Una città - anno V - n. 39 - marzo 1995

di televisione e altro La caduta di qualità dei programmi e della professionalità nell'epoca della neo-Tv, fatta di flusso quotidiano e chiacchiericcio. Contenitori di pubblicità che devono pubblicizzare se stessi. L'indissolubile nesso fra democrazia e Tv e le due derive: plebiscitaria della destra e elitaria della sinistra. La comunicazione da uno a molti e il grave problema della "personalità televisiva". Intervista a Peppino Ortoleva. Peppino Ortoleva insegna Comunicazioni di massa all'Università di Torino. Qual è la situazione attuale della televisione italiana? Un verso di Nebraska di Bruce Springsteen dice: "99 canali e niente da vedere". Questa è oggi la sensazione di moltissimi utenti italiani: si accende la tv e la quantità di offerta è inversamente proporzionale alla qualità. Questa caduta di qualità, avvenuta negli ultimi 5-6 anni, si manifesta sia nei singoli programmi e generi che in una maggior sciatteria delle riprese. Per i programmi, a un'inflazione di talk-show, corrisponde l'estinzione del documentario, genere nato con il cinema e eh~ in tv, soprattutto negli anni '50 e '60; aveva conosciuto un'ampia crescita. E coi documentario scompare la capacità propriamente audiovisiva di riflettere sul mondo. Il talk-show non è necessariamente superficiale o sbagliato, a seconda delle persone presenti e del livello della conversazione si possono sentire le cose più assurde o più sublimi ma ildocumentario è un'altra cosa, ha alle spalle il tempo per un'elaborazione. Perché dunque questa caduta di qualità? Innanzitutto per un motivo economico: l'economia della tv, sia di Stato che commerciale, è in crisi profonda in tutto il mondo a causa di un calo graduale, ma ormai consistente, di interesse delle aziende e dei pubblicitari per il mezzo tv, al ...quale sempre più vengono preferiti mezzi più mirati. Un secondo aspetto è quello messo in evidenza, già all'inizio degli anni '80, da alcuni studiosi come Eco o Casetti, con il concetto di "neotelevisione". Finita l'epoca della tv classica, fatta con programmi di genere cinematografico per appuntamenti settimanali, cominciava un'epoca nuova in cui la tv diventava una presenza quotidiana in tutte le ore della giornata: una tv onnipresente, conversativa, più flusso che testo. Era un fenomeno nuovo per l'Europa, non per gli Usa dove la day-time tv era una miniera d'oro fin dagli anni '60. Questo cambiamento deriva dal fatto che nessun mezzo di comunicazione vive da solo, ma vive insieme con altri in un ambiente comunicativo dal quale ricava parte del suo significato. Dal 1955 al 1975, mentre hanno continuato a crescere tv e fonografia, cioè giradischi e mangiacassette, e mentre ha tenuto fortemente le sue posizioni la stampa quotidiana e periodica, la tv ha continuato a sottrarre ascoltatori alla radio e spettatori al cinematografo. Una volta affermatasi la tv, è stata la radio che per prima si è dovuta infilare in una sua nicchia, privilegiando flusso e conversazione, sopprimendo progressivamente gli aspetti più narrativi e testuali. La soap opera e il romanzo a puntate sono diventati nel frattempo generi televisivi. Ora, di nuovo, il passaggio alla neotelevisione come flusso continuo avviene perché, a sua volta, la tv viene insidiata dal videoregistratore e dalle tv via cavo o da decodificare. Se io guardo la tv per vedere i film o per vedere lo sport, non è più necessario che guardi la solita tv via etere, perché posso guardare film videoregistrati o seguire canali specializzati. A questo punto si rischia che la tv diventi flusso conversativo sempre meno specializzato, sempre più tappezzeria, innestando un circolo vizioso: la funzione della televisione si riduce perché ci sono altri mezzi. E nel momento in cui il pubblico televisivo diminuisce o diventa più distratto, il pubblicitario finanzia di meno e così si fanno programmi che costano di meno, i talk-show appunto, in cui basta prendere quattro pirla, metterli intorno al divano e farli chiacchierare. Questo però porta anche ad un appiattimento sul flusso ... C'è poi un terzo punto del decadimento televisivo: la fretta. Intendiamoci, la