Una città - anno II - n. 15 - settembre 1992

selo consegnare. E' al canile da due anni ma nessuno può più avvicinarlo perché sta sempre rintanato. Questo dà la misura dello shock che ha subito. Tutte queste sono feste di santi. La Chiesa? La religione cristiana è antropocentrica. La ·religione cattolica è senz'altro tra le peggiori, e anche se molti cattolici hanno creduto al papa quando ha riconosciuto l'anima agli animali, alcuni anni fa, in realtà è stata una dichiarazione nebulosa e ambigua, perché il papa ha riconosciuto agli animali il soffio vitale e divino, ma questo soffio vitale e divino non corrisponde all'anima immortale. A parte che a me francamente non interessa se gli animali hanno l'anima o no, ma c'è chi pensa che abbiano dei diritti solo coloro che hanno l'anima ... Mi raccontavano che una bambina ha scritto in un tema: se gli animali hanno solo questa vita mentre noi abbiamo anche una vita ultraterrena questo è un motivo in più per non farli soffrire nell'unica che hanno. L'uomo ha un'altra possibilità, l'animale no. Secondo me aggiustiamo sempre le cose a nostro tornaconto. Che dopo sia l'anima, o l 'intelligenza, trovo che sappiamo usare tutte le argomentazioni per giustificare i nostri atti di prepotenza. Tornando al cattolicesimo, noi diciamo che queste feste sono sadico-religiose per due motivi: perché avvengono tutte in occasioni di celebrazioni religiose e perché c'è il diretto coinvolgimento del clero spagnolo. Non c'è solo la tolleranza, cioè il fatto che in tutti questi anni non è venuta nessuna parola di rimprovero e di critica né dal Vaticano né dal clero spagnolo. le banderillas delle suore Ci sono state pochissime eccezioni, una delle quali la dichiarazione del Vescovo di Madrid che giudicava la corrida non cristiana, poi l'hanno messo a tacere e non ha più osato fare affermazioni di questo genere. Ma il clero è spesso organizzatore diretto di questi spettacoli, perché avvengono durante le feste di parrocchia e il profitto della festa spesso va al finanziamento della parrocchia. Poi le banderillas sono sempre fatte dalle suore, la preparazione di questi ornamenti viene fatta nei conventi. Ho visto addirittura le fotografie di un prete che entra nel- )' arena e pianta la picca al toro ... Ogni festa patronale, dalla città più grande al paese più piccolo e sperduto, salvo quei pochi che hanno abolito questo tipo di manifestazioni, consiste nella tortura dell'animale. E anche da un punto di vista quantitativo la cosa è rilevante, perché in ogni festa sono tanti gli animali torturati e uccisi e quindi siamo di fronte a migliaia e migliaia di vittime ogni anno. vere scuole di violenza La cosa più terribile che ho visto a Coria sono questi encierri infantili, organizzati dagli adulti per i bambini. Un encierro dove al posto del toro c'è di solito un vitellino, piccolo come un grosso cane, un animale che beve ancora il latte della mamma. Ho visto i bambini imitare il ruolo degli adulti, fare al vitellino le stesse cose che gli adulti fanno al toro. Queste sono delle vere proprie scuole di violenza dove i bambini trucidano gli animali. Ed è una cosa orribile anche dal punto di vista dell'uomo oltre che dell'animale. Naturalmente questi vitellini subiscono una sorte atroce, anche perché i bambini sono più maldestri nel voler uccidere. I Biblioteca ,m ress1on1 , v,a , SAFARISUDAFRICANO al livello dell'uomo senza cuore perché è una necessità di sopravvivenza: se questa sensibilità non fosse spenta, morirebbe d'infarto. • • uom1n1 Parco Kruger nel Transvaal: 350 km. in lunghezza, 60-80 Km. in larghezza, oltre 20.000 Km. 2 di savana e boscaglia severamente protetta. Ci andiamo per la nostalgia degli animali africani. L'avventura non c'è: si marcia in auto, su strade d'asfalto e su piste lisce e compresse. Si dorme nei lodge, in bungalow che sono villettine fra alberi e fiori. Si consumano, nei