Una città - anno III - n. 28 - dicembre 1993

Il sud del mondo che non ha costruito i mostri ersone.11 ponte possibile fra i popoli mediterranei issi. Intervista a Carlo Sini. quando il fenomeno particolaristico rivendica, in qualche misura, comunitì1 che nella loro chiusura rappresentino un· istanza dell'umano non assorbibile nella logica del capitale. nella logica del cristianesimo universalistico, questo è un elemento propulsivo. perché non è un·umanità omogenea quella che si può auspicare. bensì un'umanità fortemente differenziata. L'altro elemento che si può leggere in questa esplosione di particolarismi. di ripulsa dei governi centralizzati, è la fine della politica. In fondo lo Stato. questa cosa recentissima, creata tre secoli fa, finora ha funzionato, ma adesso bisogna forse trovare un modo di collaborazione economica, culturale. umana di tutt'altro segno. Noi oggi li vediamo come fenomeni di particolarismo, ma nel Medio Evo, per esempio, vedevano le cose diversamente; allora c'era un'organizzazione diversa, consona al livello di povertà economica del tempo. Ora si tratta di pensare la stessa cosa a livello di ricchezza e non di povertà, il che vorrebbe dire che le persone si autogestiscono, che non hanno più bisogno di votare dei rappresentanti nazionali, che si torna ad un livello umano di rapporto in cui chi mi rappresenta è quello che vedo tutti i giorni. Possono allora rinascere sentimenti quali· l'onore, la stima, la buona fede - '•io ti ho dato la parola'', "ti ho guardato negli occhi''-, forme, queste, che a livello personale contano ancora moltissimo e che ci tengono aggregati al di là delle astrazioni. E' il modello di certe industrie giapponesi molto sagge, che hanno sterzato rispetto al modello americano, nelle quali l'ultima rotellina ha però un rapporto personalissimo col suo capo diretto. Occorrerebbe creare delle macrostrutture che aggreghino microstrutture, ognuna delle quali a suo modo compiuta, con una sua logica, una sua giustizia, una sua umanità, una sua realtà, dentro la quale l'uomo misuri l'effettivo ambiente nel quale vive. Io, invece, non misuro niente quando voto un partito. Secondo lei neanche i cosiddetti "diritti umani" possono avere un valore universale? Ci sono fenomeni che vanno letti a vari strati. E' evidente che gli americani, che non pensano molto - pensano quattro cose, ma quelle le pensano intensamente-, quando vogliono imporre la democrazia in Somalia sono in buona fede. Certo, è anche una bordata propagandistica, il mascheramento di certi loro interessi meno nobili, ma loro sotto sotto ci credono. "Diritti umani" significa che non ci sarà la tortura, la possibilità di mettere in galera senza processo ecc ... la fisica di Galileo: non "dove" va un corpo, ma "come" va Sono tutte acquisizioni dell'illuminismo di enorme importanza, ma non sono l'unico metro di valutazione. Per noi sono cose irrinunciabili, perché questi valori si sono incatenati con un'evoluzione psicologica, morale, sociale, ma in un'altra tradizione devi aggiungere altri parametri, non si può leggere tutto solo in quell'ottica. Certamente in Somalia non ci sono i diritti universali dell'uomo difesi da una Costituzione, ma non ci sono neanche tanti altri mali che la società occidentale ha creato accanto a questi diritti universali. E allora chi ha il bilancino per stabilire cosa è umanamente meglio? Per noi sì, è meglio la nostra situazione, soprattutto se opportunamente corretta, cioè non mitizzata, ma non possiamo sovrapporla ad un'altra cultura che ha dell'uomo e del senso del la vita tutt'altra valutazione. Quando si afferma di aver portato loro i «diritti umani universali» si rischia di dire una cosa priva di senso. Al tempo stesso, si rischia di togliere loro altre cose per loro irrinunciabili, che garantiscono un "bene" e un "male" come sempre nella vita umana. E' evidente che se rendi industrializzata tutta la terra, il modello morale, giuridico, è il nostro, ma nel dialogo fra popoli questo modello diventa meno universale: ha nell'universalità la sua particolarità, no11la sua reale universalità. Non si può dire "i rapporti fra uomo e donna sono questi". Ma chi l'ha detto? Non ha senso. Certamente puoi dire "sono questi" in un BI l51iroefeeèaui