tv è sempre stata fatta in fretta. Anzi, la tv delle origini era quella fatta più in fretta perché, fino ali' arrivo della videoregistrazione professionale nel '56, tutta la tv era in diretta. B Era una.frettfperò, che solle~a ·1mestiere, una fretta teatrale, da messa in scena in diretta. La fretta attuale è diversa: la diretta non è molta perché la videoregistrazione si è banalizzata e c'è la necessità di fare, con pochi soldi e in tempi brevissimi, moltissima programmazione il cui contenuto scade molto rapidamente. E' una tv fatta in fretta che ha fretta di imporsi ali' attenzione dello spettatore. E' la questione del telecomando? E' scomparsa l'abitudine di guardare la tv avendo prima selezionato il programma; la selezione ormai avviene sul programma stesso. Questo, poi, è uno dei motivi per cui la critica televisiva è del tutto scomparsa. Fatta eccezione per il giornale, lo zapping è un fenomeno unico tra i media. La fretta non è solo quella di produrre, ma anche quella di attrarre lo spettatore: creare nel giro di pochi secondi un'immagine che attiri uno spettatore che in ogni momento può decidere di spostare la sua attenzione altrove. L'effetto del telecomando non è stato, come qualcuno aveva predetto un po' precipitosamente, che ciascuno si fa il suo programma, ma che in realtà ormai ogni programma tv ha innanzitutto la funzione di contenitore pubblicitario e quindi deve prestarsi ali' inserimento di pubblicità; in secondo luogo, che ogni programma in qualche modo deve tenere un suo ritmo, una sua logica; in terzo luogo, che ogni programma deve autopubblicizzarsi nel programma stesso, catturando spettatori. una professionalità da fotografi di matrimonio In questo c'è una logica di tipo parassitario, in senso biologico, non morale: la pubblicità è una sorta di corpo parassita che si inserisce in un corpo principale, che a sua volta, per nutrire il proprio parassita, deve pubblicizzare se stesso. Questo livello di pubblicizzazione è reso poi parossistico dalla misurazione ogni 5 minuti del1' Auditel. E un programma che non può dare per scontata l'attenzione permanente intorno a sé, non può neanche costruire un discorso unitario. Nella storia dei media è un problema non da poco. Solo la stampa quotidiana è riuscita ad affrontarlo con successo, ma grazie a un vantaggio che la tv non ha: il giornale, quando lo si apre, è già stato comprato. L'autopubblicizzazione, con i titoli che attirano l'attenzione, avviene solo dopo che l'oggetto è stato scelto. Anche la pay-tv funziona in questo modo e non a caso tutte le pay-tv hanno forme di contatto con lo spettatore che consistono nel presentargli addirittura i programmi dell'anno. Ma laddove tutta l'economia del mezzo dipende dalla scelta momentanea, la fretta è insita nella costruzione di un discorso autopubblicizzante ed è un problema enorme che ha creato anche grandi equivoci. Per esempio la critica di un Auditel che porterebbe alla dittatura dell 'ascoltatore è una critica che puzza di autoritarismo da lontano un miglio: chi, se non l'ascoltatore, ha il diritto di imporre cosa vedere? Ogni società deve avere una serie di mezzi pagati da un pubblico che in questo modo ne condiziona l'esito. E' una legge che per la stampa è sempre valsa e semmai in Italia troppo spesso la stampa è stata mantenuta, in perdita, dai grandi industriali. Naturalmente in questa situazione accadono anche cose interessanti. La nascita di un mercato abbastanza autonomo della videoregistrazione ha fatto rientrare dalla finestra quel testo, quell'opera ordinata, strutturata, cacciata dalla porta dal televisore via etere. Esiste quindi tutta una serie di possibilità di riprendere una logica del testo, per ora essenzialmente limitata ai film: le 380.000 copie vendute da L'Unità, non solo per Ultimo rango a Parigi ma anche per i films successivi, ne sono un segnale. Una seconda possibilità interessa~ s·mile a q~o sta succedendo nella radio, è una moltiplicazione ulteriore dell'offerta, che demolisca la prigione di quei I0-12 canali che si fanno concorrenza esclusivamente sulla pubblicità. Un' offerta più complessa, non necessariamente più austera, più