchea girare, a curiosare, invece io un altro reparto l'ho visto tre giorni dopo. Quando sembrava già che ci si potessemuovere, allora ho detto: "voglio andarea vedere cosa è successo nel reparto dove lavora mio fratello", che era in zona molto più bassa, molto più disastrata. Ma la gente non è corsa avanti e indietro a curiosare o raccontarsi, la gente è _entratae ha lavorato. Solo dopo I 015 giorni, quando cominciava a vedersi qualcosa, allora ogni tanto uno poteva andare a vedere i progressi che s'eran fatti da un'altra parte e devo dire che lì si è anche scatenatauna concorrenza, in senso buono, tra le varie isole. Una ripresa in tempi così brevi è stata eccezionale. Anche adesso, raccontandolo tante volte, non ci si riesce a rendere conto di quanto fossedisastrato. Lì ci sono macchinari, centrai ineelettroniche, ci sono miliardi di quadri elettrici, unacosa enorme, tutto pieno di fango. Ripeto la risposta è stata eccezionale e d'altronde quando migliaia di persone lavorano, ne spostano di materiale, di detriti in breve tempo. Se non eracosì, non soquando avrebbe potuto riprendere il ciclo produttivo l'azienda. Invece, a fronte che adessoha pubblicato una vide- di un disastro in data 5 novembre, ocassetta, è stato l'unico furbo in abbiamo ripreso per la campagna provincia che ha detto: "uno più di Natale, che per noi era molto uno fa due, questo fiume va aAlba, importante. Il primo giorno che ho va aAsti". Al Iora, aAsti o Alessan- rivi sto uscire dal lamia Iinea il Mon dria, dove è arrivato 24 ore dopo, Chéri, ero con il capo-isola che mi qualcuno, se avvisato, poteva an- dice:"questoèunmiracolodiDio". che salvare qualcosa nelle case o Gli ho detto: "con tutto il rispetto portar via le macchine. Forse si per Dio, questo è un miracolo compotevamo salvare le vite, che sono piuto dalle braccia di questa genun'altra cosa dalle macchine. Io te". Questa gente se la sente sua la conosco dei ragazzi che sono anda- Ferrero, ma in senso buono. Lati a ballare e due su quattro non sciamo stare quelli che sono poi i sono più tornati a casa, uno lo stan- rapporti sindacali fra lavoratori e no ancora cercando, saràsotto due azienda, parlo di un'altra cosa, di metri di fango da qualche parte. E' pensiero, di educazione. Il 90% questo che fa rabbia. A mezzanotte degli operai sente la Ferrero come io giravo con tre amici sulla strada sua, nel sensoche è un'azienda che del Tanaro, avevo 20 centimetri dà da mangiare a parecchie famid' acqua nella macchina, giravamo glie. Questa è una zona che vive per vedere magari sec'era bisogno bene, eh~ ha una certa tranquillità, di aiuto e ancheper curiosità, devo anche grazie a questa azienda, per dirlo, perché non riuscivamo a ca- cui uno conta sempreche l'azienda pire cosa stava succedendo. Ma vada bene. Senzaquesto sentimenvedere 50 centimetri d'acqua in to non si sarebbepotuto andar denposti dove non c'era mai stata ha tro,abbassarelatestaetirareavanti incominciato a farci pensare che otto ore senza sosta. Il risultato, il effettivamente stava succedendo miracolo, di far partire alcune linee qualcosa di drammatico. C'è stato dopo 25 giorni può solo nascereda un annuncio a Tutto il calcio minu- questo tipo di rapporto. Voglio dire, to per minuto del sindaco di Ales- così per banalizzare, che, se il prisandria che forse ha avuto un flash, mo giorno ci fosse stato un biglietche ha incominciato a chiedere ai to d'ingresso, la gente l'avrebbe cittadini di evacuare, ma è stato pagato pur di entrare e cercare di l'unico segnale. Alla fine è stato liberare l'azienda da quella massa accusato il prefetto di Alessandria, di fango. et è r,òchecato G In o Bianco· ANCORA COINCIDENZE Una ragazza abbagliata dall'occidente che però sa tutto di armi, tiene testa ai giudici, parla cinque lingue e, forse, ha cinque anni in più. Il caso carico di misteri della Uno Bianca sembra girare attorno all'età di una giovane venuta dall'est. Sarebbe più comodo per tutti (?) che la storia la si potesse raccontare così. Esiste in Emilia Romagna una famiglia