ristoranti dei lodge, insipidi pasti all'inglese, ma le bistecche sono di prim'ordine. Nessuno ruba: i bungalow non hanno chiavi e la porta viene chiusa solo per conservare all'interno la temperatura del condizionatore d'aria. Chi dice che questi afrikaner sono incivili? Lo dicono i negri, quelli che vivono nelle luride baracche attorno a Jhoannesburg, Pretoria, Cape Town e ad ogni altra piccola città. Quelle linde deliziose cittadine uscite dal progetto unico di un unico architetto che ha vinto l'unico concorso per un unico modello urbanistico e costruttivo in una nazione poco unica e nient'affatto unita. Loro sono gli incivili, i negri: costruiscono al di fuori del piano e non rispettano l'igiene. Chi non lo sa? Puzzano per natura, sono sempre sporchi e non è detto che il nero derivi solo dal colore della pelle. Ma noi siamo venuti per conoscere gli animali, non gli uomini. E c'è tutto da guadagnare. leopardi Sappiamo che il leopardo è un animale schivo: caccia di notte, si muove solitario fra le fitte vegetazioni, fugge la presenza dell'uomo. In tanti anni d'Africa non l'abbiamo mai visto. Qui ce ne sono tanti, dicono, ma vattelapesca a scovarli in questo immenso territorio. Alle ore 15, in piena calura pomeridiana, quando gli animali sembrano disertare la savana per trovare ristoro in segreti luoghi d'ombra, eccone uno sotto un'acacia, al bordo della strada. La sua bella testa di gattone in piena salute sbuca dall'erba e ci osserva senza traccia d'emozione. In mezz'ora di attesa, per poterlo vedere in piedi, non si muove di un filo, non sbadiglia, non dà cenno, nonché di spavento o diffidenza, nemmeno di curiosità. Ogni tanto socchiude gli occhi, quasi assaporando il benefico torpore della savana. Ci stufiamo e decidiamo di andarcene: ma che razza di leopardo è mai questo che se ne sta qui a dormicchiare come un leone qualsiasi? Alle 5 del pomeriggio stiamo tornando al lodge dopo un'escursione fallimentare con indigestione d'immagini consuete: impala e springbuk a bizzeffe, con le cornette aguzze e le esili nervose zampette sempre pronte a una rapida fuga. Una coppia di sposini in età, sporgendosi dai Ìlnestrini della macchina, ci fa cenno di fermarci e, in un concitato linguaggio da sordomuti, ci indica qualcosa in alto su un albero: a metà di un grosso ramo ricurvo penzola un'antilope morta, buttata là come uno straccio. Mai saputo che le antilopi salgano sugli alberi, vive e morte che siano. La signora dal finestrino, con spaventevole mimica, digrigna i denti e muove un ditino in circolo. Che vuol dire? Che quella vista le ha svegliato un feroce appetito circolare? Ma no! Significa solo che un leopardo si aggira intorno e presto tornerà a divorare la preda che ha posto al sicuro sull'albero. Dopo una lunga vana attesa decidiamo di farci un giretto. Al ritorno l'auto della coppia non c'è più ma il leopardo sì. E' lassù tutto intento a strappare l'involucro coriaceo dell'animale macellato. Lo scricchiolio di carne ed ossa macinate si interrompe quando, avvertendo la nostra presenza, solleva il muso imbrattato di sangue e ci osserva con sospettosa curiosità. Verificata la nostra immobilità, riprende con sereno impegno la sua opera di scuoiatura e masticazione. Fattosi sazio, si netta muso e petto con un vasto tovagliolo di lingua e si accuccia accanto ai resti del pasto, grampinato al tronchetto coi fortissimi artigli. Cerchiamo giustificazioni alla nostra mancanza di ripugnanza: non è cattivo, uccide per mangiare, favorisce la selezione naturale eliminando gli ungulati più deboli, contiene l'eccessiva espansione dei grandi branchi quando ne uccide i piccoli. Tutte chiacchiere! In realtà quel brandello di carne penzolante ha ben poco a che fare col grazioso animaletto dai dolcissimi occhi disneyani che avremmo voluto invulnerabile. Adesso è solo un articolo di beccheria di cui anche noi abbiamo gustato la bistecca. Che