Una città - anno II - n. 14 - giugno 1992

la virilità si misura col coraggio. Affrontare i rischi, il rischio del dolore, della morte, nel confronto con un avversario, se non con un nemico. Ora queste sono tutte cose che oggi fanno orrore, perché salvaguardare la vita sembra diventato il valore sommo, qualsiasi rischio, soprattutto se scelto, ricercato, è visto con sospetto. Come vedi la cosa? Secondo me alcune cose le chiarisce Pamplona, dove, durante la festa di San Firmin, ogni mattina per sette giorni si corre l'encierro. Durante la festa viene recintato un percorso di 700 metri nel centro storico. Al capo di questo percorso stanno i corrales dove vengono tenuti i tori, e non al buio, non drogati, perché stanno lì sotto gli occhi della gente. All'altro capo sta l'arena. armati di un giornale arrotolato Ad un certo punto vengono aperti i corrales, e i tori cominciano a correre assieme a un gruppo di vacche brave, che servono per mantenere i tori in branco e limitare i danni che inevitabilmente faranno durante il percorso. Poi giungono nell'arena e parte di questi tori saranno utilizzati nelle corride della festa. Ora cosa succede? A quaranta metri dai corrales c'è un cancello oltre il quale c'è della gente che non avrà nessuna possibilità di far male ai tori, ma solo quella di rischiare la propria vita. Esattamente come un torero nell 'arena, ma al massimo armati di un quotidiano arrotolato che loro batterranno sulla testa del toro e che non farebbe male a un bambino di 7 anni. Le persone che sono più vicine al cancello dei tori sono i muy valientes, che si conoscono fra di loro, hanno già fatto I' ensierro, persone di Pamplona o che vengono da tutta la Spagna. Loro sono i primi e se io vado lì per mettermi con loro mi mandano via subito. Gente come noi, se volessimo correre, dovremmo stare fra i "peones" che è la terza categoria, dopo i muy valientes e i valientes. E i muy val ientes, gente che si alza alle sei di mattina, fa ginnastica e va a messa prima di correre, appena si apre il cancello dei tori, che subito si mettono correre, invece di mettersi a correre nel senso dei tori, vanno incontro ai tori. Armati solo di quel giornale arrotolato. E questi tori sono quelli che poi comballeranno nell'arena e le vacche brave pesano più dei tori, quasi 800 chili. Animali che se ti colpiscono ti uccidono esallamente come nell'arena. mente scivoloso, la gente in curva cade regolarmente e si ammucchia a terra e su di loro arriva a tutta velocità il toro. E dove prende prende.Gente che ci lascia la pelle, o la milza, o un rene, gente schiacciata. A questo punto delle domande, su come questa gente si approccia alla corrida, bisogna pur porsele. Perché nel caso di Pamplona l'animale non viene torturato. All'animale non viene propinato nessun tipo di maltrattamento se non lo shock di essere costretto a correre dietro a questa gente che ha una camicia bianca, fascia alla vita e foulard al collo rossi. Può capitare che un animale distratto perda il gruppo e torni indietro quando la gente sta già facendo capannelli a discutere della corsa. E ci sono dei casi in cui ha fatto delle stragi. Ma il toro non può essere abbattuto, mai. Neanche se sta facendo dei morti. Non si può neanche tirare il toro per la coda. Se per esempio un toro sta incornando uno e qualcuno va per tirarlo per la coda, c'è da prendere delle bastonate. Perché non vogliono. Perché il toro, in un certo senso, sta facendo il suo dovere. Ogni 20 metri c'è un'autombulanza, con medici che ti ricuciono sul posto, hanno dei lettini attrezzatissimi anche per il caso che ti spezzi la colonna vertebrale. lo ho visto ricucire un giapponese in pochi secondi. S'era distratto un attimo, è arrivata una vacca brava e l'ha aperto in faccia. L'han preso, l'han messo nell'autombulanza e, zin zin, gli han dato un'imbastitura larga e l'han mandato via. E non so se poi la cucitura se la sia fatta rifinire ... E poi è curioso il ruolo dei poliziotti. Se tu stai correndo e non sei in pericolo di vita, cioè se non hai il toro alle calcagna, perché in quel caso puoi saltare di là delle barreras, ma se