culturale, ma più sofisticata, fatta con mezzi relativamente poveri, potrebbe trovare forme di finanziamento più varie e diversificate. Anche la qualità dell'informazione televisiva sembra a un punto molto basso ... Più basso di tutto il resto, perché un telegiornale è per sua natura costosissimo e risparmiare sui telegiornali significa farli con pochissime immagini e soprattutto non affiancarli mai all'approfondimento della notizia. Ma oltre a questo ci sono stati, secondo me, due fatti negativi molto importanti. Del primo abbiamo già parlato ed è la radiofonizzazione della televisione, che ha trovato nel Tg5 della mattina un'espressione estrema. Se uno si ferma a guardare le immagini, in particolare senza audio, c'è da morire dal ridere, perché sono di una ripetitività, di una piattezza spaventose, ma in fondo nel telegiornale della mattina la cosa è meno fastidiosa, perché è in realtà un tg che si guardicchia, il problema è che la cosa ormai si ripete nei telegiornali serali che per molta gente sono l'informazione esaustiva. Ormai in televisione le immagini hanno una funzione puramente illustrativa, per non dire decorativa, equesto è pericoloso. Il secondo fatto negativo riguarda le fonti di cui tutta l'informazione giornalistica ha bisogno per potere sopravvivere nel magma delle notizie. Nella crisi della prima Repubblica e' è stato un tracollo delle fonti. E anche qui certa sinistra non si è resa conto che alcuni fenomeni di deterioramento parti vano dalla magistratura: ilmodo in cui sono state date le notizie giudiziarie in questi anni è stato terrificante. Il segreto istruttorio è servito solo ai giudici che vogliono farsi pubblicità e l'hanno usato come strumento per privilegiare i giornalisti che parlavano bene di loro. Nessuno pretende che il giornalista pubblichi solo comunicati ufficiali, ma che faccia delle verifiche prima di pubblicare le cose, sì. Oggi come oggi questo non succede più per lo squagliamento di una serie di istituzioni che in questi casi servono anche da filtro. A questo punto è un gran raccogliere opinioni personali. E come si fa a verificare le opinioni personali? Diceva che, insieme a tutto questo, c'è una caduta delle professionalità. La macchina televisiva è una delle più complesse che esistano. Orson Welles, riferendosi al cinema, diceva: "il pittore lavora con la tavolozza, lo scrittore con la penna, il regista lavora con un esercito". La tv lavora con tanti eserciti: deve fare tanti prodotti contemporaneamente, deve usare tante professionalità diverse. Con la neotv, sia perché la tecnologia si è banalizzata, sia perché il linguaggio televisivo si è impoverito, una serie di professionalità di tradizione pretelevisiva, di origine cinematografica, radiofonica, giornalistica, elettrica, telefonica, sono diventate inutili e, progressivamente, è diminuita la capacità del mezzo televisivo di attrarre il meglio delle varie professionalità. Non è che il personale della Rai o della Fininvest non sappia fare il suo mestiere, non sa neppure qual è il suo mestiere: la regia di un ralkshow non si sa bene cosa sia; a volte è un semplice mestiere di merda che fa riprendere la manina o il piedino, come succede in Un giorno in prerura, per fare un commento visivo, -per di più sleale perché la persona in quel momento non ~ipuò difendere-, a quello che uno sta dicendo. Enrico Deaglio racconta nel suo ultimo libro che nella famosa trasmissione elettorale fra Occhetto e Berlusconi, la spilla di Berlusconi che brillava era voluta, studiata. E' una cosa impressionante: la spilla incanta burini. Se l'episodio è vero, e comunque è verosimilissimo, oltre a rivelare l'ingenuità pazzesca dello staff di Occhetto nell'accettare che la trasmissione chiave della campagna elettorale fosse fatta su una rete di Berlusconi, rivela anche, per l'appunto, che il mestiere del regista o dell'operatore ormai è più simile a quello del fotografo di matrimoni che non a quello del vecchio e sano documentarista cinematografico. Ma la qualità è possibile con la neo-Tv? La tv ha ammazzato il cinema, che in Italia era a un livello culturale molto ricco, ha permesso l'esistenza di un