G rnO zione dei costumi da cui non puoi tornare indietro. In ogni modello certamente c'è del male, ma anche del bene che rischia di essere totalmente azzerato. Del resto abbiamo una bella faccia tosta nello sbandierare le nostre virtù: dopotutto, il nostro modello non ci rende poi così felici ... lo credo che un modello si universalizza, cioè si estende, a partire dal basso, dall'integrazione di fatto delle forme di vita, le quali agganciandosi, producono un risultato e in questo modo mantengono un rapporto con le loro radici. Se è imposto dall'esterno, solo perché c'è il pericolo della legge, non è più creduto. E' chiaro che, nel '700, la battaglia illuministica contro l'orrore che c'era in Europa era una sacrosanta battaglia politica ccl è stata una grande bandiera e una grande vittoria, ma non possiamo fermarci lì, perché riportata in altri contesti quella battaglia non basta più. Non ha sufficienti elementi positivi nel suo seno perché i suoi clementi sono fondamentalmente reattivi. la negazione dell'uomo è nell'etica della decisione D'altra parte tutto l'illuminismo è prevalentemente reattivo. non è costitutivo. E infatti è fondato sui diritti astratti della ragione, non è Gesù. Gesù aveva da annunciare una buona novella, l'illuminismo aveva da annunciare il progresso e il benessere, la libertà di iniziativa economica contro i vincoli feudali, che erano nati da principi morali portatori di un valore positivo, poi diventati orrori. La modernità è stata invece uno svuotamento continuo. E questo già a partire dalla scienza fisica. Cosa si chiede infatti la fisica con Galileo? Non "dove" va un corpo, ma "come'' va! Ti va nel petto? Affari tuoi. Questo è tipico, e anche grandioso, ma poi porta, inevitabilmente, alle automobili che si muovono incessantemente e non si sa perché. Ora non si tratta di buttar via tutto questo patrimonio, ma di vedere che così da solo non regge e, anzi, diventa lo schermo per canagliate incredibili. L'occidente nel suo universalismo astratto ci garantisce comunque un orizzonte dialogico, di cui certo vediamo la violenza, ma fuori da esso che cosa c'è? L'unica soglia che si faccia carico di questo problema è quella che pone da una parte l'etica della decisione, dall'altra l'etica dell'indecisione. Anche il tradurre, il voler "comunicare" tra culture, è etica della decisione, è un progetto decisionista, che vuole raggiungere certi effetti, e questo è un modo tipicamente occidentale di vedere l'essere umano. Un indiano o un cinese non ha assolutamente questo modo di vedere. Il problema allora non è quello di trovare un buon dizionario. Il modo di atteggiarsi costruttivamente è piuttosto nel la consapevolezza del!' indecisione. Nel momento in cui leforme di vita, inevitabilmente influenzandosi, arrivano alla consapevolezza dell'infondatezza di ogni forma di vita, della non supremazia di nessuno, del non valore assoluto di nulla, nel momento in cui si guardano come variazioni di un indistinto che nel suofuturo non può essere determinato, allora si può arrivare a un etica planetaria che è universalistica solo nel suo ritrarsi dalla decisione. E' chiaro che una forma di vita che si vede nella sua infondatezza non ha nessun motivo di cambiare, ma una profonda indecisione circa il valore assoluto ha come effetto una profonda "cura" di ciò che è mio. Tutti sappiamo bene che i nostri figli non sono !'«uomo universale», hanno limiti, difelli, malattie, ma ognuno dice "mio figlio è mio figlio". In sé mio figlio non ha più valore degli altri bambini, ogni bambino ha la sua infondata necessità di essere, e questo "li torna indietro" come cura verso il tuo, perché non puoi prenderti cura degli altri, non dipende da te, sono lontani. Allora tu curi gli altri in te: questo è l'unico elemento decisivo. Nell'incontro con l'altro non avviene quel che credono i nostri bravi cattolici. "Tu sci nero, ma io li rispetto nella tua diversità" non va affauo bene, pen~andolo hai già detto qualcosa di molto altezzoso del genere "vedi come io sono superiore a te?". Invccc tu dcvi guardarlo e trovarlo interessante, dcvi dire "Ma guarda c',i; anche il nero! Come è ricca la vita!" anca e curare molto di più il tuo essere bianco proprio per esaltare questa