sei solo stanco o ti è presa paura e tenti di saltare al sicuro, i poliziotti attaccano a manganellarti e ti ributtano dentro. Perché le barreras devono essere assolutamente libere per chi sta rischiando la vita. Tu non ti puoi permettere di entrare e di uscire quando vuoi. Esi vedono scene incredibili. punk, tossici, tuffi uguali Insomma Pamplona è una cosa che bisognerebbe vedere una volta nella vita. In quella settimana si concentra la gente più disparata, si mischiano persone di tutte le condizioni sociali e di tulle le età, dai bambinelli ai vecchi di 70 anni e tutti hanno un uguale diritto di cittadinanza. Punk, to~sici, deformi, tutti hanno la ~tc~sa dignità di pen,ona. Gesti piccoli, che per noi smaliziati non diranno più niente, ma ci si passa il vino, si beve tutti attaccati alla stessa bottiglia, ci si ubriaca tutti insieme. Rito barbarico, orgia, certo, però non so se noi saremmo ancora capaci di farlo, anche da ubriachi, a dividere il desco col tossico, col deforme, col punk. Pamplona travalica tutti i limiti. Si fa l'amore per la strada, ti dan da bere delle cose esplosive, di una dannosità unica, 2 litri di vino rosso forte mischiati con un litro di coca cola, te li danno in un secchio che ti porti in giro così, e quando ne hai bevuto un po' entri nella galassia degli spostati ... Poi ogni tipo di alcool, dalla tequila all'ouzo, ogni casa diventa una mescita, è una bolgia incredibile. C'era una fontana alta quattro metri e mezzo che adesso l'hanno segata perché di lassù si buttavano a pesce sulla gente, contando che li tenessero. Ma ogni anno e' erano alcuni che si spiaccicavano su un selciato per di più ingombro di cocci di bottiglia. E lì non c'è più neanche il confronto con l'animale. Non c'è più nulla se non il rischio. Insomma Pamplona è pura follia, però è affascinante. Io sono arrivato il giorno prima dell'inizio della festa e ho resistito solo quattro giorni. L'ultimo giorno sono stato 16 ore seduto a un tavolo, non riuscivo a muovermi. E Pamplona è certamente un apice, però ci sono caratteri che si ritrovano dappertutto. e c'è sempre una donna E' chiaro, lo ripeto, che tutto questo appartiene ali' area del- !' assurdo. Fallo sta che là esiste ancora il mito dell'uomo che sfida la morte e dà prova di coraggio. E' il culto dell'eroe. Certo, poi questo sfidare la morte è strettamente legato al contesto, agli altri che ti guardano, ma questo oltre che rituale è umano. Anche il torero va nell'arena a rischiare la vita perché attorno c'è questo grande catino pieno di gente che pende dai suoi movimenti, che lo osserva dalla punta delle dita dei piedi ai capelli, che quando butta il cappello guardano se cade dritto o rovesciato, che cercano di individuare e osservano la donna a cui il torero si rivolge. Perché nella corrida e' è scmpre una donna. I muy valientes li conoscono tutti, sono eroi. lo stavo con uno di Pamplona che mc li indicava, quello ha fallo 6 cnsierri, quello 12, eccetera. A noi queste ormai sembrano ingenuità. Da noi ormai ci sono i Simpson, quei fumetti nuovi americani ... o se no cosa? Il comico di grido? Gino e Michele? - La /010 sopra è frana dal "Diario de Navarro". Lofow o si11is1rad,i Piero Rino/di, è 1·1a1.a1canawin u11parco di Madrid: 1111 padre i111efi1a1a1orearf'al figlio. Poi se ne vedono di tutti i colori. Siccome l'acciottolato viene lavato con delle pompe anche per liberarlo da tutti i cocci di bolliglia e diventa estrema- 81 bI I oteca Gino Bianco · ,m ress1on1 , v,a , 11 DUI FACCIDIL BRASILE Brasile I 97 4 Quando venni la prima volta mi feci la convinzione che questo non fosse il Paese di chi è cieco, sordo o castrato. Per entrare in questa esplosione di calore, di luce e di suoni occorre avere intatta tutta la ricettività dei sensi e possedere un esubero di forza giovanile. Uno stereotipo turistico? Non proprio. Questa faccia non è la sola ma c'è. Si può anche esclusivizzarla o privilegiarla: in tal caso si fanno assaggi di Candomblé a Salvador e di Umbanda a Rio, si assorbiranno le salsedini di ltaparica e dell'llha dos Frades, ci si razzolerà nelle sabbie di Copacabana e Ipanema, ci si