paese moderno che non legge giornali, ma rimediava ai problemi che aveva creato con un buon livello culturale. Adesso il problema non è più solo culturale, è anche civile. Curiosamente il problema non è quello di un intervento pubblico di tipo monopolistico, di cui forse ha nostalgia la sinistra, e neanche quello del non-intervento predicato dalla destra, ma piuttosto di un intervento pubblico che miri a favorire la formazione di persone in grado di far bene questo mestiere, che aiuti determinati tipi di programma attraverso premi di qualità. La tv non è un medium senza qualità, ma è un medium la cui qualità si vede sul lungo periodo, quando, di un programma ripetitivo, di formula, si può giudicare la sua struttura, la sua organizzazione, il suo discorso. Questo rende più drammaticamente importante il problema di una critica televisiva che, probabilmente, dovrebbe coinvolgere gli spettatori. Si dovrebbe arrivare ad una tv socialmente discussa. Come si può discutere la Tv? Sembra una contraddizione in termini. La tv sembra fatta per non farsi discutere, per far dire subito "evviva" o "abbasso", "mi è simpatico" o "mi è antipatico". Abbiamo sempre la sensazione di vedere non la tv, ma la persona, e quindi pensiamo di poter dare un giudizio sulla persona. E' un meccanismo spaventoso, fortissimo, tuttavia questo non toglie che sia urgente arrivare a una discussione sulla tv. Uno dei motivi dell'imbarbarimento politico di quest'anno è dovuto al fatto che, nel momento in cui la tv è diventata il centro della vita politica, sia i simpatizzanti che gli antipatizzanti hanno trattato il problema Berlusconi in termini strettamente televisivi, cosa che lui del resto voleva perché faceva il gioco di una posizione semplificatrice qual è la sua. Ma anche se lui non l'avesse voluto, era quello il baratro in cui andavamo a cadere. il malcelato disprezzo da sinistra verso i buggerati dal sogno Attenzione, non sto dicendo che la politica non debba essere basata sulle persone, perché non c'è stata epoca della storia umana in cui la politica sia stata fatta dai programmi e non dagli uomini. Alla fine, si dirà sempre: Churchill e il discorso sulle lacrime e sangue, Roosevelt e i discorsi al caminetto. Si parla, cioè, di momenti altamente spettacolari e di fortissime personalizzazioni della vita politica. Lo stesso affare Dreyfus, che segna l'irruzione delle ideologie sulla scena della politica mondiale, è anche il momento dell'introduzione di una personalizzazione violentissima. Nel XX secolo la mitizzazione delle parole e quella della personalità individuale si alimentano a vicenda e non sono separabili. Ovviamente, quindi, non sono contro a che si dica "Prodi!'' imitando chi dice "Berlusconi !", ma che ci si infili nel circolo vizioso della '·personalità televisiva". destinato ad autoalimentarsi, dove il messaggio dato al cittadino non è che ''Prodi è una brava persona•·, ma che "Prodi è quello che in tv sembra essere una brava persona·•. Si parla di insegnare ai bambini come leggere la televisione ... Infatti, è la proposta dell'alfabetizzazione televisiva. Si dice: "siccome tutto questo succede perché la gente non ne sa abbastanza. allora dobbiamo far sì che la scuola insegni ai ragazzi cos'è la tv e a decodificarla··. Non ci credo. Perché c'è sotto un'idea assolutamente semplicistica. quella secondo cui il mezzo avrebbe un codice traducibile immediatamente e senza troppe ambiguità in un altro codice più pulito. Ora, è evidente che la forza di qualunque mezzo di comunicazione, compresa la lingua. sta nel fatto che non ha un codice solo. Ma non a caso si parla di alfabetizzazione, perché l'alfabe10, e solo l'alfabeto, ha operato una rivoluzionaria trasformazione sul linguaggio umano, schematizzando il codice sonoro della comunicazione verbale e traducendolo in una corrispondenza univoca: un suono, una lettera. In questo modo l'alfabeto ha universalizzato la comunicazione, ma al prezzo di appiattirla moltissimo. E comunque nient'altro è così. L'idea che, non dico la narrativa, ma anche semplicemente la frase più elementare sia decodificabile, traducendone tutti i significati in uno schema grafico