strana, "deviata", col padre fascista fanatico delle armi, i tre figli (due dei quali poliziotti) razzisti che estremizzano gli insegnamenti e si mettono a sparare su neri, zingari e sui testimoni scomodi delle loro rapine, compiute per la ragione più banale: il denaro. Attorno, un corollario di donne dei killer che sanno fin dall'inizio ma sono paralizzatedalla paura ese ne guardano bene dal denunciare. Una benevola considerazione del loro legittimo terrore porterà a perdonarle. Tra le donne, una rumena di nazionalità ungherese, giovane, bella, potenziale star, che sposta il colore della vicenda dal giallo-nero al rosa con grande soddisfazione ed evidente sollievo. Sipario. Sarebbe comodo perché risolverebbeunsaccodi interrogativi,scaccerebbe le paure, ridurrebbe al livello della facile comprensione ciò che sarebbe troppo difficile da spiegare. Meglio pensare a una patologia, un delirio di pochi, peraltro ora in manette, che coltivare dubbi su un fenomeno complesso, articolato, ramificato, originato da un preciso disegno strategico, coltivato nella consapevolezza da settori dello Stato per inconfessabili fini. Il sospetto che dietro la storia della Uno bianca ci siano vecchi e nuovi personaggi che l'Italia ha imparato a conoscere (meglio: a non conoscere) nella stagione delle stragi e dei misteri è in realtà molto più di un sospetto. E se ci si era illusi che finalmente sarebbe stata la volta della chiarezza ecco che, a tre mesi dall'esplodere del caso, si è tristemente tornati in un'atmosfera da Prima Repubblica con intrighi connessi. L'ex ministro dell'interno Roberto Maroni aveva solennemente annunciato, all'arresto dei primi poliziotti, che stavolta lo Stato non ..9-vrebbe_coperto di "omissis" ciò che si prefigurava già come almeno inquietante. Il primo titolare non de- . mocristiano del Viminale poteva essere la garanzia di una soluzione di continuità con la pratica diffusa del silenzio. Ma l'impegnativa dichiarazione è stata, successivamente, in parte rettificata. L'inchiesta sulla Questura di Bologna, partita all'insegna della trasparenza, si è trasformata in un atto d'accusa pesantissimo ma generico, in cui ai nomi son state sostituite le funzioni. E c'è da credere che, se epurazioni ci saranno, awerranno alla chetichella, nell'ombra degli uffici amministrativi e non alla luce dei riflettori. Peccato, la Seconda Repubblica ha sprecato l'ennesima buona occasione per dimostrare che daweroc'è una voglia di nuovo. E, stavolta, non nella lottizzazione selvaggia o nelle clientele, ma su un caso che è una scia di sangue lunga sette anni, con un numero di morti superiore a Piazza Fontana o al1l'talicus, nella stessa Regione che è stata il crocevia della strategia della tensione. Il profilo personale dei killer sinora arrestati, anziché togliere elementi alla suggestione del grande complotto, in realtà la rafforza. I fratelli Savi non facevano politica, cioè non erano in qualche modo incasellabili in questo o quel partito. Ma un'ideologia definita ce l'hanno senz'altro e va ben aldilà del voto espresso per Forza Italia da Fabio il Rambo, il non-poliziotto dei tre, alle ultime elezioni Un'ideologia rozza, semplice, ma chiara: odio verso gli zingari, gli extracomunitari, aspirazione alla "pulizia", all'ordine, vitalismo, amore smodato verso le armi in nome di un aberrante Superomismo. Va subito sgomberato ilcampo dalla motivazione economica dei colpi, sebbene espressa durante gli interrogatori. La sua amante romena di nazionalità ungherese Eva Mikula ha spiegato come sia riuscita, in ripetuti piccoli furti, a prendergli dal portafoglio 40 milioni. Troppi, no, se uno è ossessionato dal denaro? E poi quale logica presiede all'uccidere anche per poche migliaia di lire? Lo stesso Fabio, durante un interrogatorio, al giudice: "Va bene, io vi racconto tutto, ma voi in cambio mi inserite in un corpo militare per azioni speciali". Prima di sorridere dell'aberrante richiesta sarebbe il caso di rifletterci. Solo un uomo convinto, nel profondo, di aver servitouna causa, può