Una città - anno IV - n. 31 - aprile 1994

• storie Nei racconti di Cesare Moreno le vite di Oscar, Carlo e Aniello, suoi alunni, e i problemi drammatici che attanc 1. Un ragazzo di strada Oscar era un ragazzo di strada: sua madre apparteneva ad una famiglia di'delinquenti importanti, avevano occupato un condominio, costruito abusivamente, insieme ad altre famiglie di delinquenti e famiglie di operai e lavoratori. In casa di Oscar il rango sociale predominava su quello sessuale: il padre proveniva da famiglia di basso rango era quindi sottomesso: più volte aveva tentato di sottrarsi con la fuga a questa inversione di ruoli, ma era stato riacciuffato da suocero e cognati e riportato al tetto coniugale. La madre di Oscar non ti guardava in faccia, il suo sguardo andava oltre la persona, aveva negli occhi allo stesso tempo la durezza di chi ha un ruolo da ostentare e l'angoscia di chi ha paura di se stesso. Era sotto la trentina ed usciva a braccetto con il figlio quattordicenne, più alto di lei, vestita in modo molto giovanile ma impeccabile. Oscar razzolava per strada col moceio.cne gli pendeva dal naso, un jeans sdrucitp la cui cintura cascava fino ali' inguine mentre la falda inferiore si arrotolava sotto i tacchi delle scarpe. Non parlava, si aggirava da solo intorno al cortile della scuola, ci spiava mentre giocavamo a pallavolo: non ha mai mostrato o chiesto di voler giocare. Dopo un po' di volte lo ho invitato a giocare: lui ha accettato in silenzio e altrettanto compostamente ha giocato. Ho saputo in quella occasione che era il fratello di Iole, ma mai loie scorgendolo oltre il cancello mi aveva detto chi fosse. Pensai che avesse undici o dodici anni e che dovesse frequentare la scuola media, ma -era il 1984- caldeggiare in qualche modo la sua frequenza scolastica era da non prendere neppure in considerazione. Più, tardi -troppo tardi- appresi che era alunno di quinta, che gli era stata garantita la promozione a patto che non frequentasse. Così come mi era apparso tranquillo e dimesso in strada, così -mi è stato dettoera aggressivo e violento in classe quelle poche volte che ci ritornava. Genitori ed insegnanti avevano concordato su quella soluzione: nessuno, per opposti motivi, aveva interesse che nella mancata frequenza scolastica mettesse il naso il servizio sociale: gli insegnanti temevano la reazione della signora, la signora temeva che attraverso le vicende del figlio venissero turbate le attività illegali. Ho avuto modo di sperimentare la reazione della signora: avevo segnalato al servizio sociale le assenze della figlia, ed ero il primo insegnante, dei circa quindici succedutisi in cinque anni, ad averlo fatto: non solo mi investì con insulti e minacce -cosa scontata e prevista- ma mancò poco che mi accusasse di qualche azione immonda nei confronti della figlia: «Tutto questo succede perché mettono gli uomini in classe con le femmine». Nel sentire questa frase capii che ove mai avessi fatto un qualsiasi gesto cosi interpretabile anche lontanamente, una accusa del genere nessuno me la avrebbe evitata. Dopo pochi giorni infatti la signora si precipitò a scuola come una furia sostenendo che in classe i maschi toccavano il sedere della figlia: cosa che esclusi radicalmente sostenendo che purtroppo i raREDAZIONE: Rosanna Ambrogetti, Fausto Fabbri, Silvana Massetti, Franco Melandri, Morena Mordenti, Rocco Ronchi, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). INTERVISTE A Adriano Sofri: Gianni Saporeui e Massimo Tesei. A Amato Lamberti: Cesare Moreno e Massimo Tcsci. A Lisa Foa: Gianni Saporeui e Massimo Tese i. A Sandro Onofn: Franco Melandri. A Luciano Ltm:a: Franco Melandri. A A1111aMaria