Una città - anno IV - n. 31 - aprile 1994

culture che si devono ricreare e per farlo servono due o tre generazioni, non si può cambiare così dall'oggi al domani. Non è un caso che gli indiani delle pianure vadano nelle grandi città e facciano sempre questi lavori precari, in un certo senso hanno bisogno di fare il lavoro precario, a parte che non è possibile fare altro perché gli servono soldi e nessuno è disposto a fare credito a un indiano. Fino a ieri gli èmancata la cultura per fare un lavoro in fabbrica e di conseguenza le riserve sono abitate da gente che si arrangiava e così facilmente cadeva preda dell'alcool o della droga... Dicevi prima che i "modernizzatori" rivendicano fortemente la loro identità indiana, ma questa identità non è la stessa che in quasi tutti i casi si è persa, come è possibile il riconoscimento reciproco? L'indianità si risolve dentro latribù: uno non è più indiano nel momento in cui non rispetta più le regole tribali; nel momento in cui le rispetti, quando ti senti dipendente dalla tribù econtinui a rispettarne le regole, la religione equindi la lingua, non è importante se poi esci dalla riserva evai aguadagnarti da vivere nelle grandi città. Questa è l'indianità e la vita tribale è una cosa molto concreta. Un indiano Assiniboine del Montana, che era un alcoolizzato e quindi non viveva più secondo la tradizione, mi ha spiegato la questione in questi termini: "Il vino fa parte della vostra tradizione, ma perché ne fa parte? Perché tuo padre ti ha insegnato a bere, ti ha incoraggiato a bere il primo bicchiere e poi ti ha dato uno schiaffo per il secondo, quindi ti ha educato a bere. Per questo il vino fa parte della vostra tradizione. Per noi non è così: l'alcool è entrato nelle riserve come forma di contentino edi strage fatta coscientemente da parte del governo e non avendo noi una tradizione del vino ci siamo affogati nell'alcool". Lui mi ha anche raccontato di aver avuto un sogno -gli indiani sono molto sensibili ai sogni, nei racconti indiani, nei loro discorsi, ci sono sempre i sogni, sembra un luogo comune, ma effettivamente è così- e questo sogno era un fatto vero, accadutogli molti anni prima quando, bambino, eraandatoaLong MUSTIOLA lsland con il nonno. Lì aveva visto per la prima volta dei pellicani e, siccome voleva vederne uno da vicino, aveva chiesto al nonno di ucciderne uno, ma. poiché il nonno non voleva, lui si mise a piangere forte. gli animali si devono guardare da vivi A quel punto il nonno neammazzò uno e quando lui, tutto contento, andò a prenderlo il nonno prese il pellicano, gli aprì il becco, da cui uscì fuori una puzza da sentirsi male, tirò fuori un pesce già semi digerito e lo obbligò a mangiarlo. Questo perché, gli spiegò poi il nonno, gli animali si uccidono solo per esseremangiati, non per essere guardati; gli animali si devono guardare vivi. Questaè la loro tradizione, e fa parte della loro tradizione che il bambino abbia mangiato senzadiscutere, perché l'ha detto l'anziano e nella società indiana l'importanzadegli anziani è fondamentale. Dopo questo sogno questo Assiniboine decisedi rientrare nella vita indiana. Entrare nella vita indiana significa . :.-;·.~-~: -.:~éf'ft :·:~ :· ❖; ~~:~..:· darsi alla tribù, mettersi al suo servizio secondo le proprie competenze. Così lui è diventato un insegnante di lingua Assiniboine, è stato uno dei linguisti più forte di tutto il suo popolo e ha scritto l'alfabeto della tribù. L' indianità, il mettersi al servizio della vita tribale, in sostanza si risolve nella memoria e nella lingua, eancheseuno seneva a vivere fuori, l'importante è che quello che guadagna lo metta al servizio della tribù. Che lo metta al servizio della famiglia estesa, del tiospaye, come lo chiamano i Lakota, cioè di una forma di economia comunitaria per cui quello che è mio è del mio clan, e di conseguenza della mia tribù. Dicevi dell'importanza che attribuiscono al mantenimento della lingua, ma come si rapportano le lingue tribali con la logica del mondo moderno? Ci sono delle parole che per forza devono esserepresedall'inglese ed infatti gli indiani, anche quando parlano la loro lingua tribale, ogni tanto dicono delle parole in ingleALIMENTI NATURALI di PATRIZIA FERRARA viale Il GIUGNO, 62 tel S3063 Prodotti freschi (pane, biscotteria, torte, pizze, eccetera) e confezionati frutta e verdura biologica f!