la nostra sia cotta non è un indice di civiltà ma un'esigenza di digestione. Come disse il poeta omonimo al plurale di questo elegante innocente assassino, quando si convinse che "gli inermi regni della saggia natura" non erano poi tanto inermi, "la natura crudel il suo capriccio adempie e senza posa distruggendo e formando si trastulla". Grande poesia per una prosaica verità. leoni Sono tanti. Ma dobbiamo osservarli alla distanza, senza poterli avvicinare, perché è proibito uscire dalla pista. Presso una pozza d'acqua un harem di sei leonesse, di cui una con l'intera cucciolata, scende ad abbeverarsi. Dopo un po' compare l'indolente sultano scuotendo la regale criniera e facendo oscillare, sotto di sé, diversi centimetri di pelletica di pancia. Anche !ui scende per bere e poi risale faticosamente la scarpata, zoppicando da una zampa. E' vecchio, stanco, ferito. Come tutti i potenti, finirà presto senza gloria in pasto agli avvoltoi e a tutti quei maleolenti spazzini della terra che fuggono la sua forza in vita e calano poi a spolpare le spoglie inerti di chi è ridotto al nulla. Così vanno le umane vicende. • iene Usciti di buon mattino per poter vedere gli animali allo scoperto nelle prime frescure del1 'alba, incontriamo uno di questi divoratori di carogne. Pare aspettarci immobile in mezzo all'asfalto e, quando ci fermiamo, si aggira circospetto attorno alla macchina. Dal cunicolo dello scola acque sottostradale sbuca un cucciolo. Come si dice, tutti i bambini sono belli. Anche al figlio di questo maculato parassita, dall'andatura sbilenca di cane bastonato ma d'occhio gelido e cupo, non manca la grazia. Tiene fra le giovani zanne due zampette sanguinolente di piccola antilope. Certamente un dono del genitore ali' ancora inesperto piccoletto. Chi dice che queste scostanti creature mancano di amorevoli sentimenti? Ma forse l'infelice dik dik, non ancora ridotto a due miseri zoccoletti, avrebbe avuto qualcosa da obiettare. Dopotutto l'immortalità conseguita attraverso il riciclaggio chimico della natura non piace a nessuno e a lui si nega anche l'illusione di avere un'anima. elefanti Due vecchie signore rinsecchite, che sembrano uscite da un romanzo di Agata Christie, hanno la macchina ferma al margine della pista e ci invitano a rallentare. Più avanti un branco di elefanti, poco ecologicamente, st~ eliminando l'ultimo residuo di verde nella macchia. Ma i limiti di spazio e tempo, che impediscono la riproduzione spontanea,nonlihannoinventati loro. Sorpassiamo le due pergamene anglosassoni per avvicinarci di lato. Un piccolo Dumbo, qualche quintale di tenerezza, comincia a "strillare" contro di noi. Alza minacciosamente la proboscide e sventola furiosamente le grandi orecchie, quasi a spiccare l'impossibile volo della favola. Avanza e retrocede con tutta l'audacia e l'esitazione di un'infanzia incollerita. Perché ce l'avrà tanto con noi? Una femmina imponente raccoglie la protesta e, dopo un attimo di attesa in cui pare misurare l'esiguità di mole della nostra auto in confronto alla sua stazza, comincia a caricare. Un colpo di acceleratore ci sottrae alla catastrofe Ci fermiamo più avanti e vediamo che tutto iI branco altraDALVIETNAM E' ancora difficile pensareal Viet- un volto a una terra che 7.850.000 namcomemeta turistica, poiché il tonnellate di bombe avevano sfinome stesso evoca gli orrori di gurato. che il napalm aveva bruguerre lunghe e sanguinose, im- ciato e che i defoglianti avevano magini di distruzioni e di morte, disseccato. La tenacia del popolo scene apocalittiche che troppo vietnamita ha avuto come alleata spesso hanno fatto da sfondo a la natura, che ha ripreso il sopravfilm "di cassetta''. E' vero, cono- vento, nonostante le terribili mutisciamo il Vietnam attraverso lazioni. E le risaie verdeggianodi l'epopea di Rambo più che dalla nuovonellepianureintornoaHue, storia, attraverso le "chansons