Ge111i/i: Rodolfo Galeoui e Gianni Saporetti. A Romana Sansa: Massimo Tcsci. FOTO Fow: di Fausto Fabbri. A pagg. 4-5: di U.Lucas tratta da ..L'Illustrazione italiana·. A pag. 7: traila dal settimanale .. Seue". A pagg. 8-9: da una foto di Tano D'Amico da "Fine Secolo". A pagg. 14-15: di Rodolfo Galeotti. A pag. 16: traila dal settimanale "Seue". COLLABORATORI Rita Agnello. Edoardo Albinati. Lorella Amadori. Antonella Anedda. Giulia Apollonio. Paolo Bertozzi. Patrizia Beui. Vincenzo Bugliani. Libero Casamura1a. Paolo Cesari. MicheleColafato. Dolores David. Rodolfo Galeoni, Liana Gavelli. Diano Leoni. Marzio Malpeui. Massimo Manarclli. Linda Prati, Carlo Polcui, don Sergio Sala. Sulamit Schneider. Bil=G~r 4 a~ficnar:~"C~a?.Wr,~aldre&n~"·rF~ot=ol~iti-·:~S~~-·=~=A-~-f-t-~ gazzi avevano una tale consapevolezza di qual genere di reazione potessero scatenare che evitavano persino di rivolgerle la parola. Alcuni giorni dopo Iole arrivò in classe senza grembiule, con una minigonna invisibile, per di più scucita, che lasciava scoperto il deretano: feci accompagnare la bambina a casa a rivestirsi e da allora fu chiusa la contesa con sua madre. 1992 - otto anni dopo Sono ritornato nella scuola di Oscar; la criminalità che ne11'84era semplice criminalità, ora si era organizzata e i risultati si vedevano: nel corso dell'anno scolastico, nello stretto raggio di cento metri intorno alla scuola, c'erano stati già una decina di morti ammazzati. L'undicesimo della serie è stato Oscar. Non ho avuto nessuna curiosità di sapere come fossero andate le cose, non ho letto giornali, non ho fatto domande: l'ho semplicemente rivisto con quel suo pantalone penzolante, gli occhi piccoli e cisposi un po' porcini, il viso rotondo e paffutello con un sorriso appena accennato, e volevo conservare questa immagine. Ciononostante m'è caduto l'occhio su un titolo di giornale, ho colto frammenti di conversazioni a scuola. Le cose sembrano essere andate in questo modo: Oscar era considerato un pericoloso esponente del clan (vattelapesca, non mi interessa), la sua famiglia -leggi la madre- era una pentita e 'collaborava con la giustizia', nella fattispecie era ancora Oscar che stava in strada: aveva organizzato un incontro con qualcuno del clan rivale, all'incontro partecipava anche un carabiniere infiltrato o giù di lì. La cosa era talmente ben organizzata che lo sapevano sia gli avversari, sia la polizia. Oscar, il più esposto, è stato ucciso sotto casa dai rivali; la polizia che era in agguato ha aperto il fuoco e poco ci è mancato che venisse colpito anche I' infiltrato evidentemente ignoto agli agenti. Mi è sembrata una scena già vista: la madre criminale e l'istituzione hanno fatto mercato per fini opposti della vita di Oscar: ora finalmente il suo destino s'è compiuto. Ho conosciuto altri bambini che hanno compiuto lo stesso percorso: a scuola erano considerati terribili e ne sono usciti più o meno malamente, sembrava che non potessero stare mai fermi e che dovessero necessari amen te aggredì re qualcosa o qualcuno, poi uscivi di scuola e li trovavi fermi per ore, nel gelo o sotto il sole di agosto, a vendere sigarette o fazzolettini. Come potevano sopportare quella immobilità e quella solitudine? Li ritrovavi poi ancora a quattordici, quindici e sedici anni a gironzolare intorno alla scuola media, a provocare, a sfottere i ragazzini dei primi anni, a tirare sassate nei vetri. Stavolta erano motorizzati: il motorino è il primo segno importante della conquistata ammissione nel rango adulto, eppure non riuscivo a capire il bisogno di tornare in mezzo ai ragazzini. Poi smettevano; li rincontravi con quello sguardo torvo che ti