differenza. In questo modo un'etica dell'indecisione è quella in cui non il progetto, ma il lasciar essere il progetto, è quello che conta, il lasciare, cioè, che l'altro si sviluppi davvero da sé. In pratica questo si risolve nel contrario di quello che facciamo adesso esportando coattivamente il nostro modello. Si tratterebbe di ragionare così: io ho uno strumento tecnologico che tu non hai, non te lo impongo, se ti interessa te lo do, fanne quel lo che credi; questo almeno finché non mi dai fastidio, perché l'essere umano non è un angioleuo. Questo significa una produzione industriale non più nell'ottica dell'espansione, ma che miri al controllo limitato della propria sfera d'influenza, infondato, cioè non universale, e che crei qui molto benessere con la speranza che l'altro, guardando il tuo benessere, desideri far qualcosa del genere. Questa è l'unica sana cooperazione e significa il rovesciamento di tutta la produzione di aggressione sulle_materie prime, sulla forza-lavoro, di tutto l'imperialismo economico e militare. L'etica dell'indecisione diventa una cooperazioneche potrebbe configurare un' amicizia piuttosto che un'inimicizia. Noi occidentali, stranamente, abbiamo l'impressione che in un'etica della decisione vi sia al primo posto il soggetto umano e che in un'etica dell'indecisione, più tipica delle civiltà orientali, ci sia una negazione dell'uomo. E' vero invece il contrario: nella prima l'uomo è già deciso, si dà un gran da fare, ma non domina questo impulso a fare. E' nell'etica che si trattiene che emerge il soggetto umano. "Potrei fare quella cosa, ma non la faccio, mi metto da parte", questo è molto più forte del soggetto che si lascia completamente travolgere. Come intende lei un incontro con l'Oriente? Credo che del 1• Oriente noi abbiamo un' immagine falsata. Pensate quanto cammino si è fatto da Schopenhauer, che immaginava l'Oriente come una favola, ad oggi. Oggi siamo molto più avvertiti, ma è difficile mettersi in dialogo con delle civiltà sterminate, che ignorano completamente il cristianesimo e la filosofia e che hanno un modo di esprimersi, di vivere la propria umanità, inafferrabile per noi, come per loro è inafferrabile il nostro. l cinesi hanno costruito una grande civiltà sul fondamento di una scrittura radicalmente altra dalla nostra alfabetica, che funge al fondo della nostra razionalità discorsiva. Essere consapevoli di questo, potrebbe essere una occasione. Mettiamoci, secondo una formula famosa, "al grado zero della scrillura" e misuriamo le nostre differenze e le nostre somiglianze. Credo che le culture che sempre hanno avuto contatti con queste civiltà siano le più deputale ad un rapporto con l'Oriente; per esempio gli italiani, gli spagnoli, le grandi culture marinare, più che i tedeschi. Proprio la tradizione cattolica è una tradizione che - nonostante la presenza di una scrittura alfabetica, veicolo della massima astrazione e prima spinta verso la razionalità scientifica - non ha mai perso il rapporto con 1• immagine, con l'iconismo, con la pittura, la scultura, ed è questa la grande differenza rispetto agli ebrei, ai protestanti, ai mussulmani. E' unaciviltàdell'immagineconfermata poi, per altro verso, dai mezzi audiovisivi -una delle cui possibilità è quella di sfondare la linearità della scrittura alfabetica introducendo correttivi d'immagine-, e potrebbe essere perciò un grande ponte fra Oriente e Occidente. con quale cura i cinesi pennellavano le loro lettere Non soltanto per l'immagine in sé, ma anche perché, mentre la scrittura alfabetica riduce l'operatività pratica a zero -cioè seri ve bene chi fa un movimento rapidissimo della mano-, chi disegna impiega, invece, tutt'intero il suo corpo, la sua fantasia, la sua immaginazione, e questo non lo si può escludere dal gioco. Si pensi con quale cura i cinesi pennellavano le loro lettere. In questo modo si ha un modello educativo non utilitaristico, non pragmatico, non quantificabile, ma qualitativo e profondamente corporeo, «ginnico», che ti ritorna come compostezza e non come pura funzionalità. Da questo punto di vista, senza che questo significhi escludere altre culture, c'è allora una possibilità grandiosa fra una Cina del 2000 e una civiltà dell'Europa del