•I•l)Ijfrf:M:JCtJ!ttrrU!f-1 alimenti macrobiotici NEGOZIO AFFILIATO integratori alimentari hoteca Grno B1anco I se; un po' come i marocchini che parlano un po' arabo e un po' franceseo gli egiziani che parlano arabo e certe espressioni le dicono in inglese. C'è una volontà fortissima, spontanea,di mantenere la lingua tribale, non è una forma di antiquariato. In Italia si fanno leggi perché si conservi il friulano e l'altoatesino, ma lì non c'è bisogno di una legge di questo genere: gli indiani vogliono mantenere la loro lingua, vogliono impararla, il problema è soltanto insegnarla alle nuove generazioni che vengono comunque su con la televisione. Sentono la lingua come un momento di coesione tribale e devo dire che, per quel che ho potuto vedere io, le regole tribali vengono sempre rispettate in maniera spontaneae tanto più fortemente quanto più sono consapevoli di esseredeboli. Loro sanno di esseredeboli e nel momento in cui lo sanno si attrezzano ancora di più. Certo che l'indiano come lo intendiamo noi non c'è più, non è neanche giusto che esista più ... Ricevono solidarietà? Non lo so. Noi non abbiamo nessuna possibilità di aiutarli se non facendo una pressione di cui il Governo americano se ne strafotte. Nel '93 è stata confermata la condanna per omicidio a Leonard Peltier, uno dei leader dell'America lndian Movement e dell'occupazione di Wounded Knee del '73, nonostante il vero omicida abbia confessato e nonostante il movimento internazionale che si è creato sul suo caso. Possiamo aiutarli, ovviamente tutto ciò che è solidarietà, contatto, serve sempre, ma penso che il problema indiano si debba risolvere dentro l'America con l'appoggio, per quello chevale, degli altri paesi. gli indiani se la devono cavare da soli Ma che aiuto possiamo dare? Assolutamente nessuno. Che gliene frega al Governo americano che quattro matti in Italia invitino gli indiani ..., l'interesse è talmente grosso, è un problema di uranio, di gas, che non esiste niente che lo possa fermare. Gli indiani se la devono cavare da soli. Per quanto riguarda noi europei, poi, dobbiamo accettare che il rapporto col diverso sia irriducibile, dal punto di vista culturale siamo troppo diversi. Chiaramente non è così dal punto di vista personale: basta che ci sia buona fede, disponibilità ecuriosità che non esistono confini, si può essere amici veri. Riguardo al rapporto col diverso culturale adessonegli USA c'è una strana forma di tolleranza verso gli indiani perchérappresentanola storia che gli Stati Uniti non hanno, per cui ci sono musei indiani, mostre e così via, tutti gestiti da bianchi. Ma il rapporto che c'è tra il bianco americano e l'indiano è un rapporto di sadismo vero eproprio, nel senso che il bianco sa benissimo di sfruttare gli indiani, ma ha la coscienza abbastanza sporca per riuscire a dimenticarsene al momento opportuno. Sono un mi I ione emezzo di personeche tutti i giorni muoiono di fame all'interno della nazione più progredita del mondo, sono più poveri dei neri, ma dei neri si parla perché sono 15 milioni e sono un problema metropolitano, perché fanno paura, perché ammazzano le persone per strada. mentre gli indiani non danno fastidio a nessuno, stanno nelle loro terre, lontano dalle città; stanno lì a farsi ammazzare. • CITTA' AMERICANE New York Tutti dicono che ha poco da spartire con l'America vera: è un universo a parte dove i provinciali vengono in visita come in un paese straniero. A me pare il contrario: è un concentrato d'America dove il bello e il brutto, il