oltrepassava, pensavi che ormai non volevano più riconoscerti, quando improvvisamente si riaprivano a quel sorriso che sembrava scomparso, ti salutavano, poi riprendevano quell'espressione torva. Non ho bisogno di chiedere cosa facciano: quella espressione, dura e angosciata al tempo stesso, è inconfondibile. Ecco chi sono i ragazzi di strada: ragazzi che stanno in strada perché hanno una casa e una scuola ma non hanno da nessuno l'accoglienza. Ragazzi che sono costretti a crescere fuori ma che non possono crescere dentro, che smettono di essere mocciosi solo un istante dopo aver impugnato la loro prima arma (può essere il motorino o la pistola, una bustina o un'auto rubata: è importante il valore simbolico): ragazzi che sopportano la fatica, il disagio e il pericolo delle attività di strada perché questo significa che sono importanti per qualcuno che aspetta il danaro che producono; ragazzi che conservano tutte le paure dell'infanzia dietro uno sguardo che s'è fatto duro per necessità professionale. Questi sono i fatti, non c·è nessun cocktail di servizi, progetti, professioni che possa controvertirli, se non si affronta il problema chiave: c'è qualcuno che voglia stare con loro, che sia capace di accoglierli, di l~1ìa cr91b~o non cresciuto che sta dentro il vestito adulto? Viviamo in una società che prima ha delegato la cura parentale alla famiglia mononucleare, poi se ne è scordata del tutto. E' forse il momento di ricordarsi che la continuità della specie non è un puro fatto biologico (e del resto anche questa è messa in pericolo dalla crisi di un modello di vita, se sono veri i dati sul calo dei tassi di natalità) e che la cura parentale per le nuove generazioni è un dovere che ci appartiene come comunità umana prima che come società organizzata; è forse il momento di pensare che la strada (cioè gli spazi comuni di vicinato come ad esempio la scuola) invece di essere un luogo dove ci si perde potrebbe diventare un luogo dove ci si trova, dove una comunità più larga accoglie e fa da casa al bambino che ha le mura ma non ha la casa. 2. Un ragazzo segnato Le situazioni difficili sono quelle in cui nella nostra mente si agitano idee contrapposte, molto forti e dure e noi non siamo capaci di accettare ed elaborare i nostri sentimenti. Uno dei casi più tipici è proprio la scena di un arresto. 1 ragazzi arrestati spesso maturano un rancore nei confronti delle persone che magari hanno assistito alla scena, che non li hanno aiutati e che magari erano contenti di vedere questa cosa. La storia che racconto fa vedere come dei ragazzi che già erano un po' delinquenti, quando vedono un arresto hanno sentimenti completamente opposti e non riescono a capirli: da una lato hanno paura e quindi provano solidarietà per l'arrestato, dall'altro sono feroci contro l'arrestato, pensano di lui le cose più brutte, perché in questo modo pensano che a loro -che non sono così cattivi- una cosa del genere non capiterà mai. Sono stati proprio questi ragazzi che erano più duri con l'arrestato, a finire male: avevano già dentro l'idea di poter diventare come lui, ma invece di sconfiggere questa idea nella propria mente, l'hanno appiccicata addosso ad un altro, come se la polizia arrestando o picchiando questi ragazzi potesse,anche distruggere queste idee cattive che erano in loro. Barra, 11 aprile 1984 Mentre la classe V D sta andando a piedi per le strade di Barra per raggiungere un campetto dove facciamo allenamenti di calcio, assistiamo all'arresto di due giovani sui 18-20 anni. La polizia in borghese sta cercando qualcosa a terra, nei buchi di un muretto, in un campetto vicino. Non trovano niente e prendono a scapaccioni i due