Una città - anno II - n. 15 - settembre 1992

pre un'impresa che ha un carattere fondamentalmente estetico: creare una forma, in questo caso politica, che abbia una sua armonia, una sua perfezione. Da questo punto di vista la letteratura è, per parafrasi o per analogia, una pratica che può essere molto simile alla pratica politica, nel senso nobile del termine, cioè la progettazione della vita, l'istituzione delle forme dell'esistenza, quella che i filosofi chiamano pratica "poietica". Fra l'altro non è un caso che molte idee dello stato prevedano che lo scrittore vi partecipi come "illustratore", come "legislatore spirituale" e questo proprio perché esiste una analogia molto profonda fra le due pratiche. Da questo punto di vista io credo che uno scrittore debba farsi carico della politica, non debba pensare di esserne totalmente alieno. Questo disprezzo molto forte verso la politica in generale, considerata soltanto come una pratica commerciale o amministrativa, io lo trovo ancora una volta un disprezzo verso la forma. Il disprezzo della politica è oggi assai diffuso, soprattutto in quegli ambienti che, nel recente passato, l'avevano caricata di valenze utopiche, rivoluzionarie. Mi sono accorto che, pur avendo vissuto, quando ero ragazzo, una età fortemente politicizzata, non ho fatto in tempo a provare quell'orrore, quel disgusto verso la politica, che persone appena più vecchie di me oggi manifestano. Questi riducono la politica soltanto all'amministrativo perché la politica come progetto globale dell'esistenza li ha talmente ossessionati, ha loro talmente rovinato l'esistenza, da non tenere neanche più in conto questo aspetto. Guai a parlare con loro della politica come progetto dello Stato, perché lì, per loro, già si va verso il gulag. Mentre è vero che le società autoritarie o totalitarie non sono frutto solo della politica, ma sono un tutto coeso a cui contribuivano certo la politica, ma contribuivano anche l'economia, la cultura ecc. Anzi, gran parte degli scrittori "civili" o "politici" erano dei servi di regime o dei cortigiani. Si tende sempre ad identificare la poesia civile con la lotta al potere, ma non è vero, tutti i dittatori hanno avuto fiordi bardi. Per questo dico che non si può dare per scontata la collocazione "a sinistra" del letterario, così come non si può negare l'esistenza di una cultura di destra. Esistono una cultura di destra ed una cultura di sinistra ben riconoscibili. Direi anzi che il Novecento, dal punto di vista delle idee politiche che gli scrittori hanno avuto, è un secolo di destra, senz'altro molto più a destra dell' 800, il secolo progressivo per eccellenza. Il nostro secolo è stato un secolo in cui quasi tutta l'intelligenza europea ha tifato per le stragi, per i dittatori. Da questo punto di vista la letteratura esce ancora meno assolta della politica. In Europa quasi tuffa l'intelligenza tifò per le stragi Mi stupisco sempre molto quando leggo alcune cose scritte poco prima della Prima Guerra Mondiale o negli anni trenta in ftalia, Germania, Francia. Cose di scrittori che magari erano cristiani o socialisti; alcuni sono poi diventati simboli dello scrittore che si oppone all'orrore politico, tipo Thomas Mann. Le cose che scriveva subito dopo la Prima Guerra Mondiale sono un inno alla cultura tedesca come speranza del l'Europa, contrapposta alla civiltà borghese e capitalistica francese ed inglese, cose che non erano in nulla e per nulla spiritualmente estranee al clima che poi diventò quello del nazismo. Fra l'altro sono convinto, soprattutto dalla lettura dei giornali, che in Italia si sia sempre un po' pronti a tutto, le idee sono abbastanza facilmente trascoloranti. Questa è una forza del cattolicesimo italiano: contenere tutto e l'opposto di tutto. Tornando