de l'antica capitale di un regno un geste"di qualcheromanzucolopiù tempo fiorente, le cui vestigia che dai racconti veri del dramma hanno sofferto insieme agli uomidi un popolo. Sono andata in ni e recano i segni di irreparabili Vietnam per due settimane, suffi- distruzioni. Enelle risaie è tornato cienti per rendermi conto che il il lavoro dell'uomo, le cui radici paese è risorto dalle sue ceneri, culturali trovano "alimento" nella che il suo popolo tenace, laborio- millenariacultura del riso; e insieso e battagliero in pace così come me all'uomo pazienti lavorano i in guerra ha vinto la sua ennesima bufali melmosi e scuri, preziosi e battaglia. La lotta in cui è impe- insostituibili alleati del contadino gnatoora il Vietnam è tesa a ridare prima del trattore. Numerose leg- G Ino Bianco gende si narrano in Vietnamsulle origini del bufalo, una sorta di mitica "bufalogonia". in cui determinante è l'intervento divino nella creazione di queste creature che vivono in simbiosi col contadino. Altrettanto prezioso è il lavorodelladonnanellarisaia,l'esile e minuta donna vietnamita, che aziona a mano rudimentali idrovore, ovvero un sistema di secchi di pelle con cui travasa l'acqua da uncanale all'altro. Dopopocopiù di quindici anni dalla fine della guerra, si stenta a credere che in questi territori ora così verdeggianti fossero scavate migliaia di crateri aperti dai massicci bombardamenti a tappeto dei B-52 e che le fertili risaie di oggi fossero allora trappole mortali disseminate di mine insidiose, pronte a versa la pista proprio nel punto in cui stavamo noi. Noi eravamo l'ostacolo. Qual è dunque la differenza fra gli elefanti dei cartoni animati e quelli della realtà? Quelli ti sorvolano, questi ti calpestano: meglio scansarsi. giraffe La giraffa è tutt'ora un mistero dell'evoluzione. Sembrerebbe la conferma della banalità lamarkiana che "l'uso fa l'organo", largamente sfruttata dai coltivatori del sesso. In realtà rimane ancora da capire se ha il collo lungo perché bruca la cima degli alberi o se bruca la cima degli alberi perché ha il collo lungo. Rivederla è sempre un piacere. La frivola testina, coi languidi occhi bistrati sotto le lunghissime ciglia e le due inutili cornette ornamentali, le dà un aspetto da "bel travestito". Esibisce sul forte corpaccio un abito provocatorio anziché la tuta mimetica degli altri erbivori. Si muove con grazia ondeggiante e, quando corre, realizza l'ossimoro "festinat lente" per l'impressione che dà di una fuga al rallentatore. Ma la si scopre in tutta la sua fragilità ad osservarla quando beve: allarga le gambe anteriori per potersi abbassare e raggiungere l'acqua, distogliendo la testa dalle nuvole. In quel momento è goffa, indifesa, impaurita e occhieggia trepidamente intorno. Ti verrebbe voglia di buttarle mille braccia al collo per rassicurarla: "Tranquilla! Non usa più bastonare i "diversi". ...Ma essa sa che il leone non sa. elogio dell'antilope Rimedia col numero all'ineluttabile destino di essere la riserva proteica preferita dai predatori. Poiché ci fa comodo attribuirle una sorta di individualità di massa, la scienza non considera il "singolo" ma solo "l'esemplare". In quanto massa, dilatata o cristallizzata (direbbe Canetti), essa è vincente: può sopravvivere con o senza il leone, il leone senza di lei no. Ma è un riscontro consolatorio: ciò dipende dall'essere essa il secondo anello della catena alimentare, dopo quello vegetale. In questa logica un'acacia potrebbe essere proclamata regina della savana. E forse lo è. Non mi sento di attribuire ali' antilope solo un'aspirazione di "specie". Spesso mi è parso cogliere in lei lo spavento ma anche l'angoscia, l'amore ma anche la tenerezza. Questa capacità di amare e soffrire intensamente le dà una dignità di vita a pieno titolo. Certo, è indifferente all'altrui sofferenza, anche a quella dei conspecifici, ma ciò non la degrada