Una città - anno III - n. 26 - ottobre 1993

• • un v1a9910 Il confronto con il senso comune. La semplicità della parola "casa". L'estrema durezza di una città scarna come N a di capire i limiti della propria voce. Il megafono degli anni '70 e il suono delle parole, anche brutale, degli ann non posticcia. Intervista a Umberto Fiori. Umberto Fiori è una delle più belle voci della nuova poesia italiana. Ex-leader degli Stormy Six, gruppo storico del rock politico italiano, ha pubblicato, tra l'altro, Case (San Marco dei Giustiniani, 1986) e Esempi (Marcos y Marcos, 1992). La poesia può essere qualcosa di più di un territorio di dominio dell'estetica, avere una qualche forma di efficacia, essere principio di una comunità o di un abitare? Sull'efficacia ingenerale della poesia avrei molti dubbi. Senz'altro su di me in qualche modo l'ha avuta. Il discorso sull'efficacia della poesia va fatto in prima persona e la prima persona può anche finire per essere l'unica. La comunità è un orizzonte di fronte al quale tu lavori. Che poi questa comunità esista di fatto è tutto da vedere. lo ho iniziato negli anni '80 -perché è allora che ho cominciato a scrivere veramente, anche se ho scritto fin da ragazzino- cercando di scrivere per una comunità che io mi immaginavo; una comunità linguistica prima ancora che politica giacché la poesia lavora su questo. Per me si trattava di trovare quella che più tardi ho chiamato '·una frase normale'·, un modo normale di parlare che avrebbe potuto mettermi in comunicazione con una comunità normale. "Normale" naturalmente inteso in senso forte, cioè una comunità a venire che però non doveva essere una comunità migliore di quella che già mi era data, doveva anzi essere, in un certo senso, una rivelazione di quello che veramente era la comunità di fronte alla quale mi trovavo ogni giorno. Per me si trattava di ristabilire un rapporto normale con le normali persone con le quali mi trovavo tutti i giorni ad avere a, che fare. Tra l'altro per me era anche una specie di riatterraggio; io ho lavorato per molti anni fuori da Milano, in giro per l'Italia e per l'Europa, suonando di qua e di là. A Milano non avevo mai abitato realmente. Negli anni '80 mi trovavo invece da solo ad abitare a Milano. la poesia come un debito da pagare Questo fatto che, dal punto di vista personale, è stato un momento di grossa crisi mi ha messo però, nello stesso tempo, anche nelle condizioni migliori per dovere rendere conto di come parlavo, di che cosa facevo e anche di come potevo rendermi utile. In quel momento ho dovuto decidere di cosa fare della mia vita e ho cercato di rendermi utile insegnando, facendo quello che valorizzava quel poco o quel tanto che potevo avere appreso. In quel momento per me la poesia è diventata più un debito da pagare che qualcosa che poteva funzionare come una specie di ingegneria sociale o di mezzo di persuasione o di propaganda. La poesia ha funzionato su di me nel senso che in essa misuravo il mio stare al mondo e nella misura in cui riuscivo a parlare normalmente, cioè a far funzionare delle frasi normali, per mc esisteva una comunità ed esistevo io in quella comunità. Cosa aveva alterato questo rapporto B norma e con le cos~ Molto probabilmente una certa idea di «cambiamento» che era un po' prepotente rispetto a quella che poi ho maturato.L'idea che nutrivo, in comune, del resto, con molti della mia generazione, era quella di uno stato di cose da instaurare, di un'utopia o anche soltanto un miglioramento; si trattava comunque di una volontà che doveva realizzarsi nelle cose e che quindi si contrapponeva alle persone, al loro modo di essere, al loro modo di ragionare, di parlare, che voleva modificarle. Nelle poesie che ho scritto poi l'espressione «a un certo punto» -senza che me ne rendessi conto, me ne sono accorto dopo-, è una locuzione ricorrente, ma «ad un certo punto» ho dovuto cominciare a dialogare e a venire a patti proprio con lo stato di cose esistente e questo patteggiare, in realtà, non è stata neanche un cedimento. In quel periodo ci sono stati senz'altro dei cedimenti politici e anch'io ho dovuto fare dei compromessi, ma dal punto di vista della )ingua e della poesia si è trattato quasi di una messa a fuoco più che di uncedimento: 'mi sono reso conto che fino a quel momento contrapponevo un mio modo di vedere che ritenevo più avanzato. più giusto, a un modo di vedere comune che per me era un ostacolo, qualcosa che mi frenava. lo, tra l'altro, ho avuto un'esperienza