alla questione della letteratura civile, uno degli ostacoli che lo scrittore italiano incontra per parlare in modo efficace della realtà è dato proprio dalla specificità della lingua italiana. In tutto questo secolo gli scrittori non hanno potuto fare altro che usare pedissequamente l'italiano parlato dalla borghesia, la lingua televisiva di oggi, ottenendo un tipo di letteratura molto piatta anche se ha dato loro una certa diffusione, come nel caso di Moravia. Altrimenti l'hanno dovuta inventare, violentare, esacerbare con i dialetti, col patois, con le invenzioni, creando una lingua molto ricca ma molto ardua, come ha fatto Gadda. il diafeffo, scelta conservatrice, anzi • • reaz,onar,a Gli scrittori italiani sbattono un po' fra questi due estremi. Il problema dell'italiano è che non è la lingua della borghesia ed in un mondo borghese, i borghesi stessi, non sanno mai quale lingua parlare. La sopravvivenza così forte dei dialetti non è un caso: l'italiano formale, ufficiale, non è una lingua così rappresentativa, invece in altri paesi, come in Francia o Inghilterra, la lingua è la lingua della borghesia di stato da cinquecento anni. La lingua francese è la lingua del potere, mentre invece per uno scrittore italiano già la scelta della lingua è una scelta politica. La scelta del dialetto, ad esempio, è sempre una scelta politica, anche se è ambigua. Conservatrice o rivoluzionaria? A mio avviso conservatrice, quasi reazionaria, anche se serve ad illustrare le lotte dei popoli sottomessi. Da questo punto di vista sono molto manzoniano, aspiro sempre ad una lingua illustre, ma superiore alle parti. In ogni caso rimane il problema che uno scrittore italiano, nel momento in cui comincia a scrivere, deve sempre scegliersi la lingua, non gli è mai data, mentre uno scrittore inglese, per esempio, non ha questo problema, non ha un "parco lingue" fra cui scegliere. E questo è il grosso problema del romanzo: se si volesse veramente essere realisti bisognerebbe dare una lingua ad ogni personaggio. Così il portinaio sarebbe marchigiano, il carabiniere calabrese ecc., ma si finirebbe nel macchiettismo e poi comporterebbe un enorme problema mimetico. Ma il fatto che in Italia manchi una lingua realmente unificante non può essere un ~ aspetto di quella contiguità fra politica e letteratura di cui parlavi prima? La cosa più paradossale, ed è una caratteristica molto forte nella letteratura italiana, è che questa è una letteratura fatta "in mancanza di", "in assenza di". Quasi sempre gli scrittori italiani stanno parlando di qualcosa che non c'è o non c'è ancora o si sarebbe voluto che ci fosse. Quasi mai parlano di quello che c'è attualmente: parlano dello stato futuro o dell'arcadia o del mondo ideale. La cosa più interessante è che noi abbiamo uno scrittore, Machiavelli, che descrive perfellamente quelle' che saranno le monarchie francese ed inglese, fortemente normative, fortemente centralizzate, proprio nel paese in cui questa non ci poteva essere e non c'è stata. Noi siamo pieni di utopisti, ma, diceva Gramsci, il genio italiano non vale mai per l'Italia. Gli scrittori italiani scrivevano in italiano, ma le loro idee funzionavano altrove, la tipicità italiana è proprio questa. Fra l'altro Gramsci ha capito Machiavelli perfettamente e personalmente considero Gramsci il più grande scrittore del secolo; non solo come politico, ma proprio come scrittore. Se ci pensiamo bene il più grande scrittore italiano del Cinquecento è Machiavelli, cioè un politico; il più grande scriltore italiano del Seicento è Galileo, cioè uno scienziato. In Italia ciò che chiamiamo letteratura non era dunque necessariamente scrivere romanzi, ma era la "messa in forma" di attività come appunto la politica o la scienza. Da questo punto di vista