giovani. I ragazzi della V D passano proprio in quel momento, stanno cantando una canzone calcistica, ma ammutoliscono immediatamente. Mancano ancora 200 metri per raggiungere il campo e per tutto iI tempo la nostra passeggiata generai mente allegra e contenta è un vero mortorio. Barra, 12 aprile 1984 Il maestro legge un racconto ai ragazzi della V D: Un piccolo uomo cencioso. ammanettato tra due carabinieri. procedeva a balzelloni. nella strada deserta e polverosa, come in un penoso ritmo di danza, forse perché zoppo o ferito a un piede. Tra i due personaggi in uniforme, che nella crudezza della luce estiva sembravano maschere funebri, il piccolo uomo aveva un vivace aspetto terroso. come di un animale catturato in un fosso; egli portava sulla schiena un fagottino dal quale usciva, in accompagnamento al suo saltellare, uno stridio simile a quello della cicala. Questa immagine pietosa e buffa m'apparve e venne incontro mentre mi trovavo seduto sulla soglia di casa. col sillabario sulle ginocchia, alle prime prese con le vocali e le consonanti; e fu per me una distrazione inaspettata che mi mosse al riso. Mi girai attorno per trovare qualcuno che condividesse la mia sorpresa e in quello stesso momento dal!' interno della casa sentii sopraggiungere il passo pesante di mio padre. «Guarda un po' come è buffo» Gli dissi ridendo. Ma mio padre mi fissò severamente, mi sollevò di peso tirandomi per un orecchio. e mi condusse nella sua camera. Non l'avevo mai visto così malcontento di me. «Cosa ho fatto di male?» Gli chiesi stropicciandomi l'orecchio indolorito. «Non si ride di un detenuto, mai» «Perché no?» «Perché non può difendersi. E poi perché forse è innocente. E in ogni caso perché è un infelice» Senza aggiungere altro mi lasciò solo in camera, in preda ad un turbamento di nuova specie. (Ignazio Silone) Si discute. Perché il bambino ride? Non c'è niente da ridere, però qualcosa di comico c'è. Carlo si alza e si mette a imitare l'andatura impacciata del carcerato. Maestro: Allora perché quando avete visto questa scena nessuno si è messo a ridere, ma tulli si sono sentiti male. Perché? I polizioui non picchiavano forte, ma gli davano gli schiaffi come si danno ai bambini e questa era una umiliazione. Ecco, quando uno viene messo in carcere, anche se è grande uno lo vede come se fosse piccolo. lo penso che un poliziollo non dovrebbe mai picchiare un arrestato neanche con uno schiaffeuo, e se lo fa bisogna denunciarlo ai superiori. Tutti: E' impossibile, loro possono fare quello che vogliono. Maestro: Non è vero, anche nella scuola se un maestro fa qualcosa che non va si può andare dal direi/ore. Ora che ne abbiamo parlato, c'è qualcuno che vuole raccontare quello che ha visto come se dovesse scrivere un ar1icolo di giornale? Salvatore, un ragazzo che vive in una famiglia di contrabbandieri comincia a raccontare, dopo poco si blocca. Parla Paolo, che è figlio di un ferroviere, racconta tutto e poi dice che per questi spacciatori di droga ci vuole la pena di morte. Tutti gli altri ragazzi si mettono a parlare e dicono le stesse cose; Ciro, Carlo, Giuseppe, tre ragazzi che vivono in famiglie che hanno avuto a che fare con la legge insistono più di altri a dire che i due arrestati erano dei drogati. Maestro: Co111efaia dirlo se la polizia non ha 1rovato niente? Ragazzi: Ma c'era una borsa! Maestro: Se la droga era nella borsa perché lapolizia cercava ancora in giro? Non possiamo di re che erano colpevoli, al massimo che erano delle persone sospelle. Chi è una persona sospella? Ragazzi: E' un colpevole che non si è ancora scoperlo. Maeslro: Non è così, significa solo che si deve fare un controllo. Ragazzi: Allora la