perderà fra le geometrie marziane di Brasilia. si rivivrà il Settecento tardo barocco di Ouro Preto eConcognas. Condendo il tutto con ritmi di samba e sorrisi di mulatta. Allora era ancora tempo di boom economico. li governo militare del generale Medici era agli sgoccioli ma ancora garantiva ordine con le gendarmerie e pace sociale con gli squadroni della morte. Gli Usa finanziavano il "miracolo" del sub-imperialismo brasiliano, le multinazionali investivano, l'inflazione scendeva dal 140 al 20%. II tasso di sviluppo era al I0%. Le "favelas" stavano sparendo e qualche baraccamento residuale veniva conservato per esigenze di contorni pittoreschi. L'orgoglio nazionale si nutriva di progetti titanici, di cui si nascondeva la portata distruttiva, come quello della Transamazonica. Che mi importava di tutto questo?IImioBrasile 1974era fatto di mare e di "vitaminas" (frullati di frutta) per compensare i logoramenti di intense notti tropicali. Me ne andai col proposito di ritornare e forse di rimanere. Quando ci tomo, nel 1983, sòno più vecchio e non ho alcun proposito. E incontro l'altra faccia del Brasile. Brasile I 983 Anche la cornice è assai diversa. La baia di Rio pullula di graticci metallici e di trivelle che tormentano inutilmente i fondali alla ricerca di un inesistente petrolio sottomarino. li mare è tutto inquinato e le spume delle risacche sugli arenili vengono spente ed assorbite da una graveolente polpa vischiosa. Le "favelas•·. escrescendo in una incontenibile metastasi, avvolgono i parchi dei grattacieli di lusso. Tulle le grandi città (Rio, Sao Paulo, Salvador, Belo Horizonte) sono assediate dagli accampamenti di latta e cartone di un esercito minaccioso di disperati. Ovunque il salmastro delle marine e l'aroma delle vegetazioni viene sgradevolmente miscelato ali' odore di alcool bruciato, quello della benzina ricavata dalla canna da zucchero che spinge a 60 Km. all'ora automezzi balzellanti e scoppiettanti. Banche chiuse, quartieri residenziali abbandonati, palazzi sontuosi mai abitati che stanno sgranandosi sollo gli acidi di un velenoso cielo tropicale. li sole non è più quello: filtra attraverso una nebbiolina di smog che staziona perennemente e smorza voci e colori. E' il Brasile in crisi della quasi riconquistata democrazia. Le multinazionali, dopo avere razziato quanto potevano, smontano gli impianti e vanno a cercare altrove regimi stabili cmanod'operaacosti bloccati. I poveri di sempre, trasformati in turbe fameliche, fondono la loro disperazione con quella dei ceti medi rovinati e dei ricchi falliti. Si diffonde un profondo rancore anti Usa: "L'America siamo noi!''. Si rivendica una falsa primogenitura, che dimentica lo sterminio degli indios, e si esalta una fittizia integrazione razziale. In realtà qui tutti aspirano ali' "imbianchimento" e vale ancora l'antico proverbio: "La bianca per sposare, la mulatta per fottere, la negra per lavorare". Gli stessi "caboclos" (meticci europeo-indiani) vengono rinchiusi in un ghetto di umiliazione. Camminiamo per strade invase da torme di mendicanti, premendo la mano sulla tasca del portafogli. Siamo tutti ricchissimi, noi: un'inflazione galoppante oltre la soglia del 180% aumenta quotidianamente il valore dei nostri dollari. Cambiando valuta da un giorno all'altro potremmo fermarci qui a tempo indeterminato. E tuttavia c'è ancora aria di festa in giro: musica e football, profusi senza risparmio, confondono nello stordimento di sbornie prolungate le contrazioni dello stomaco vuoto. le due nature L· imponenza delle cateratte di Rio lguaçù non riesce ad impressionarmi. Passeggiare di lato su passerelle di cemento, al riparo di barriere protettive e stazionando su terrazzi di osservazione, elimina la sensazione di annichilimento, fra sgomento e stupefazione, cui dovette soggiacere chi le vide per la prima volta: una selvaggia libera natura capace di creare una nuova religione. Ma una natura controllata, per grandiosa che sia, non incanta nessuno. Figuriamoci una natura inventata. A pochi chilometri da Foz de Iguaçù, a Itaipu, la più grande diga del mondo blocca il corso del Paranà