trovo disastroso che in Italia si intenda oggi per letteratura semplicemente lo serivere poesie e romanzi (e lo dico io che seri vo soprattutto poesie e romanzi ... ), mentre invece la nostra tradizione è tutt'altra. Questo modo di vedere comporta che gli scrittori siano considerati dei "decoratori", che i romanzi siano visti come futilità, che tutto ciò che è scrittura non romanzesca, non lirica o poetica, cioè la scrittura saggistica, la storia, la politica, sia lasciata nelle mani di giornalisti, professori universitari o autori di best seller che scrivono con i piedi. La cosa buffa è che quell'attività di formazione morale, di formazione della coscienza, svolta da personaggi che possono essere Montesquieu, Voltaire, Machiavelli, figure centrali della cultura e della prosa europea, sia affidata in Italia ad opinionisti che però sono dei mediocri scrittori. E questo proprio a causa di un'idea molto lirica, che dobbiamo tutta ai nostri sublimi anni venti e trenta, per cui la letteratura sarebbe una pratica celeste, di pura spiritualità ecc., e tutto il resto può essere tranquillamente dato in appalto agli uomini di mondo. Mentre invece i nostri grandi scrittori erano uomini di mondo, gente che faceva chi il politico, chi il mercante, che comunque stava nel mondo e lo raccontava. Proprio per questa situazione lo scrittore italiano deve quindi fare una specie di opera di carpenteria iniziale: deve scegliersi un genere e la lingua, perché non la trova come data. Anche per questo il romanzo ha fatto molta fatica ad attecchire in Italia. Il romanzo è un genere straordinario ma è sempre piaciuto poco all'accademia italiana. Nel romanzo, oltreall 'avventura, agli amori, ci stanno sempre la storia, un po' di filosofia, il teatro, un po' di scienza: una specie di grande contenitore ideale con tanta roba. Come in Melville, in cui trovi contemporaneamente la storia dell'America, la storia della marineria, tutta la metafisica presa dalla Bibbia, la lotta del bene contro il male e in più una storia di avventure. Questo spiega anche perché è così difficile fare un romanzo politico. Un romanzo politico è tale quasi per un effetto involontario, penso a "L'educazione sentimentale" di Flaubert, che, se vogliamo, è il romanzo politico più incredibile: è la storia di due ragazzi che crescono, ma ci trovi dentro anche la rivoluzione del 1848, il socialismo, ecc. Fra l'altro Flaubert se la rideva del socialismo e della rivoluzione, ed uno dei più bei pezzi di quel libro è quello in cui Flaubert dice: "Il socialismo è un'idea nuova come il gioco dell'oca. Eppure ogni volta che appare terrorizza i borghesi che la temono più dei meteoriti". Ma l'unica cosa bella delle idee è che sono sempre superiori ai loro detrattori e questa è una specie di omaggio anche se poi il romanzo racconta il fallimento di tutto questo. il romanzo mostra il mondo prima di criticarlo Il romanzo è il genere politico per eccellenza proprio perché in esso e' è contemporaneamente il mondo e la critica del mondo. La forza del romanzo è proprio questa: per criticare il mondo bisogna prima mostrarlo. Per quanto mostruoso possa essere questo mondo, comunque lo scrittore l'ha prima attraversato, lo scrittore deve fare questo percorso mondano, dunque anche politico. E questo è totalmente in contrasto con quella posizione un po' da frate, un po' da profeta, un po' da luminare che il letterato italiano tende ad assumere. Una posizione che Gramsci definiva essere dovuta esclusivamente alla provenienza di classe. Essendo quasi sempre di provenienza piccolo borghese lo scrittore ha bisogno di una elevazione, molto spesso di andare verso il potere. ,I unto Proprio perché la piccola borghesia non ha una identità di classe il letterato italiano tende quasi sempre ad aderire