lanciarsiinun'affermazione del genere. A Eva Mikula aveva confidato di essere dei servizi segreti. Per I' ipotesi minimalista si tratterebbe di millanteria. Troviamo traccia, nei verbali, dello stesso Fabio seduto a conversare amabilmente con un amico (romeno) della sua donna di traffico di mercurio rosso, utile per l'innesco di bombe atomiche a basso costo. Di lui che passa il confine col tesserino da poliziotto del fratello Roberto per trafficare in armi. Roberto, l'abbiamo visto deporre al processo per l'eccidio dei carabinieri al Pilastro (Bologna). Voce bassa, metallica, a volte anche sprezzante. Contatti coi servizi segreti, gli chiedono? E lui: "Non so se posso rispondere, non per questo caso, comunque, per altri". Quarantenne, forlivese, è ritenuto il vero capobanda. Stava sulle volanti dellaQuestura di Bologna. li suo nome è l'ultimo sull'elenco-vendite dell'armeria di via Volturno (Bologna), prima della strage in cui vengono uccisi la titolare e il suo assistente (maggio 1991). Eppure nessuno si premura di interrogarlo se non altro per chiedergli: "Visto nulla di strano in quell'armeria?". Nel suo curriculum ci sono episodi almeno inusuali. Ha rapato un extracomunitario in cella, ha sparato a un ladruncolo in fuga, possiede un Ar70, lo stesso tipo di arma che ha sparato al Pilastro. E che è talmente nuova da non essere nemmeno conosciuta ai suoi colleghi della scientifica. Tanto che lo invitano a portare l'esemplare per studiarlo, per vedere com'è. Ce ne sarebbe a sufficienza per inserirlo tra gli indiziabili. Da anni, inoltre, circola la convinzione che sulla 'Uno bianca viaggino esponenti delle forze dell'ordine. I carabinieri, ad esempio, hanno discretamente controllato già dal 1991.gli armadietti e le abitudini di chi si trova nei loro ranghi: invano. Eppure i colleghi di Roberto Savi che sono incaricati di arrestarlo in ufficio, la sera del 21 novembre, ancora non ci credono. Pensano a un abbaglio della polizia di Rimini che ha condotto la fase decisiva delle indagini e lo trattano con tutte le cautele, "scusa, sai, ci devi seguire". Quando lui a casa, per la perquisizione, mostra l'arsenale ecomincia a confessare, si arrendono all'evidenza. Nel tragitto in auto si lascia scappare: "Siamo in tanti, aspettiamo i kalashnikov". Sua moglie è originaria dello stesso paese (Cupramontana, Ancona) dell'ispettrice Gabriella Gagliardini, 007 del Sismi, coinvolta nell'inchiesta sul delitto dell'Olgiata e ci sono testimoni che giurano di averli visti assieme. Il suo odio per gli extracomunitari ha un'eccezione. La sua amante, infatti, è nigeriana. Proprio durante i turni di servizio sulle volanti ha "arruolato" gli altri componenti della banda. Dall'amico Pietro Gugliotta all'agente decorato Marino Occhipinti, al giovane Luca Vallicelli. Bisognerebbe accettare, adesso, che sia abitudinario in Italia, alle soglie del 2.000, un discorso tra poliziotti più o meno di questo tenore: "io vado a fare rapine e ammazzo zingari, neri, testimoni scomodi, ci stai anche tu?". "Come no, eccomi pronto". O non sarà, forse, che gli argomenti di convinzione erano altri, le coperture, il fine, il disegno strategico? E' anche stupefacente l'atteggiamento degli agenti appena arrestati. Hanno confessato subito, tutto, anche troppo se per alcuni episodi gli inquirenti hanno già trovato altri responsabili "senza ombra di dubbio". Eppure i poliziotti conoscono bene i meccanismi processuali, sanno come utilizzare i cavilli giuridici, hanno imparato i trucchi con cui costruirsi un'autodifesa. I loro verbali-fiume sono la resa totale all'autorità costituita, quasi coltivassero la convinzione intima di un deus ex machina che arriverà a salvarli dall'altrimenti inevitabile ergastolo. Tengono solo una granitica linea, minata solo dalle piccole ammissioni che abbiamo riportato: dietro di noi non c'è nessuno, abbiamo agito per denaro. Così una ventina di omicidi sono stati commessi senza un movente credibile se non si chiamano inausilio lecategoriedella follia. E anche