polizia faceva bene a picchiarli se erano colpevoli, se no sbagliava. Maestro: Abbiamo già dello che non si devono umiliare le persone, e poi come po!evano già sapere se erano colpevoli? Maestro: Voglio capire perché quando ave/e vis/o 11111q0uesto, che vi pare pure giuslo, invece ave/e av1110paura? Tutti i ragazzi dicono che non hanno avuto paura. Maestro: E allora perché vi siete ammutoliti? Ieri i/fratello di Ciro ha dello subito che a lui era venuta una cosa nello sto111aco. Quindi almeno uno che ha avuto paura c'è stato. E perché avete smesso di cantare, e perché vi siete messi a camminare rasenti al muro? Ciro: E' vero che ho avuto paura, ma 11011 per quello che ho visto, ma perché pensavo che si potevano 111e11eraesparare. Maestro: Non credo che è solo questo, molti ha11110paura appena vedono una divisa perché pensano di avere qualcosa da nascondere o verame/1/e '101111fa0llo qualcosa, co,ne per esempio venire di sera nella scuola a rompere tulio. Ciro ha capito che il maestro sa chi è stato a combinare questo guaio nella scuola e cerca di troncare la discussione. Comunque non ce n'è bisogno, il maestro non intende fare un processo. vuole solo far sapere a Ciro che sa come sono andate le cose. Carlo: Comunque se ero io li riempivo di 111az-::,atnecora di più. Maestro: Carlo. 111sei troppo duro .. Hai at1e1110perché così li troverai sempre a sfare comple1ame111eo da 1111aparte o dall'altra. Lina: E' 1·ero.mia zia vende le sigarelle e mio cugino si vuole meltere a fare il poli- -::,iot10. Carlo è un bambino che viene a scuola per forza: arriva non prima delle nove e un quarto, la madre lo porta in classe e deve restare fuori ad aspettare perché se no scappa via. Appena entrato in classe è molto triste e si mette buttato sul banco, poi dopo un po' prende la sua 'colazione': mezza palatella di pane con mortadella o altro: Carlo non mangia mai a tavola, mangia solo in questo modo, anche a casa. Se il maestro sta facendo qualche attività, Carlo continua a mangiare e non prende mai i quaderni se non lo fa il maestro. Dopo un po' che ha finito di mangiare chiede la carta igienica per andare in bagno: tutti i giorni è la stessa scena. Poi appena rientra in classe o si butta sul banco o si mette vicino alle finestre a guardare fuori, come un carcerato; dopo un po' chiede di uscire. Da due mesi ha completamente smesso di scrivere, leggere, fare i conti, anche se è abbastanza bravo a fare queste cose. Una sola volta si è messo a scrivere perché era successo questo: si era nascosto dietro alla porta per sputare in faccia a Ciro. invece è entrato il maestro e lo sputo se lo è preso lui. Carlo ha chiesto subito scusa. «Dello sputo che mi ha colpito non mi interessa. e sei scusato, ma dello sputo destinato a Ciro non sei scusato». Carlo allora per far capire che era pentito, per un giorno ha scritto e ha fatto un bel compito. La cosa che piace di più fare a Carlo. che è piccolo. agile e scattante è di fare un gioco col maestro: prende la rincorsa, fa un salto e poi a volo si avvinghia al corpo del maestro: le mani intorno al collo e i piedi intorno alla vita: come fanno le scimmiette al circo. infatti lo chiamiamo il gioco della scimmia. Quando giochiamo a calcio, Carlo non può soffrire gli esercizi di riscaldamento e di preparazione, e non c'è nessun modo di farlo pa11ecipare. Quando gioca è molto bravo, ha il senso dell'opportunità e si trova sempre al posto giusto quando c'è una palla goal. Carlo qualche volta racconta che quando era molto piccolo ha avuto una grave malattia e stava morendo, ed è stato il padre a salvarlo perché lo ha portato in ospedale.

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