Osservo un piccolo "grysbok" pascolare solingo nel giuncheto di un fiumiciattolo. E' una specie di caprettina dalle grandi orecchie. Bruca frettolosamente, avanzando cauto con passettini leggeri. Non lo vedo mai piantato sulle quattro zampe: anche da fermo tiene sempre una zampa sollevata, a favorire un impulso di fuga immediata. Alza sempre la testa ad esplorare intorno e quando guarda da una parte il radar dell'orecchio, con incredibile torsione periscopica, si volge a captare i rumori dalla parte opposta. Basta un insolito fruscio a provocargli un guizzo di pelle ed un fulmineo ripiegamento sulle zampe, tese come molle a uno scatto di partenza. Quest'animale vive nel terrore. La paura è il suo clima e, forse, la sua salvezza. Se il suo corpo ne fosse paralizzato ed il suo cuore ne raccogliesse i colpi di rimando, sarebbe già morto. Onore dunque ali' antilope, alla sua paura senza viltà e al suo coraggio senza merito. Onore alla piccola e alla grande, alla bella e alla brutta: all'ibrido grottesco, fra toro e cavallo, dello gnu e alla nobile schiatta del Kudu, del watterbuk e del nyala dall'incedere solenne sotto la maestosa corona di coma. Che la savana sia sempre propizia al timido animale delle nostre fantasie! Libero Casamurata lettere da un ,ro del mondo- 4 IN VIAGGIO zi, con le zaffate di aria condizionata a rinfrescarti le gambe e le cose tornavano come a riempirmi uno spazio tenuto vuoto troppo a lungo. Sulla spiaggia lunghe file di aquiloni restavano tese nel vento, ragazzi muscolosi, surf, pochi i seni lasciati scoperti, e senza malizia. Dappertutto si avverte che qui il sole è micidiale e c'è la più alta incidenza di tumori alla pelle del mondo. Il profilo della costa è tristemente familiare, questa è la loro Rimini. Sono stato anche a Fraser Island, con le grandi lingue di sabbia bianca e laghi azzurri come occhi. Ho visto i canguri attraversare la strada di notte, a branchi, con incredibile armonia. E la grande barriera corallina; impressionante muro nell'oceano, opera paziente della natura che muore. Sono partito da Sidney a metà novembre di una primavera lucida e trasparente per risalire la costa orientale fino a qui, Caims, l'ultimo avamposto di una certa dimensione a ridosso della vera Australia dei tropici: il Golfo di Carpentaria, Darwin dalla fama sinistra. Ci ho messo un mese e mezzo, per lo più in autobus, insieme a quei grandi viaggiatori di tedeschi, canadesi, inglesi, americani, ostinati come uccelli migratori che vanno senza sapere dove. Ho tagliato per un po' ali' interno, non ancora desertico, dove aspetti con ansia i paesi che leggi sulla cartina e poi ti sfuggono senza rimedio non appena si indebolisce l'intensità del tuo sguardo. Qualche casa spersa, e il paese nient' altro che un distributore, un emporio sulla strada. Spazi immensi, bestie, timide inclinazioni dell'orizzonte. Puoi viaggiare per ore con la tempia sul vetro a guardare l'asfalto che corre sotto e il ciglio di erba bruciata, con la testa vuota come una boccia di vetro. Mi sono fermato in uno di questi paesi, Bingara, poco più grande degli altri. Tre quattro negozi, un barbiere, un emporio di attrezzi, un distributore, un meccanico un pub una decina di case affacciate. Il pub aveva i biliardi, si poteva mangiare, di sopra camere decorose, letti sfondi, cessi in comune per tutti. Sul terrazzo di legno ho guardato il mio autobus mettersi sul rettilineo senza fine e ripartire in una sera da cinema di luce calda e rossa. E' difficile capire come l'immensa piattezza del paesaggio impedisca di pensare, persino di ricordare. Si spalancano gli occhi sul vuoto, la mente si spegne. Dieci giorni dopo ero sulla costa a Surfer Paradise. Grandi alberghi con aiuole innaffiate e insegne luccicanti, musiche da discoteca, lustro e pulizia. E' stato bello camminare sul viale pedonale che porta alla spiaggia, pieno di negoMa c'è sempre, in