accettandole, bisognerebbe aprire dei capitoli nuovi nella ricerca psichiatrica, perché non è conosciuta una follia che contagia un gruppo nutrito di persone. Le quali, per il vero, hanno mostrato una lucidità straordinaria nella preparazione meticolosa dei colpi, nella cancellazione delle tracce. Colpivano e sparivano come fantasmi finché ai fantasmi è stato dato un volto. Fin dagli arresti dei primi due fratelli Savi (Roberto e Fabio) gli inquirenti si sono affannati nel sostenere che si trattava di due elementi-due e non di più. Poi, davanti all'evidenza, di quattro, poi di sei. Come a limitare la portata eversiva. Sarà bene allora capire il perché. Se si accetta laversione ufficiale, il sudore artigianale di due poliziotti di Rimini, Baglioni e Costanza, unito a un colpo di buona sorte hanno portato a sgominare la banda. Baglioni eCostanza facevano parte del "pool interforze" costituito per dare lacaccia agli assassini della Uno bianca. Guarda un po' le coincidenze, il pool è stato sciolto poche settimane prima della soluzione del caso. Loro due, ostinati e bravi, sono andati avanti ad immagazzinare dati nel computer che utilizzavano da. due anni. Confrontando le migliaia di elementi si erano accorti che la gang rapinava banche con queste caratteristiche: senza vigilanza, con la porta per handicappati più facile da varcare, su strade di grande comunicazione per un'agevole via di fuga. Di banche così, nel Riminese ce ne sono 7-8. I nostri due si sono appostati a turno finché all'inizio di novembre a Santa Giustina, sulla via Emilia, hanno visto davanti ad un Istituto di credito un uomo che assomigliava molto al bandito filmato dalla telecamera a circuito interno durante un colpo a Cesena. Era Fabio Savi. Era stato trovato il bandolo di una matassa ormai solo da dipanare. Baglioni e Costanza saranno decorati e comunque se lo meritano per la dedizione. Avevano, è certo, come indizio anche una Mercedes targata Forlì notata nelle fasi dell'ultimo colpodella UnoBianca e risultata intestata al Rambo di Torriana. Potrebbero però essere gli esecutori inconsapevoli di un piano architettato molto più in alto se risulterà vero ciò che un confidente, legato ai servizi segreti francesi, ha narrato al giornalista del Resto del Carlino Roberto Canditi. Una storia che riassumeremo. Correva l'anno 1985.Da una struttura trasversale occulta che passa attraverso i sistemi di sicurezza dello Stato parte l'ordine di creare un'organizzazione formata da una cinquantina di persone da dislocare in punti nevralgici del territorio e, in particolare, in Emilia Romagna. Requisito richiesto: l'appartenenza alle forze dell'ordine, ma non sono sgraditi esterni di provata fedeltà. Per dare enfasi alle azioni basterà dare fiato a una fantomatica sigla, specializzata in rivendicazioni dal nome roboante di Falange armata. Dopo gli esordi soft del 1986, l'excalation con gli omicidi verso la fine degli anni 80. Tra quelli citati anche la strage dei carabinieri (cinque) a Bagnara di Romagna, attribuita a un militare impazzito che poi si è suicidato. Guarda caso pare che nei pressi di Bagnara fosse occultato un Nasco (deposito d'armi) di Gladio. Ricordate? I gladiatori furono messi in pensione proprio in coincidenza con le degenerazioni delle azioni della Uno Bianca. L'episodio del Pilastro tocca l'apice dello scontro con le forze "regolari" dello Stato. Chi muove le pedine intuisce però che forse un armiere di Bologna da cui si servono i Savi ha intuito tutto e dà l'ordine ai fratelli di eliminarlo. Così si spiegano via Volturno e la fuga dopo l'omicidio con le Beretta 98 FSche segneranno la seconda fase di sangue. Siamo ai giorni nostri. Nel luglio scorso parte l'ordine di sciogliere l'organizzazione, ma Roberto e Fabio decidono di continuare ugualmente. Ecco perché si decide di "bruciarli" facendoli arrestare. In assenza di conferme c'è comunque da sottolineare che la ricostruzione se non è vera è almeno verosimile Equesto non per ipotesi giornalistica, ma perché uno scenario del genere è stato più volte