biunivocamente corrispondente, è una pura follia. Quella frase, una volta tradotta, avrà uno scarto di significati grossissimo. Questo è un discorso teorico apparentemente molto astratto, però molto serio, perché noi possiamo anche insegnare ai ragazzini a capire la storia della spilla di Berlusconi, ma non riusciremo mai a insegnare loro i motivi veri del fascino esercitato su di noi da certe cose, perché questi moti vi risiederanno esattamente in quello scarto tra quello che noi riusciamo a tradurre in un linguaggio scolastico e quello che è intraducibile. Il concetto di alfabetizzazione presuppone invece che ci sia un set di nozioni molto limitato e che ci sia una persona che lo possiede e una che non lo possiede. Alfabetizzazione è letteralmente un programma di tipo informatico, un esperimento di software da una testa a un'altra. Ma non a caso i computer di riconoscimento vocale fanno fatica, perché il riconoscimento dei suoni è una delle abilità più complesse della mente umana. Non parliamo poi quando cerchiamo di far riconoscere a un computer le facce! Succedono casini pazzeschi, perché lo scarto è molto maggiore. L'alfabetizzazione presuppone l'esistenza di una persona che sa e dà e di una persona che non sa e prende; ma tutto quello di cui stiamo parlando non consente assolutamente nulla del genere, perché I' insegnante e l'allievo vivono nello stesso ambiente comunicativo. Quello che sa è in realtà prigioniero dei messaggi che riceve, quello che teoricamente non sa, sa in realtà un sacco di cose. Nella sostanza la discussione sulla tv è paritaria o non è. Tv e democrazia. Cosa ne pensa? Il destino della tv è intimamente legato a quello della democrazia e, almeno per i prossimi 15-20 anni, la democrazia nelle società occidentali si esprimerà attraverso la tv. La tv è l'acqua in cui i pesci della democrazia nuotano, chiunque lo neghi è un fesso: non si ha democrazia senza un terreno comune di comunicazione, non si ha un terreno comune di comunicazione senza mezzi di comunicazione. L'informazione circola sulla stampa e sulla tv, ma la tv è largamente condivisa, la stampa no, e l'informazione condivisa è quella essenziale in una democrazia. La democrazia è una grande idea semplice fondata sulla fiducia nella gente semplice: il popolo deve governare, anche chi non sa nulla deve dire la sua. E sia chiaro che non c'è motivo di pensare che le idee semplici siano più sbagliate di quelle complesse: Hegel era pieno di grandi idee complicate, Aristotele era pieno di grandi idee semplici. La democrazia è la cuoca di Atene, tutto il resto sono cose costruite sopra e attorno a questa idea, comprese le procedure e le regole che permettono che la cuoca governi davvero e governi il meglio possibile. Da questo punto di vista, come ha notato Pierluigi Battista su La Stampa, ci sono due atteggiamenti che si stanno diffondendo, con un rovesciamento abbastanza paradossale del le posizioni storiche. In nome del I' antiplebiscitarismo si sta sviluppando un'antidemocrazia di sinistra, dove la cultura diffusa delle persone "semplici" viene vista con un sospetto abbastanza automatico. Non a caso quando uno chiede perché in Usa non c'è il socialismo, una delle risposte è che negli Usa il socialismo è un lusso degli intellettuali. Viceversa, a destra si ha un populismo, non nuovo, perché la destra spesso e volentieri è stata populista, ma che oggi si presenta con la veste in parte nuova de "il popolo ha sempre ragione" e con l'idea che esistano strumenti per misurare veramente la volontà popolare. Il difetto della posizione della sinistra, nato dalla delusione, sta nell'idea, nascosta dietro una causa molto giusta-un mezzo come questo deve essere sottoposto a regole valide per tutti-, che il mezzo tv in quanto tale sia una minaccia per la democrazia. Idea, essa sì, antidemocratica perché nega il fatto che le democrazie reali sviluppano mezzi di questo genere senza i quali nessuna democrazia sarebbe autentica. Che poi questi mezzi facciano anche paura è un fatto anch'esso. Sulla stampa Tocqueville, e anche Dickens, dicevano più o meno le

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