Una città - anno V - n. 39 - marzo 1995

stesse cose: la paura del plebiscitarismo, del linciaggio, della gente che si mobilita attraverso questi mezzi. Da cosa vede questa deriva? Ma dal disprezzo misto al senso di superiorità paternalistico: "Poveretti! Hanno creduto al sogno di Berlusconi.'" Dall'eccesso di semplificazione sul perché la gente ha votalo Berlusconi: ••ingannati". ··buggerati". Ma anche. specularmente, dall'autoflagellazione sui propri errori che di nuovo non rendono conto della complessità di un fenomeno del genere. Dopodiché, lo ripeto, si confonde la democrazia con le corrette regole procedurali. Ma le regole procedurali vengono dopo; e teniamo sempre presente che ci possono essere corrette regole procedurali anche in un regime aristocratico. La Venezia dei dogi era una repubblica aristocratica spaventosamente elitaria che funzionava perfettamente e nella quale, per chi aveva il privilegio di viverci nella parte giusta, si stava sicuramente meglio che in qualsiasi democrazia. Non era un regime senza regole. aveva regole rispettabilissime. Tra l'altro, io sono convinto che l'umanità possa essere relativamente felice anche in regimi non democratici. Però, se vogliamo la democrazia, non confondiamola con la procedura. Dall'altra parte la destra che rischio corre? Il rischio di confondere la democrazia con alcune forme comode di rilevazione del parere del la gente. Il plebi sci tarismo è questo: non che il popolo dica la sua, ma che il popolo la dica in realtà secondo regole ferree volute dall'alto, che possono essere il sondaggio o cose del genere. Il problema che il XX secolo lascia irrisolto al XXI, e che già ponevano i classici della critica dell'opinione pubblica, è quello della conciliabilità tra opinione pubblica e mezzi come la tv: come permettere, cioè, alle persone di formarsi un'opinione per dibattere liberamente. Quello che abbiamo capito è che la tv non è una sede di discussione adeguata. Proprio mentre aumenta il chiacchiericcio televisivo la discussione dimostra di avere bisogno disperatamente di altre sedi. E anche qui rischiamo di essere presi tra la nostalgia di altre sedi che non ci sono più, tipo la sezione di partito, e il dire che tutto va bene così. L'immaginazione politica del tardo XX secolo, secondo me, dovrebbe essere quella che inventa nuove sedi per la democrazia. Luoghi come Internet? No. Internet, la democrazia telematica, non credo a queste cose. E non ci credo per due motivi molto semplici. Il primo è che non si può chiedere alla massa delle persone di dedicare una parte eccessiva del loro tempo a problemi pubblici. Però la democrazia chiede che su una serie di problemi decisivi ci sia l'auenzione di tutti. Allora uno dei rischi della democrazia Internet è che sia di nuovo il club dei fanatici delle cose pubbliche. Le sezioni di partito erano un po' così, però erano più generaliste. più ideologiche. Questi di Internet sono meno ideologici e più segmentati. Il secondo motivo è che non si può pensare a una crescita esponenziale di Internet. Secondo me siamo già al limite. Anche facendo un salto nella facilità d'uso, non è affatto detto che le persone che avranno questo tipo di macchine le useranno. Il 40% dei lettori di Cd-Rom venduti negli Usa non è mai stato usato. Il 25% delle case dotate di computer hanno il modem, ma quanti lo usano davvero? Questo non significa che Internet sia destinato a morire, ma le sue reti sono già sovraccariche, ci vorranno investimenti nuovi e bisogna vedere chi tirerà fuori i soldi: se sarà il governo Usa o aziende private che chiederanno qualcosa in cambio. democrazia è la possibilità per tutti di parlare a turno A parte questo, Internet per crescere ancora deve fare un salto e non è detto che resti come è adesso. La comunità dei radioamatori o dei Cb non era poi molto diversa. La storia dei mezzi di comunicazione moderni ha sempre conosciuto fasi hobbistiche. In buona parte d'Europa, compresa l'Ita1ia, la radio è stata fondata dai radioamatori che, una volta arrivato il broadcasting e un nuovo pubblico, si sono creati la loro nicchia o sono scomparsi. E allora? Quali potrebbero essere queste nuove