sud, italo-spagnola, o americana del sud. Queste sono grandi sfide, se arriviamo in tempo. In che rapporto sta questo scenario da lei tracciato con quanto sostenuto da Heidegger sul futuro dell'umanità tecnico-scientifica? Lì non c'è nessun futuro. Ma era molto onesto, non si è pronunciato per nessun futuro perché non lo vedeva. Lui era un grande e vedeva molte cose, ma di quello che non vedeva non parlava. Lui si arresta a livello dello "stiamo pronti": chissà che l'essere con una sua capriola non ci mostri come la tecnica possa diventare un futuro vivibile, ma non dà nessuna indicazione positiva rispetto al futuro. E non c'è non perché non possa esserci, ma perché lui vede solo il bene del passato che si è perduto e che mette in luce in maniera meravigliosa. E infaui ha prodotto seguaci che hanno un sentimento di infinita nostalgia per la poesia di un tempo, per i tempi passati e che non amano il presente. C'è una tendenza ali' isolamento ostile: un conto è chiamarsi fuori per fare un'altra cosa, un conto chiudersi in casa e, come in "Ritratto di famiglia in un interno", impazzire. In Heidegger non vi poteva essere questa visione avanzata, perché tutta la sua questione concerne il linguaggio e in questo modo arriva a circumnavigare l'Occidente, a vedere sia il vizio d'origine sia il crepuscolo degli dei, la necessaria catastrofe hitleriana. Lui se ne rende perfettamente conto e capisce che tutto comincia dalla grammatica di Parmenide e si conclude con l'assoluta insensatezza di queste frasi, oltre le quali non c'è altro da dire: si può solo barrare la copula e dire che dietro la barratura della copula c'è un evento inesprimibile ed inoggettivabile. Ma questo succede perché lui è completamente giocato dalla primarietà del logos e non gli viene mai in mente che esista una primarietà del segno sul logos. Quando parla di segno, parla sempre di un segno degenerato rispetto al logos, ma in questo modo non fa mai un passo al di fuori dell'Occidente. Per assurdo l'aveva già fatto Creuzer molto meglio di lui, rendendosi benissimo conto che il simbolismo arcaico non ha niente a che fare coi simboli logici dell'Occidente o con la poesia di Omero. Wittgenstein sfiora questa cosa quando si rende conto che la forma logica non è solo la forma del discorso, ma del rapporto di somiglianza tra qualunque immagine. i nazisti bastava guardarli, bastava l'immagine Questo era impossibile per Heidegger proprio per la sua formazione aristotelica, per cui prima c'è il filosofo che parla, poi il poeta perché parla anche lui, poi ci sono i manovali della cultura che fanno le immagini. Platone, insomma. In questa impostazione non ci poteva essere nessuna profezia. rivolta al futuro, nessuna visione, e questo spiega anche perché si sia così clamorosamente sbagliato col nazismo. Altri non si sono sbagliati. Dopo si è reso conto che il nazismo era l'orrore della tecnica all'ennesima potenza, ma dopo. Sulle prime, però, li ha presi sul serio, eccome se li ha presi sul serio! E invece bastava l'immagine, bastava guardare com'erano ... Ma anche lui, poveretto; avete presente Heidegger vestito da nazista? Sembra il film di Charlot. Non si guardava nello specchio, non aveva quel senso di aristocrazia dello sguardo che sicuramente aveva invece Nietzsche. Sono sicuro che Nietzsche non si sarebbe fatto incantare da Hitler, su questo non ho dubbio alcuno, trovava già abbastanza disgustoso Bismark e vedeva in lui il fondatore di una concezione della patria assolutamente nuova e terrificante, come scusa per l'espansionismo politico. La grandezza di Heidegger gli veniva dal non essere un intellettuale e rispetto a tutti i professori del suo tempo brillava come un diamante raro, scartava tutti. Però aveva anche i difetti delle sue virtù, aveva una rigidità, una mancanza di umorismo, di senso della vita, del gran mondo che non è soltanto Friburgo, ma è anche Parigi e Berlino. E infatti a Berlino rifiutò di andare, ma allora, come ti viene in mente di poter condizionare il partito nazista con la tua filosofia? Va bene, dopo un anno aveva capito, ma solo il fatto che un grande filosofo abbia potuto concepire una cosa del genere, lascia stupefatti. - UNA CITTA' 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==