a un modello che può essere o sopra o sotto di lui. O diventa servo degli alto borghesi e dei nobili o diventa il defensor causae dei poveri e degli sfruttati. Quasi sempre comunque là dove sta non sta bene e non è bello che stia. Abbiamo allora D'Annunzio che sale e Verga che scende, entrambi comunque non possono nascondere la loro natura piccolo borghese. Pasolini viene spesso evocato come esempio di "poeta civile". Anche lo stesso Pasolini, che si era costruito questa voce "civile", per me resta uno scrittore di tipo erotico-religioso, piuttosto che strettamente politico. Adesso tutti si ripigliano Pasolini, come se Pasolini fosse così semplice da rivendicare. La sua è invece una posizione difficile per chiunque, mentre adesso viene ripreso proprio come esempio di poeta civile. fa f iovenfù non è un ideale politico, passa Ma Pasolini ha potuto soltanto dire l'orrore che ci è toccato in sorte, la politica come constatazione dell'orrore. Non ha potuto dire cosa avrebbe dovuto esserci al posto del- !' orrore. Ancora una volta il nuovo, il moderno, la borgata, la televisione, il giovane proletario romano il cui sesso diventa orribile, nasce da quest'idea tutta "italiana" che la bellezza è stata e adesso può essere soltanto fatta a pezzi, distrutta. Un'idea quasi mistica della politica: l'Italia è un corpo che viene continuamente ferito, oltraggiato, ma non potrà mai crescere o essere curato perché il suo splendore è lo splendore della gioventù. Questa idea della gioventù come di ciò che non può non venir corrotto era in Pasolini molto forte, ma la gioventù non è un ideale politico, la gioventù non può essere praticata, passa. Il messaggio politico di Pasolini è soltanto negativo ed è strano vederlo oggi portato ad esempio di poesia civile. Ma andiamo a leggere quello che scrivevano realmente gli scrittori considerati "civili" o "politici", Verga per esempio. "I Malavoglia" o "Mastro Don Gesualdo" sono dei romanzi al cui confronto la tragedia greca impallidisce. Sono una pietra messa sopra al definitivo destino di oppressione del popolo, altro che 1iberazionedelle classi oppresse, scritta come un poeta furibondo, infervorato, altro che prosa realistica, processuale. Questa è la nostra letteratura civile o politica, ed è proprio il contrario del realismo. Il realismo fra l'altro, oggettivamente e comprensibilmente, confina con l'orrore. Per esempio si veda quel la che viene considerata la pagina di realismo più crudo, cioè la morte di Madame Bovary avvelenata. In realtà è un film di Romero: gli occhi che si rovesciano, la lingua bluastra che esce fuori. C'è un compiacimento cadaveriale fortissimo. Ti rendi allora conto che quelli che fanno i realisti alla fine si ricollegano ad Edgar Allan Poe. Se si spinge il pedale del realismo arrivi al punto in cui i vermi brulicano sul cadavere. Il limite fra la letteratura realistica e quella fantastica è infinitesimale. E' il principio delle "Ninfee" di Monet o delle "Marine" di Turner: più avvicini allo spettatore un particolare, più questo diventa astratto. Il realismo estremo, che entra sempre più nel dettaglio, nella sua ansia di verità, di realtà, alla fine fa sparire la realtà stessa. ■ Foto di sinistra: Van Eyck, I coniugi Arnoljini, particolare. Di destra: dal film "Fino al/a fine del mondo" di Wim Wenders. NOBILfA' E IMPEGNO spansa. Se in quei minuti siamo liberi da ogni estetica (da ogni giudizio) sentiremo la musica più bella della nostra vita. opere con la durata cronologica, come appunto 4'33"?), Cage rispose ad una serie di domande rivoltegli da Daniel Charles in un'intervista divenuta famosa. Le sue provocazioni, anche se concepite nella loro esseriza trent'anni prima, facevano discutere nei campus americani e nelle università parigine. I suoi happening