tutti i viaggi troppo lunghi, un momento in cui l'essere partiti sembra assurdo. Fermo col Greyhound, di notte, nell'unica bolla di luce di un distributore, ci siamo guardati in faccia, creature stropicciate dal sonno in un acquario non nostro, e ho perso il senso di quello che stavo facendo. A Cairns, nella città più brutta che abbia visto su questo continente, non ho ancora ripreso il filo. E' dicembre e fa caldo, piove. Più spesso nel primo pomeriggio. A volte continuo a camminare sotto l'acqua. Gli aborigeni tra gli alberi dell'Esplanade ci guardano incuriositi, i loro cani continuano a mordersi la schiena. In quest'afa è impossibile sopravvivere. Ieri ho tirato una sedia sotto la doccia e ci sono rimasto un'ora per provare un po' di fresco. Il mio compagno di stanza mi ha trovato con la testa rovesciata indietro e gli occhi chiusi. E' quasi morto di paura. Stamattina ho letto un annuncio per andare a raccogliere mango sulle Tablelands, un altopiano qua sopra. Dalla mia finestra sembra verde, umido e fresco. Telefonerò. Forse vado, oppure scenclo giù fino a Melbourne. Mi dicono che là esplodere. La vita ha vinto sulla morte, ma quanto dolore. quanta fatica, quanti sacrifici di generazioni vissute in un paese stravolto "nell'anima e nel corpo". Ora l'anima del popolo vietnamita ha ritrovato le sue radici là nei campi di riso, la sua speranza nel verde della naturae la sua forzanell'unità. Il Vietnam dunque merita di essere visto per la sua gente e per il suo territorio che offre bellezze naturali insospettabili: il fascino delle suecoste, delle sue spiagge e delle migliaia di isole che le fronteggiano,comenellastupendabaia di Halong. Sia l'entroterra che la zona costiera col brulichio di imbarcazioni da pesca dimostrano che la simbiosi uomo-natura ha permesso al popolo vietnamita di allontanare ovunque lo spettro della fame, che pure continua ad incombere su altre nazioni vicine del sud-est asiatico. E la simbiosi con la natura aveva già aiutato i vietnamiti a vincere la guerra conpuò_e~ere ancora inverno. Piero Rina/di tro i francesiprima e gli americani poi, nonostante l'impiego da parte di questi ultimi di tutte le risorse offerte dalla scienza e tecnica più avanzate. La giungla protesse i guerriglieri annidati nel "sentiero di Ho Chi Minh" e i fiumi, specie il Mekong col suo ampio delta, insidioso per chi non ne conosce i segreti, furono gli alleati dei Vietcong. Il fiume Rosso a nord e il Mekong a sud sono i grandi fiumi del Vietnam, quest'ultimo tristemente famoso per le battaglie cruente che si combatterono lungo lesue sponde, che riempirono di cadaveri il suo placido letto e colorarono di rosso le sue acque brune. Questo fiume è sacro per gli abitanti dell'Indocina nella cui mitologia assume le forme di un gigantesco serpente-drago che si snoda sinuoso dalla Cina, dove nasce, al Vietnam. "Grande Acqua" significa il nome Mekong, ovvero fiume-madre, poiché rappresenta la vita per molte genti; e ben lo sanno i pescatori che nei villaggi sulle sue rive vivono in perfetta armonia con esso. Ma il Vietnam sta muovendosi celennente dal punto di vista economico, pur non tradendo le sue origini contadine; oggi è divenuto, infatti, paeseesportatore di riso verso Singapore e l'ex Unione Sovietica e addirittura vanta il Giappone come primo patner commerciale, a cui vende oltre 1'80%del suo petrolio grezzo. La lavorazione dei metalli e pietre preziose, da piccolo artigianato, sta trasformandosi in un nuovo businesse la privatizzazione nella piccola e media industria sta già muovendo i suoi primi passi. C'è da augurarsi che il nuovo corso che il paese sta imprimendo alla sua economia apporti un reale benessere, nella speranza che tale processo possa realizzarsi nel rispetto del territorio e dei valori culturali del popolo vietnamita. Wilma Malucelli UNA CITTA' 1 3

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