e crea un immenso lago artificiale che ha i bagliori tetri dello Stige. Relitti di tronchi e matasse di ramaglia galleggiano in un brodo d'acque limacciose. Qualche isolotto crestato di tristi verdure resiste al viluppo dei gorghi. II tecnico che ci guida elenca orgogliosamente i dati del progetto: " ... tutto realizzato con forze nostre e in minima parte del Paraguay. Il nostro Departamento de Meio Ambiente, prima che avvenisse l'inondazione del territorio, ha portato in salvo tutti gli animali ...". Tutti? Un grumo di piumaggio putrescente oscilla sull'acque a pochi passi da noi. Tutti fuorché un uccelletto meno furbo degli altri ... Chiesa ufficiale L'Universitade Santa Ursula, retta dai Gesuiti, rispetta le tradizioni di serietà e buon gusto di un clero colto e raffinato. L' edi licio ott0centesco, severamente sagomato, sorge in Botafogo, il più isolato e tranquillo dei quartieri di Rio. Le finestre dei piani superiori, in un vuoto ritagliato fra i grattacieli, aprono la vista sul Pan di Zucchero e sulle barche da diporto dondolanti di fronte allo late Clube. Gli eruditissimi padri, irrigiditi nei levigati abiti scuri e nell'amido dei colletti, ci portano nell'anfiteatro dell'Aula Magna e ci tengono una lezione sulle condizioni del Brasile. Proiezione di documentari e di grafici; visualizzazione di numeri, statistiche, curve di andamento, percentuali; previsioni e proposte di interventi. E' un quadro rigoroso dello sfasciume brasiliano indagato a freddo con una ricerca senza anima. Al termine, la cortesia degli ospiti ci offre un dessert di "sorvetes" (gelati). Infine siamo riaccompagnati all'uscita. Un prato ali' inglese, in un parco di piante costrette ali' eleganza da un'artistica potatura, ci separa dal cancello di ferro battuto che interrompe le mura bugnate erette a protezione del silenzio, della meditazione e dello studio dei rampolli di rango. Al di làc'èdell'altro. Ma qui lo sanno? Chiesa reale Don Bevilacqua, il giovane parroco del la Cattedrale di San Paolo, di origine ravennate, è il coordinatore delle attività delle Comunità di Base. Prima di condurci alla sede arcivescovile del Cardinale Paolo Evaristo Ams, sbarra le porte della sua Chiesa neogotica come se si trattasse dell'uscio di casa: "Coi tempi che corrono non è prudente lasciare la chiesa incustodita ...". E' un bel prete allegro e dinamico e parla un rustico italiano iberizzato. La casa del Cardinale è una modesta villetta "liberty", in zona residenziale del centro, con ampie vetrate e infissi dipinti di bianco. C'è un andirivieni di suore, sacerdoti, borghesi dall'aria intellettuale e popolani con l'abito delle feste. Il Cardinale non ha proprio niente di curiale: è un uomo spigliato oltre la sessantina, in giacchetta e pullover girocollo. Ampia fronte lasciata scoperta dagli intatti capelli grigi e sguardo mobile sotto gli occhiali da prima miopia. Accetta con un certo imbarazzo il bacio dell'anello pastorale da quelli di noi più legati ai formalismi cattolici e ricambia con energica riconoscenza la stretta di mano degli agnostici. Ha poco tempo. In poco più di un'ora denuncia l'oppressione e la crudeltà dei militari, le torture e le prigioni, gli sperperi di una politica di potenza che tende a creare una centrale nucleare atomica e che ha concordato col Paraguay la costruzione della diga di Itaipu solo per minacciare l'inondazione dell'Argentina, il nemico di sempre. Parla della povertà dilagante, delle masse miserabili che emigrano dal Nord Est, delle multinazionali e degli Usa che impongono il blocco dei salari ad un livello del 20% inferiore al tasso di inflazione, per riscattare il debito contratto col Fondo Monetario Internazionale. Parla della condizione operaia, ancora inchiodata alle regole ispirate dalla Carta Corporativa di Mussolini del 1930. Parla del sostegno della Chiesa alle rivendicazione ed alle manifestazioni sindacali. La terminologia usata non mi è estranea: classi, sfrullamento, colonialismo, imperialismo ... Non c'è male, per un Paese in cui comunisti e socialisti sono pressochè inesistenti. Salutiamo affettuosamente il Cardinale ed