richiamavano centinaia di giovani e venivano interpretati come mine interne al sistema di organizzazione del potere e del consenso. Una delle domande di Charles fu la seguente: "Ha coscienza di louare per una qualunque liberazione politica, sociale, economica, materiale? Cosa pensa dell'interpretazione marxiana che -tempo fahanno proposto della sua esperienza?" abbacinato dai corsi di marketing, o chi crede, ali' opposto, nella rivoluzione attraverso la politica, provi a pensare per un istante al tremendo potere di trasformazione che può avere una vita poetica, una vita in cui l'attenzione è fissata sull'essenza della parola, o sulla musica senza pianista di Cage stesso, o sui faticosi tentativi della nominazione. Questo è il vero, nobile, "impegno sociale", o politico (o "impolitico" nel senso di Thomas Mano). li processo è "additivo ed energetico". E' ovvio che, preliminarmente, occorre cambiare il luogo dell'attenzione. occorre fare la guerra al radicamento dell'attenzione sull'orrore del mondo. Ma è certo che fissando l'attenzione suIpoetico, o come dice Derrida sul "poematico", il mondo cambia proprio perché si è svuotato il nostro senso pedagogico, proprio perché la nobiltà comincia ad essere vissuta. Fu l'entusiasmo per aver intravisto la possibilità della vita poetica che spinse fohn Cage a dire: "L'anarchia è finalmente pratica. Le vecchie strutture del potere e del profitto stanno morendo. L'immagine che nasce è quella dell'uso. Creeremo un mondo che cammina cosl bene che potremmo diventare pazzi". "La musica così come io la consi- al proprio naturale svuotamento. ro. in ogni istante, dal fallo di dero -e, su questo punto, devo Impresa impossibile? Impresa alla amare e di odiare". è la sua deconfessare la difficoltà: è ad un nostra portata, nel tentativo quoti- finizione. Una condizione ancora tempo una musica pedagogica e diano di trasfigurazione poetica molto distante dal senso dell'esuna musica "reale'', che presup- del!' azione che costituisce l'uni- sere-nel-mondoche si respiranelle pone la pedagogia svuotata, con- co miraggio di salvezza, l'unica nostre case, fin dalla culla, nelle sumata, finita- la mia musica, possibileredenzione?Cagestesso nostre scuole. nei nostri "salotti dunque, è un invito aqualcosa che "confessa" la difficoltà. L'unica letterari": anche se è evidente che mi piacerebbe chiamare nobiltà". parola che trova per definire il Cage se la prende con la contrapln questo cenno di John Cage. uno tentativo è "invito alla nobiltà". posizione dualistica, con iInecesfra gli innumerevoli che egli ha L'indicarelanobiltàèciòchesalva sarioequilibriodi reciproci oppodeciso di lasciarci in eredità con- la pedagogia dalla sua autoaffer- sti che essa implica. L'amore e gedandosi dal mondo in sfacelo di mazione, è ciò che la porta allo l'odio presuppongono la distanza questo agosto disarmante, vi è una svuotamento naturale. e, in arte, la cattiva pedagogia. La strada aperta, una nuova radura L'arte può dunque essere pedago- nobiltà deve essere radicale. asben luminosa. Per avvicinare la gica se la sua pedagogia abbando- soluta, senza sostegno. Il gioco nobiltà occorre spingere la "peda- naalla fineogni progetto. Inverità, del saltello fra gli opposti la morgogia" fino allo svuotamento, allo che razza di progetto può essere la tifica. Ma se non fosse abbastanza sfinimento,allaconsunzione,fino nobiltà? E che significa realmen- questo per la nostra cultura alla contaminazione con il "reale". te? Non c'è tema più cageano di affaccendata in postmoderni e Questo significa che, per Cage, questo. la nobiltà non ha nulla a transavanguardie e nouveau l'intento pedagogico -nella musi- che vedere con la sfera morale: roman, ascoltiamo un altro esemca, nell'arte, nella letteratura, in non è un invito