molto pesante. ma anche molto preziosa e decisiva per quello che sono stato dopo, che è stata quella di girare in tutta Italia, andando nei posti più sperduti del paese a proporre quello che scrivevo o cantavo. un corpo a corpo dialettico con la gente del posto In quelle occasioni ci trovavamo di fronte il «popolo italiano» che però lì era vero, era vivo, ti guardava negli occhi e si aspettava che tu gli dicessi qualcosa. E quella è stata una terapia d'urto, perché mi sono reso conto che quello che dicevamo a Milano, a Torino o Venezia risuonava in un certo modo, ma quando poi arrivavamo nei posti sperduti ecco che la tua lingua veniva messa alla prova del fuoco. Non era una prova del fuoco solo politica, ideologica, era proprio che lì ti trovavi esposto, perché quando sei sul palcoscenico sei fisicamente esposto (ci sono stati anche episodi di violenza fisica o psicologica). Q~ando vai sulle piazze senza un sostegno televisivo, ben poco può fare il sostegno politico offerto dalla ideologia! Sei nel paese tal dei tali e i ragazzi del paese ti considerano uno straniero da affrontare. Era quasi una specie di corpo a corpo con la gente e questa è stata una cosa molto sana, che mi ha molto formato e credo che abbia innuito molto anche sulla idea che ancora oggi ho di comunicazione, di scrittura. lo, da un certo punto in poi, mi sono sempre confrontato col senso comune. anche nel senso più brutale del termine, e non mi sono protetto dai pregiudizi che si hanno contro la artisticità del linguaggio, contro l'estetica. contro la poesia. contro il poeta come personaggio sociale. Mi sono esposto, ho preso atto di questa cosa e mi sono assunto il peso di questo personaggio un po· patetico che il~e a. Questasoa d'urto mi ha portato poi ad immaginare una comunità che probabilmente non esiste, ma che comunque abbia come suo punto focale la lingua, cioè il modo in cui si parla. Se tu parli in un modo oppure in un altro è chiaro che sei in un certo rapporto con la persona che ti ascolta, cioè costituisci già in partenza il rapporto tra te e chi ti ascolta. Tutto questo signifìca qualcosa di più e di diverso che una "poesia civile". Per me si trattava quasi di un fatto primitivo, di quello che c'è nel linguaggio. lo parlo e nel momento in cui parlo costituisco me stesso e il mio ascoltatore in un certo modo. Il mio ascoltatore si può ribellare, non lo vedo nemmeno come un cittadino del mio stesso paese: prima ancora che sia questo egli deve essere una persona che ho riconosciuto e costituito e che nello stesso tempo riconosce e costituisce me come parlante. Per me si trattava proprio di questo rapporto quasi primitivo, come se prima fossimo animali e poi, nel momento in cui parliamo tutti e due, potessimo diventare dei soggetti veri e propri. la casa emblema della normalità ricercata A partire da questo ho ricominciato a scrivere ed il momento in cui ho scritto qualcosa che riconosco mio è stato proprio quando ono rimasto da solo e mi sono dovuto difendere dal rischio di essere messo a tacere perché tentavo di parlare in un modo che non andava bene o che non era comprensibile. Non ho mai sentito alle mie spalle una comunità letteraria alla quale poter fare riferimento, mi sono sentito invece fuori anche da questo genere di protezione e questa cosa credo mi abbia fatto del bene. La prima delle tue raccolte poetiche si chiama Case, la seconda Esempi, la prossima si chiamerà Chiarimenti. Sono titoli che hanno quasi un aspetto didattico e sembrano fare riferimento ad un dato di esperienza comune, ad una «norma» cifrata nell'esperienza ... Il primo titoJo l'ho scelto perché ho capito che c ·era proprio una corrispondenza tra la lingua e l'immagine della casa. ·'Casa·• senza nessuna altra specificazione era proprio il corrispondente della casa normale, la casa d'abitazione, che, tra l'altro, a me bambino faceva una certa impressione. E' un'emozione molto remota e, ad un certo punto, è diventata per me l'emblema di questa normalità ricercata, l'emblema di un abitare non privilegiato, dell'abitare di tutti, che era quello che per mc doveva essere spiegato. Tornare ad abitare a Milano agli inizi degli anni '80 per me signifìcava indossare gli stessi panni di milioni di persone che abitavano in questa città e che si ponevano gli stessi problemi che mi ponevo io. I problemi di lingua, di stile e anche cli abitare si sono fusi llltti insieme nella parola "casa··. Una parola che, a bene vedere. è la più semplice che ci sia insieme