sedi di democrazia? Non a caso ho parlato di immaginazione perché è un terreno sul quale si ragiona troppo poco. Sul piano teorico i modi di comunicazione possibili sono tre: la comunicazione di massa, nata con la stampa, che va da I a n, dove una emittente raggiunge un numero di riceventi non predeterminato e potenzialmente vastissimo. Il secondo modello è quello da I a I, che può anche coinvolgere moltissime persone, come Internet, ma rimane sostanzialmente da I a I. Infine, il terzo modello, da molti a molti, che è il corteo o, ancora, Internet quando diventa chiacchiericcio generalizzato nell'immediato da molti a molti. La comunicazione che i mezzi meccanici non hanno, ma che per una democrazia è assolutamente centrale, è la comunicazione da 1a molti. Cos'è? E' la comunicazione che si fa in un comizio, ma anche in un'aula scolastica, in un discorso pubblico o in una conferenza. La comunicazione da I a molti è quella in cui più persone ricevono uno stesso messaggio, ma in una situazione più colloquiale, in cui le persone possono col tempo anche reagire. Una comunicazione sfasata rispetto alle reazioni, perché prima c'è qualcuno che segue e poi c'è qualcuno che parla. ma che responsabilizza, nel senso che si parla in pubblico. La democrazia è una grande comunicazione da I a molti. a turno. Fare parlare tutti a turno, occupando il podio. Non è la possibilità per tutti di parlare contemporaneamente, perché alla fine non parlerà nessuno e non è la possibilità per uno solo di parlare e per gli altri di ascoltare. E' la possibilità di parlare tulli, ma uno per volta. E allora sì, è importante stabilire delle regole, delle procedure. Non sono un fanatico della democrazia diretta ma neanche di quella rappresentativa e su questo si può discutere. Quello che non si può mettere in discussione è che non c'è democrazia, né diretta né rappresentativa, senza la possibilità e l'obbligo di stabilire un turno per cui le persone possano parlarsi in un modo pubblico che non sia l'infinita rete delle conversazioni private. E' il problema centrale della comunicazione politica: ristabilire nel nuovo assetto comunicativo possibilità di questo genere, di cui c'è una domanda sociale. Se guardiamo al cosiddetto terzo settore, alle attività spontanee, vediamo che, a parte la solidarietà, sono legate alla possibilità di andare in luoghi dove ciascuno possa fare uno sforzo per presentarsi pubblicamente agli altri, per fare vedere le sue foto, per raccontare le sue esperienze. Pensiamo alle Università della Terza Età, su cui non si riflette a sufficienza. I pensionati sono, tra i gruppi sociali in Italia, quelli che parlano e discutono di più e per farlo si sono dati anche delle forme pubbliche. Credo che se si offrisse loro una rete televisiva al posto del!' Università della Terza Età, troverebbero odiosa l'offerta, perché ne guardano già troppa di televisione e perché vogliono andare lì, a sentire un signore che parla a loro. La televisione potrebbe anche creare questo tipo di abitudine, per altro già implicita nell'idea utopistica dell'accesso, ali' epoca della riforma della Rai. Un luogo simile in televisione, però, non potrebbe funzionare da solo perché necessita di una catena. Il partito di massa ha funzionato per tanti anni perché funzionava in modo piramidale: dal comizio di Togliatti di fronte a decine di migliaia di persone alla riunioncina in sezione di dieci barboni con uno che parlava. era una catena continua che, tra l'altro, permetteva una selezione veramente meritocratica delle persone. Questo non c'è più e probabilmente è un bene, però va sostituito con un analogo sistema di comunicazione, casomai non così gerarchico. Tornando alle caratteristiche del mezzo, prima ha parlato di "personalità televisiva". Cosa intendeva? Che non si riesce a distinguere la persona che vediamo in televisione dalla persona fisica che c'è dietro. Con la televisione, scatta qualcosa di simile a quello che ci succede con la persona: un'antichissima, credo geneticamente fondata, capacità fisiognomica. Anche per difenderci dagli eventuali nemici, noi abbiamo pervia istintuale l'abitudine a cercare di riconoscere