buono e il cattivo convivono spalla a spalla. Appena arrivati ci sistemiamo in un Marriot Hotel di Manhattan e qui apprendiamo che ogni luogo di qualsiasi albergo che non sia la camera numerata è ritenuto suolo pubblico e chiunque può scorazzarvi senza controllo. Guardiamoci bene dall'abbandonare in corridoio borse e valigie. Con una certa inquietudine per non aver messo in cassaforte i miei panni di ricambio, a piedi raggiungo la 5" Avenue. E' appena terminata una festa e un'immensa folla olivastra di bassotti grassottelli defluisce agitando bandierine del Portorico. Affonda a mezza gamba fra la cartaccia delle merendine ma decine di spazzatrici se la stanno ingoiando e procedono a ripulire la terra dai rifiuti del Terzo Mondo. Un'intera armata di poliziotti, di tutt'altra stirpe, sorveglia distrattamente il tutto: convivenza razziale. Lì vicino c'è il Rockfeller Center. La pista dove d'inverno si pattina è ora occupata da tavoli di un barristorante. Sul lato ovest straluccica la celebre statua in bronzo dorato del Prometeo, opera di Paul Manship. Non so chi è ma è impossibile scordarselo. Nell'atrio della Twin Tower, dove cerco conforto, c'è una cascata d'acqua che scivola per sei piani lungo il marmo rosa della parete. Complimenti all'idraulico. Poco distante l'Hotel Plaza ostenta le grazie di uno stile rinascimentale francese. Del 1907. Rinuncio alle emozioni dell'arte ed entro nel più grande negozio di giocattoli del mondo. Ci sono bambole che parlano, mangiano, bevono e si tolgono da sole le scarpe e le mutande. E' molto divertente. Non so per i bambini. Cambio genere ed entro nel tempio di Tiffany dove si sprecano diamanti, rubini e smeraldi in colliers da qualche miliardo. Poiché non c'è nulla a prezzo di svendita (questa N.Y. di tempi magri è piena di esercizi con "sale") lascio perdere e raggiungo in taxi i grandi magazzini Macy's. Nel reparto della Ralph Laurent compero tre camicie al prezzo di due in America e di una in Italia. Nei negozi sportivi Herman's sono in liquidazione solo i calzini. Ragionando coi piedi, mi sembra un affare e ne compero 25 paia. Poiché mi dicono che in un paio d'ore non potrei avere un'idea soddisfacente del Metropolitan Museum, né del Guggenheim, nédell'American Museum of Natural History, che richiedono almeno un paio di mesi, mi limito, per le cose di qualità, al Lincoln Center. Bellissimo. L'auditorio del Teatro di Stato, racchiuso in un padiglione con cupola di cristallo, è la dimostrazione che non sempre il grandioso contrasta col buon gusto, se l'architetto ci sa fare. Ma non succede spesso. Occupo i miei pochi giorni a vagabondare senza scopo, evitando la Metropolitana che è troppo frequentata da gente viziosa ai limiti della turpitudine. Ma i taxi sono migliaia e costano poco. lo e le mie nipoti, cui è affidata la mia sorveglianza in ogni sortita americana, visitiamo la Little ltaly, sempre più little e sempre meno ltaly, e ci inoltriamo a Chinatown. Percorriamo solo la Mott Sireet perché le altre strade non sono consigliabili: non tutti i cinesi sono prodighi di inchini come il gestore del negozietto che ci ha riempito di magliette. Attraversiamo Harlem in autobus: bidoni della spazzatura rovesciati, vetri rotti, case fatiscenti e annerite dal turno degli incendi appiccati dai proprietari per sfrattare i neri, riscuotere l'assicurazione e rivenderle allo Stato. Un negro inebetito si contorce come un serpente epilettico ritmando le convulsioni sulle musiche di una radiolina. Niente da tare per il Bronx. Non ci va nemmeno la polizia: è un quartiere autogestito dalle bande di una vivace gioventù. 