forse con '·mamma·•. Poi la parola casa è anche una delle prime che si imparano nel sillabario, proprio una delle parole primarie. Col legato a questo c·era anche un· idea di visibiIità.di antropomorfismo dellacasa, per cui c'è lo sguardo della casa, le facce delle persone che sono pietrifìcate o rappresentate nei muri delle case, nei muri ciechi di Milano. Tempo fa ho osato dire in pubblico che lecase di Milano sono brutte; in realtà non volevo affatto dire che Milano è una città brutta dal punto di vista architettonico, ma che è una città particolarmente cruda dal punto di vista abitativo e dal punto di vista della visibilità dell'abitato. Non ho mai visto, infatti, tanti muri ciechi come a Milano. Questo anche adesso che non è più una città di fabbriche. lo sono arrivato qua da bambino, avevo cinque anni, ed era una città di fabbriche, una città fumosa, molto più di quello che non sia adesso, più puzzolente. La durezza di Milano è una durezza che non ha nessuna attrattiva estetica, i monumenti di Milano sono pochi e comunque sono nascosti. Milano è una città dove si abita in un modo estremamente scarno. la poesia è obbligatoriamente paradigmatica Il significato di Case era un po' questo: fare i conti con questo abitare che non concedeva niente e che ti costringeva ad un confronto con gli altri - un confronto che era analogo a quello con questo genere di architettura che embrava dirti: 'Tu stai qui, ma non è che noi ti vogliamo rendere il soggiorno più piacevole, più gradevole, che vogliamo darti delle illusioni''. Questi conti per me hanno significato molto. Mi hanno insegnato che alla fìnc in un Iuogo tu devi stare; lo puoi anche abbandonare, ma in realtà un luogo che ti appartiene alla fine lo dcvi scegliere e con questo dcvi fare i conti. li titolo Case significava anche fare i conti con una lingua e con i limiti della dicibilità di questa lingua, con la familiarità che non è un trampolino per anelare oltre. ma è una familiarità che tu non capisci e che elevispiegare. di cui dcvi dar conto nella stessa lingua che richiede di essere spiegata. Mi sono trovato in una specie di limite e di questo ho sentito di dovere dare una spiegazione o comunque di doverlo cantare, illustrare. Quanto a Esempi, l'esempio è una via di mezzo tra iI particolare e l'uni versale, sta per tutti gli altri della stessa specie, però non è il concetto, non è l'astrazione, ma un concreto che rappresenta tutti gli altri della stessa specie. L'esempio mi sembrava rappresentasse quello che la poesia è: nella poesia ti trovi di fronte ad un atto di parola che è qualcosa inparticolare, è chiuso nella sua limitatezza e che tuttavia, al contempo, vorrebbe rimandare a tutti i possibili atti di parola che vengono fatti e che questo atto richiama. Gli esempi signifìcano questo: l'universalità della poesia, ma anche la sua limitatezza. Il fatto che la poesia non si può ergere a linguaggio sublime, a linguaggio superiore, ma in un certo senso sconta il fatto di essere paradigmatica. E' paradigmatica non come privilegio, ma come obbligo. Questo è un po' il senso del titolo Esempi. Quello che sto scrivendo adesso e che ho voluto chiamare Chiarimenti è forse ancora più comico, nel senso che mi sono reso conto che la volontà di spiegarsi non poteva comunque esaurirsi. lo ho avuto unsacco di malintesi, nella mia vita sono passato da un malinteso ali· altro e forse un mio vizio è sempre stato quello di volere chiarire questi malintesi, cioè di pensare. Non mi sono ben capito con questo o con quelr altro. ho avuto scambi epistolari mostruo i con persone che forse si chiedevano perché gli scrivessi e per chiarire chissà che cosa. L·an ia di chiarimento era una cosa che sentivo molto, sentivo anche che era impo sibile, ma nello stesso tempo che mi spettava come compito. cioè che mi apparteneva. Cosa intendi per "frase normale''? Quando uno vuole scrivere una frase normale, la prima cosa che viene in mente è che la normalità è fatta da una norma linguistica che è al di fuori di lui. In realtà, poi. quando immagini questa norma, non sai piL1dove stia. Si tratta, quindi. più che di un fatto linguistico normativo. di un fatto musicale, cioè di un fatto di orecchio. Arriva una persona con una parola e ti chiede '·Come ti suona questa parola?" Allora cominci ad ascoltare questa parola e cominci a guardare da una parte. non guardi più il tuo interlocutore, ma cominci ad ascoltare questa parola guardando da

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