l'amico o il nemico da tratti visuali, comportamenti immediati, modi di parlare. Come ci spiega la psicologia cognitiva apprendiamo questa abitudine da piccoli. Con la televisione noi la applichiamo direttamente, senza mediazioni ulteriori. Lo schermo cinematografico esalta la personalità, ma paradossalmente la tiene anche lontana. Crea contemporaneamente il personaggio e il monumento al personaggio, per cui il divo cinematografico ci affascina profondamente ma non crediamo di conoscerlo, tant'è vero che facciamo tutto il possibile per andare a sapere come vive, cosa fa. Il divo televisivo, invece, crediamo di conoscerlo come persona, per cui esprimiamo giudizi come l'antipatia e la simpatia e quello che ci interessa di lui, a differenza di quello cinematografico, non è che vita fa, chi è veramente, ma è guardargli sotto la gonna se si tratta di una donna o scoprire le porcate che fa se si tratta di un maschio. quelli non disposti mai a perdere sono terrificanti E' l'indiscrezione che scatta, la curiosità che abbiamo coi nostri vicini di casa un po' più ricchi o un po' più belli. L'indiscrezione cinematografica e quella televisiva sembrano simili e invece sono molto diverse. Nel divo cinematografico è un carisma ad attrarre, nel divo televisivo è spesso l'antipatia della vicina di casa ad attrarre. Lilli Gruber nuda non ha carisma. Tocqueville diceva: "nella democrazia l'invidia è una delle grandi molle". E' una frase tremenda e, secondo me, tragicamente vera. Spero che sia chiaro che non ho niente contro la democrazia, anzi credo che sia di gran lunga il migliore regime che esista, però dobbiamo essere realistici sull'umanità democratica. L'umanità democratica mette in gioco anche l'invidia e anche la televisione lo fa. Secondo me, la cosa folle che non ha fatto la sinistra contro Berlusconi, quella che doveva fare assolutamente, era dire semplicemente: "ma voi siete sicuri di volere dare ancora potere, ricchezza, a quest'uomo che ha tremila miliardi all'anno quando voi tirate la carretta?". Dire così, tutto sommato, non sarebbe stato sbagliato, perché in democrazia non è tollerabile che a governare sia l'uomo più ricco del paese. Perché non è stato fatto? Perché la sinistra si vergogna della sua invidia e si vergogna della sua natura sociale. E se del!' invidia, comunque inevitabile, bisogna sempre vergognarsi, non sarebbe stato contro un'idea virtuosa della democrazia tenere aperta la ferita della disuguaglianza che moltissime persone sentono nei confronti di uno come Berlusconi? Ripeto: non averlo fatto significa che ci si vergogna anche di avere una base sociale svantaggiata. E se io mi vergogno di essere un partito operaio è segno che non lo sono più. Infatti, ormai, la sinistra è un partito non di ceto medio, ma di ceto intellettuale, fra l'altro non necessariamente medio, ma spesso povero: gli insegnanti italiani sono tutti contro Berlusconi, e sono un ceto intellettuale povero. Per concludere, qual è il problema più grave del giornalismo televisivo? La voglia disperata, e macroscopica per quanto riguarda i giornalisti Rai, di stare con chi vince, la qual cosa è molto peggio di qualsiasi asservimento a partiti. Tanto più grave nel campo dell'informazione, dove uno non dovrebbe né vincere né perdere, ma semmai stare comunque dalla propria parte. Ci sono pure quelli che vogliono sempre stare dalla parte perdente, Montanelli ne è un caso straordinario, e vanno bene se non altro per simpatia umana, ma quelli che vogliono stare sempre dalla parte vincente, no, sono terrificanti. Quando hanno in mano l'informazione di un paese è la fine, le democrazie muoiono per questo. Quello che una democrazia non può sopportare è che non si sopporti di perdere. Berlusconi non ha torto a dire che non è Emilio Fede il problema, perché Emilio Fede quando succederà, se mai succederà, che Berlusconi sia perdente, gli resterà fedelissimo. li problema sono quelli che adesso ci dicono che Prodi è un bravissimo padre di famiglia e dopodomani, se Prodi perde, ci diranno le malefatte di Prodi. Il giornalismo italiano è pieno di gente così. •

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