disegnato da magistrati che si sono occupati del caso in chiacchierate più o meno informali quando i Savi e i loro complici non erano ancora stati individuati. Pare almeno strano, dunque, a posteriori l'affanno speso nel minimizzare. Quanto all'Emilia rossa è intuitivo il perché sia il laboratorio in cui si esercitano trame occulte definibili di destra, per quanto la distinzione destrasinistra abbia ancora un senso. Nel corso del primo interrogatorio di Eva Mikula le è stato chiesto, e senza giri di parole, se sapesse qualcosa di Ustica e della strage alla stazione di Bologna. Facesse fede l'età dichiarata, in quell'anno (1980) la Mikula aveva 5 anni. Sul personaggio si è scritto molto. Lei si accredita come la ragazzina dell'Est rapita dall'amore e dal mito dell'Occidente. Ma ha amici che trafficano in armi e in mercurio rosso. In un'informativa dei servizi segreti italiani stilata dopo che è diventata personaggio, si sostiene che ha almeno cinque anni in più di quelli che si attribuisce e che ha avuto una relazione con un tale generale Popof dell'esercito ucraino. E qui c'è un bivio, ma le due strade che si biforcano portano entrambe in direzioni inesplorate. Prima strada: l'informativa è vera e allora bisogna considerare Eva un agente segreto dell'Est messa alle calcagna dei Savi come spia. Seconda strada: l'informativa è falsa e allora c'è da chiedersi perché i servizi segreti abbiano cercato di depistare. Lei si fa intervistare a suon di milioni, compare sulle riviste vestita più da soubrette che da protagonista di una vicenda dolente. Parla cinque lingue (romeno, ungherese, inglese, francese, italiano), il latino lo sa scrivere. Eppure ha frequentato la sola scuola dell'obbligo per poi impiegarsi come cameriera a Budapest. Dotata comunque di un'intelligenza e di una presenza di spirito fuori del comune, è in grado di reggere i testa a testa per ore con una batteria di magistrati. Al processo del Pilastro ha sciorinato una conoscenza delle armi veramente fuori dall'ordinario. A unapomanda si è rifiutata di rispondere perché "non rientra nel capitolato". Eppure dovremmo credere che, pur sapendo tutto, ha accettato di fare praticamente la schiava di Fabio Savi per paura, che per lo stesso sentimento è sempre tornata a casa dopo le innumerevoli fughe. Un ritratto, in verità, che si attaglia meglio alle altre donne della storia, la moglie di Roberto Savi, Annamaria Ceccarelli, l'ex moglie di Fabio, Maria Grazia Angelini. Anche loro sapevano da tempo, avevano le prove, però schiacciate dal ruolo se ne sono state ben zitte, contribuendo a costruire il muro d'omertà davanti alle gesta della banda. In questo aiutate dal clima che si respirava in casa del patriarca, Giuliano Savi, 70 anni. Quello che adesso è un vecchio comprensibilmente distrutto, ha attaccato sulla porta della propria casa un cartello che avverte:" Attenti al cane e al padrone". · Dove compare disegnata una pistola. Durante conviviali riunioni di famiglia si definiva orgoglioso di quelle persone che andavano a sparare contro neri e zingari. Parlava con nostalgia della sua infanzia in epoca fascista, "quando regnava l'ordine". L'ambiente dei Savi era questo, dunque favorevole per coltivare certe aberrazioni. Quei ragazzi avevano un identikit ideale per chi volesse creare un gruppo di fuoco con lo scopo di destabilizzare. Dalla questura dove Roberto lavorava non potevano arrivare intralci al "lavoro", semmai solo agevolazioni. Basta leggere le 144 pagine della relazione della commissione ministeriale d'inchiesta guidata da Achille Serra per rendersene conto. Il rambismo era più che sopportato. Certi agenti giravano con cinturoni fuori ordinanza presi a modello dai telefilm americani. Chi su di loro doveva vigilare era in altre faccende affaccendato. Insomma una Questura ridicola per la città che più di tutte in Italia avrebbe avuto bisogno di un efficiente apparato investigativo. Dobbiamo credere alle coincidenze? Gigi Riva UNA CITTA' 5

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