i suoi collaboratori che ci accompagnano per pochi metri fino al cancelletto sempre spalancato. Abbiamo trovato amore, indignazione, umiltà e conoscenza. Fuori c'è dell'altro. Ma qui lo sanno. Chiesa dei. poveri Il Bairo di Salvador copre con le sue baracche di."bucati", di legni e di latta una collinetta di terra rossa inverdita da macchie di gramigna e da qualche palma spennacchiata. Barattoli, cenci, cartacce, mucchietti di rifiuti, escrementi di polli e di bambini invadono i sentieri sterrati che si insinuano tra le catapecchie da cui fuoriescono micidiali tanfate. Procediamo lentamente dentro la "favela", fra due ali di mulatti scamiciati che ci commentano con aggressivo sarcasmo. Ma quando notano tra noi la presenza di Anna Sironi, la sessantenne missionaria laica che da oltre 18annicondivide la loro povertà, mutano atteggiamento e si trasformano in una cordiale guardia del corpo. Anna ha qui organizzato, per conto delle Comunità di Base cattoliche, due centri di scuola materna. I bambini di cioccolato sono bellissimi e ci si accalcano attorno con fiduciosa curiosità: siamo la "famiglia" della loro mamma bianca. L'amarezza di Anna diviene invettiva: "Abbiamo contro tutti, autorità e notabili fanno di tutto per cacciarci e si oppongono violentemente alla nostra rivendicazione della terra in proprietà ai baraccati. E la Chiesa ... già, la Chiesa ... Solo adesso comincia a mettersi dalla parte dei poveri per sottrarli alla delinquenza dove cercano salvezza. Ma è tardi, sono troppi e noi li abbiamo perduti ...". Chiesa militante IIheus è la capitale del cacao. A pochi chilometri il piccolo centro di Itapebi è circondato da grandi piantagioni e qui andiamo per essere ospitati in alcune "fazendas" di ricche famiglie, col viatico di una dolce suora italiana che torna a trovare gli amici coltivati in 20 anni di missione. Sul "cacau, riqueza brasileira," dirò solo che si ricava da una brutta pianta striminzita da cui pendono come lampade grosse coccole giallo-verdi. Un tappeto molliccio di foglie secche accompagna le file degli alberelli. In fattoria c'è buon odore di campagna mescolato ai profumi di cioccolato sprigionati dai semi stesi a seccare sull'aia. Le signore della "fazenda" ci aprono le porte della casa e gli sportelli della dispensa con spontanea generosità. Ma qui vediamo solo donne, bambini, domestiche nere e capoccia silenziosi che rispondono grugnendo agli ordini della padrona. Gli uomini dove sono? Si sarebbero riuniti a Ilheus per non so quale faccenda d'affari. Nella Chiesa del paese si ritrovano, invece, i braccianti della zona da molti mesi in lotta non per chiedere aumenti ma per impedire riduzioni di salario. Un prete-sindacalista volante controlla un dibattito privo di toni violenti, come richiede la sacralità dell'ambiente. Poco ci filtra da questa lingua che unisce ad armonie lusitane nasalità francesi e durezze gennaniche. La suora che ci traduce parla di alcuni lavoratori assassinati: il classico colpo di carabina all'operaio scomodo, in uso da secoli. Poichè siamo qui convenuti quasi clandestinamente, non facciamo parola di questa strana serata alle nostre ospiti. Ci ritroviamo tulli insieme per la festa d'addio. Le signore e le donne del popolo hanno preparato per noi, in una gara d'affetto, un trionfo di torte e dolcetti. I bambini dei poveri e dei ricchi, uniti nell'innocenza, cantano l'inno del loro Paese: "Itapebi, terra a mais bela entre outras mii - tu és reserva do neu Brasi!!". Ma l'eco di quelle fucilate ci ronza per la testa. Brasile I 992 Non sono più tornato in Brasile. Leggo di indios che si estinguono per le ferite della selva amazzonica. Leggo di bambini dispersi a milioni sulle strade, braccati e abbattuti come cani rabbiosi. Leggo di figli rubati dal ventre di donne incinte e offerti sul mercato europeo alle coppie sterili d' organi e di sentimenti. Leggo di "favelas" sepolte sotto montagne di fango ... E' questa l'ultima faccia del "neu Brasi!"? Libero Casamurata nel prossimo numero: SAFARISUDAFRICANO di Lillero Casamurafa UNA CITTA' 1 1

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