11 Centrai Park è godibile di giorno ma di notte fa concorrenza a Wall Street per volume di affari. In traffico di droga. Eppure la notte newyorchese è incantevole. Immersi nella tenebra, contempliamo di lontano, oltre il mobile balenio dell'acque, le sagome scure dei grattacieli di Manhattan punteggiate di occhietti luminosi. Siamo in piena poesia ma togliamoci di qui. Non si sa mai. Mi rendo conto che New York è troppo grande per essere compresa tutta dal basso e quindi mi reco all'lsland Helicopter. In 20 minuti me la vedo tutta dall'alto: le isole, i parchi, i grattacieli, i ponti, le strade. Una deliziosa picchiata del pilota mi precipita sulla Statua della Libertà. Se ne sta lì immota, in tinta verderame, imbullonata alla sua torre di pietra. Filadelfia E' città storica. La Liberty Bel!, la campana della Libertà chiamò i cittadini alla prima lettura della Dichiarazione di Indipendenza. Nel 1835 le si fece un crepo e suonò con voce tessa. Da allora è solo un pezzo da museo per gli scolaretti dell'obbligo. In sobrio stile georgiano è il palazzo dove tu firmata la Dichiarazione e la Congress Hall, sede del primo parlamento. Gli ambienti sono piccoli e austeri, di semplicità quacchera, e trasudano rigore ed onestà. Altri tempi. Sulla torre della City Hall si erge la statua di Penn la cui testa non deve essere superata da nessun edificio. Ciò ha preservato la città dai gigantismi e le ha conservato un aspetto di signorile moderazione. Anche lo svago è severo: teatro e musica classica. Vive di industria e commercio e pare che non manchino le truffe miliardarie. Ma sempre classiche. Silvester Stallone, girando alcune scene di "Rocky" sullo scalone del Museo, lo ha trasformato in un percorso di duro allenamento sportivo. Non è così. lo l'ho fatto tre volte senza subire alcuna alterazione cardiaca. Forse perché non possiedo l'ingombro di una possente muscolatura. In basso c'è una fontana dove un peloso ispanico e i suoi due figli, in mancanza di una piscina privata, si tanno un bagno emettendo urla di entusiasmo latino. Con tutta questa libertà qui si comincia ad esagerare. Washington Ha il più alto indice di criminalità. C'è poco da stupirsi: è sede del Governo e del Congresso. Oltreché di un 70% di gente nera che, come si sa, inclina geneticamente alla delinquenza. Per entrare in centro perforiamo una periferia di case malandate abitate da negri tetri e ostili. Ci mettiamo in fila nel pronao del Capito! per visitare un interno assolutamente privo di interesse, salvo l'interesse di sapere cosa la gente ci trovi di interessante. Gli affreschi della Rotonda illustrano la storia degli USA con l'afflato di un fumetto ottocentesco. All'esterno la cupola ha una sua dignità da torta natalizia. La predilezione per il candore neoclassico, che caratterizza anche i Memorials di Jefferson e Lincoln e l'obelisco del Washington Monument, awolge il tutto in una abbacinante monotonia. Più allegro è il cimitero di Arlington, pieno di ragazzini che si rincorrono sui vialetti intersecanti le tombe militari. Il Vietnam Memorial è un lunghissimo muro infossato su cui sono incisi i nomi dei caduti. Sono tanti, ma nemmeno la Muraglia Cinese potrebbe contenere quelli dell'altra parte. Comunque i reduci non apprezzarono il progetto e posero all'ingresso una scultura raffigurante tre soldati: un bianco, un nero, e un indiano. Manca il giallo, maquello non era americano. Poco distante alcuni superstiti ormai ingrigiti vendono medaglie, distintivi e mostrine. Sono gli ultimi irriducibili che le autorità non sono ancora riuscite a sloggiare. Qui si può tare mercato di tutto ma è disdicevole contrattare in pubblico i simboli di gloria, sia pure per integrare le entrate di questi Rambo in pensione. Nella Lafayette Square alcuni barboni, curvi sui tavolini di cemento, giocano a scacchi l'innocua partita del loro ozio interminabile. Poco oltre, nella White House, si gioca senza awersari la partita del domino mondiale. Ce lo ricordano i cartelli contro le armi nucleari di una squinternata che ha arredato il suo sito con sacchetti di plastica e lì staziona da oltre 15 anni. E' un awocato, ci dicono, un po' folle ma non più degli inquilini della Casa Bianca. Sull'altro lato un baffuto palestinese inalbera un cartello