alla retta azione in pio: "cadiamo nell'assenza di fin dei conti nell'esercizio del contrapposizioneadun'azionenon nobiltà ogni volta che ci accon- "linguaggio"- è ciò che tiene nella retta. Se cosl fosse, paradossal- tentiamo di meuere qualcosa in distanza dalla realtà. Il tentativo di mente, il contatto con il reale tro- rapporto con ciò che amiamo e Cage, di certodifficilissimo, forse verebbe ancora un muro, una di- ciò che ci ripugna, ogni volta che impossibile,èstatoquellodiavvi- stanza, e l'arte avrebbe di nuovo esprimiamo un giudizio, insomcinare la realtà attraverso la mu- fallito. Non è neppure, dice Cage, ma ogni volta che facciamo delsica, non escludendo dall'inizio la la nobiltà nel senso di Nietzsche, l'estetica". Da qui allo Zen il paspedagogia (egli sapeva bene che ancora troppo interna alla tradì- so è brevissimo. E infalli Cage non vi è un "progetto" più peda- zione dell"'ostracismo" occiden- l'ha fallo. L'arte senza nessuna Bio f tc5f e caola drn~Ònobile è ra ricOica si espande fino a comprendere il cosmo, e tutto ciò che è, è suo. E la musica di Cage si espande fino ali' annullamento, o meglio fino all'inclusione in sé dei rumori del pubblico in sala mentre il pianista non suona nulla, come in4'33". Inapparenza, però, niente è più vicino all'estetismo e all"intelleuualismo di 4'33": un pianista che si avvicina al pianoforte e non fa nulla esattamente per 4 minuti e 33 secondi. La musica è generata dalle reazioni del pubblico, dai rumori della sala. Ma proviamo per un attimo a pensare sul serio I' aspeuo "pedagogico·· di 4'33", il suo invito alla nobiltà. Pensiamo di prepararci per andare ad un concerto di musica sinfonica. Ci vestiamo adeguatamente, ci creiamo certe aspellative, giochiamo un ruolo, ci immedesimiamo in esso. Poi, nella sala dalla perfeua acustica, il pianista si siede e non suona nulla esattamente per 4 minuti e 33 secondi; al trentaquallresi mo del quinto minuto tuttoè finito.Alcuni rumoreggiano, altri ridono: è la paura dello sguardo che teme di volgersi all'interno, e dell'orecchio che intuisce, insottofondo, la musica cosmologicamente eAccade così che la pedagogia di Cage, per svuotarsi, svuota anche l'opera, 1 'ergon. Ma questo svuotamento è in realtà un riempimento, è lo scoprire le carte della intima vocazione. La letteratura deve allora produrre solo libri con pagine bianche? La pillura mostrare solo tele bianche? Sarebbe assurdo. Un'operacome4'33", in Occidente, accade una volta. E' il segno della necessità della conversione dello sguardo, e, per l'arte e la poesia, della necessità di indicare la nobiltà come sola pedagogia possibile. Cage avrebbe sottoscriuo la frase di Coomaraswami, cheera tra l'altro unodei suoi autori, che recita: "L'unico splendore è lo splendor veritatis". Cage ha speso molto del suo tempo nel pensiero della possibilità della vita poetica. Questo tempo "perso", e l'insistenza sulla nobiltà come sola pedagogia, sono essenziali in realtà per concepire ciò che noi intendiamo genericamente con il termine "impegno". Egli aveva ben chiaro il motivo di ciò, e lo esprimeva a volte con una lucidità sconcertante. Nel '68 (sono forse casuali le date per un musicista che nomina le proprie Cage scrisse la risposta incaratteri più piccoli, in un quadratino minuscolo, quasi a volerla nascondere, ma con termini categorici: "/ I mondo cambia infunzione del luogo in cui fissiamo la nosrra atrenzione. Questo processo è additivo ed energetico". Pensare questa sorta di sutra richiede ben piùche un articolo. Chi vuole, lo pensi. Chi fa il giornalista, o peggio il giornalista televisivo, pensi seriamente di cambiare professione, pensi a ciò su cui fa mantenere l'attenzione. Chi è Ivan 7-attini UNA CITTA' 9

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