che rivendica giustizia per il suo popolo. In quale altro paese sarebbe possibile una simile protesta sotto il naso del Presidente? Ma qui chiunque può contestare, ci dicono, purché in silenzio e ordinatamente. Ciò assicura la libertà di tutti: dei muti e dei sordi. New Orleans Ci sono odori, sapori e colori di Spagna e di Francia. Perfino le ville opulente del Garden District o del Bayou St. John, immerse nel verde delle querce muschiate e dei lecci, si fanno "nostre" coi loro spioventi vittoriani e frontoncini ellenistici. Profuma d'antico un quartiere come il Vieux Carré dove anche le mie nipoti, così imbevute di rumori rockettari, si sono abbandonate ad un'ora di divino jazz, scolandosi birra in un fumoso locale meravigliosamente lercio. In Jackson Square schiere di artisti scamiciati fanno il ritratto alle fanciulle sullo sfondo della Cattedrale. Un'equipe di ballerini neri si esibisce in acrobatiche rateazioni. Lungo la strada porticata che porta al French Market, pieno di festose cianfrusaglie, i negretti battono sulla latta i tempi del tip tap. Nelle caffetterie le jazz bands trascinano verso l'anticamera dell'infarto coppie di vecchietti scatenati. Nella semi oscurità di un'arcata un giovane magro manovra i fili di un marionettone triste che canta il lamento di un amore sfiorito sulle sponde del Mississippi. Ogni sera rientriamo sfiniti nel nostro albergo liberty, sperando che le maniglie delle porte non ci rimangano in mano e che i rubinetti dei bagni funzionino. In attesa dell'ascensore, incrociamo sempre i ragazzoni biondi di una squadra di baseball del Massachusset, regolarmente ubriachi. Anche loro hanno scoperto un angolo di America dove si può essere felici. Orlando Ripiombiamo nella modernità. Questa non è una città ma un assemblaggio di immensi parchi-spettacolo intercalati da splendidi alberghi con piscina. Atterriamo in un·aeroporto da fantascienza dove ci si muove su treni a monorotaia. Nell'Hotel Ramada ci accoglie un nugol.odi bambinetti in ghingheri che hanno appena partecipatò aa un concorso per mister e miss baby. Tutti si trascinano appresso una specie di statuettaoscar in plastica luminescente. Più grande è quella dei vincitori: una femminuccia abbigliata come una sposina ed un maschietto in frak che sembra un pinguino. Ecco un'esperienza educativa che allena l'infanzia alle eleganti competizioni. Ci sorbiamo le mirabilia tecniche degli Universal Studios e dell'Epcot Center. Gli interni didattici sono evidenti. Nel World Showcase, ad esempio, i padiglioni delle varie nazioni ci presentano un mondo di delizie musicali dove i lieti abitanti in costume tradizionale passano il tempo danzando sullo sfondo di casette awolte nei roseti. Nel Sea World si studiano gli animali marini in equorei ambienti artificiali perfettamente ricostruiti. Orche, delfini e balenotteri rompono i flutti di enormi vasche che sostituiscono egregiamente la vastità degli oceani. Se ne esce rinfrancati e più fiduciosi nei benevoli fondamenti degli umani e di una natura creata per servirli. Proposito conclusivo Ritornerò in America, inesauribile epifania dell'Awenire, per vedere altre cose che sono sempre le stesse. Libero Casamurata Qualche esempio dal nostri listini p,oul x set x t .000 Prenotazioni Grecia individuali Sun Light 30 2.300 1.650 1.300 Olympyc Sea 42 4,000 3.500 2.700 I Crociere di agosto I Venus 16 7.000 6.650 6.300 Turchia GRECIA TURCHIA Firsl 325 2.470 2.040 1.360 Sun Odyssey 39 3.720 3.530 3.260 Sun Odyssey 47 5.760 5.390 4.320 Caraibi Grecia (Cicladi): 2 sett. imbarco Atene G,b Sea 352 2.900 2,650 1.690 Lit. 1.900.000* Sun Odyssey 44 5.630 4.630 3.450 Atlant,c 49 6.200 5 700 4.500 Turchia: 2 sett. Corsica imbarco Marmaris Oceanis 320 2.800 2.340 1.820 Lit. 1.850.000* Voyage 12.50 3.920 3.730 3.540 Sulla base di 6 persone con barche di 39' - 40' Sun Od sse 51 6.140 7.750 6.760 UNA CITTA I I ,

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