Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

Old Delhi Catapultarsi, nel breve lasso di tempo di un volo aereo, dall'Europa fin dentro Old Delhi può essere un'esperienza da sensazioni forti per alcuni, mentre per altri è semplicemente un trauma che invita alla fuga. La densità per Kmq è di 57000 abitanti ed è una delle più alte al mondo soprattutto se si pensa alla pressoché totale assenzadi edifici con più di tre o quattro piani. Le strade ed i vicoli sono un flusso continuo ed ininterrotto di veicoli, uomini ed animali: tricicli a pedale e tricicli a motore, auto e taxi, mucche e vitelli, carretti a mano e carri trainati da buoi, autocarri ed autobus, asini e cavalli, elefanti e scimmie, vespe e lambrette, facchini e biciclette, venditori ambulanti, passanti, acchiappa-turisti, mendicanti e sadhu. Tutti i veicoli sopracitati suonano con- · temporaneamente ed ininterrottamente i loro apparati di segnalazione acustica e quelli provvisti di motore scaricano i loro gas combusti nell'atmosfera. Gli odori di questi gas si fondono aquel Ii seivatici degli animali e dei loro escrementi che si aggiungono a quelli umani sparsi ovunque, al mistico aroma del sandalo e del1' incenso bruciato dai bracieri posti sui banchi di vendita. Ali 'assordante confusione del traffico si mischiano, in tono minore, le grida dei venditori, i salmi dei muezzin, gli ordini dei conducenti di animali, il vociare delle contrattazioni, i sussurri di chi propone merci proibite, le cantilene di musiche sacre ed il ritmo di quelle profane, le preghiere dei fedeli provenienti dai templi di varie religioni, i convenevoli fra passanti e conoscenti. Se riuscite ad immaginare tutto questo concentrarsi in un attimo ~enza fine avrete un'idea di çosa oggi è Old Delhi. Qualcosa di non umanamente pro- ·grammabile, ma realmente accaduto. Qualcosa di impossibile attualmente esistente. Quando poi ho visto le imponenti mura del Red Fort, costruito nel XVII sec. da un Imperatore di dinastia Moghul, svettare dietro ad un gigantesco portale di cartone raffigurante uno scimmione con le fauci orribilmente spalancate che serve d'accesso ad un Luna Park, ho sentito la realtà entrare in dissolvenza fra lo smog, ho visto sfumare i confini fra reale ed immaginario e tutto divenire metafisico, fantastico, surreale. • • 1g1ene Kajurhao è un villaggio del1' India centro-settentrionale la cui attrattiva è legata alla presenzadi una ventina di stupendi templi costruiti attorno al'anno 1000 d.C. da re di dinastia Chandella. Sono dedicati alle principali divinità hindu, ma vi sono anche templi jainiti, buddisti ed uno dedicato a Surya, il Dio Sole. Alloggiamo in un modesto, ma dignitoso albergo della catena governativa. La sera, dopo cena, mi attardo insieme alla mia compagna di viaggio e di vita in sala da pranzo per una partita acarte. Oltre alle chiacchierate con altri eventuali viaggiatori, è l'unico svago consentito da questeparti dopo il tramonto. Adiacente al tavolo c'è un lavello dove, come di consueto nei ristoranti indiani, gli avventori si lavano le mani e si sciacquano rumorosamente la bocca dopo i pasti per mondarla dai resti di cibo. Lo scarico del lavello scende in verticale per interrompersi, ad alcuni centimetri dal suolo, in corrispondenza di una griglia posta nel pavimento la quale dà accesso allo scarico vero e proprio. Di lì vediamo uscire un piccolo ratto. Si guarda intorno, gironzola per la sala da .------------------ "impressioni di viaggio" di INCONfRICON L'INDIA RELIGIOSA la vacca sacra Innumerevoli animali macilenti, inconsapevoli della propria sacralità, si aggirano per vicoli, strade, viali e piazze. Intralciano il traffico, sporcano i muri e gli asfalti, spargono le spazzature da cui ricavano scarsi e insani nutrimenti. Non si nota nemmeno una vera venerazione: vengono allontanati con malagrazia e i mendicanti contendono loro il cibo dei rifiuti. Mi convinco che questo culto soprawiva più per abitudine che per convinzione. Ma sbaglio. Quando visito la casa di un onorato professionista, un awocato di provincia tutto inchini e mani giunte, mi soffermo all'angolo dell'altarino dove, fra le immagini azzurre di Krishna awolte dalla profumata fumigine dei bastoncini di sandalo, ha il suo posto d'onore una scatoletta vuota di carne conservata. Con la sua bella figura di mucca svizzera pezzata. Non batto ciglio, per non urtare la delicata sensibilità religiosa del mio ospite. Ma penso a quanto pagherebbe la Simmhental se riuscissi a scattare questa foto. Occultando a tutti, s'intende, che qui l'adorazione del contenente nasce dall'ignoranza sul martirio del contenuto e sul suo destino di consumazione. il presepe di Krisltna A Brindaban, città natale di Krishna, il più prestigioso "avatara" (reincarnazione) di Visnù, un simpatico americano pieno di pelo (in palese contrasto con le teste rapate degli Hari Krishna di cui fa parte) ci guida agli innumerevoli templi che ne hanno fatto meta di oceanici convegni. Gli aromi degli incensi, i profumi delle ghirlande, i colori degli addobbi, il frastuono dei cembali, i canti dei sacerdoti, il muggito delle invocazioni, gli strilli delle scimmie travolgono e stordiscono. Questa strabocchevole spiritualità diviene incubo, allucinazione, follia, un incantesimo malefico, un paradosso della ragione. "Ed ora vi mostrerò la meraviglia di Brindaban ...". Il tremolare della voce e l'umidore degli occhi rivelano un'intensa commozione. Entriamo in un tempietto che, all'esterno, sembra affondare sotto la pietra scolpita di pinnacoli, di encarpi, di mostriciattoli brancicosi e polimorfi. All'interno si stende uno strano presepe di statuine mobili caricate a molla. E' la vita del Beato Krishna, dalla nascita all'assunzione, narrata al popolo negli episodi più significativi. Ricerco frettolosamente, con malsana curiosità, quello delle Gopi, le belle pastorelle che inaugurarono l'epoca della "bhakti" (devozione) abbandonandosi all'amplesso del precoce fanciullo: quattro ninfette di legno mal pitturato ostentano otto tette semisferiche di assoluta castità. L'americano ricerca sui nostri visi i sintomi dell'estasi. Lo rendo felice confessandogli un sincero turbamento: "Sai, mi viene proprio da piangere ...". la grazia di Nanalc Siamo ad Amritsar, la città santa dei Sikh nel Panjab. Accanto al Tempio d'Oro c'è una specie di enorme forno dove vengono cotte tonnellate di "chapati", il piadottomagro dell'Oriente, per rifocillare una fiumana di pellegrini. Ci serviamo ma la razione è modesta: uno per due. Non riusciamo ancora a farci ragione che quanto basta a un indiano in una settimana per noi sarebbe solo una mezza colazione. Per lui la situazione è obbligata: l'insufficienza lo allena alla continenza, la principale virtù dei poveri. Attraversiamo la passerella di marmo che conduce al Tempio, al centro di una vasta piscina dove alcuni fedeli stanno facendo abluzioni purificanti, ma senza sapone. Un vecchio di suggestivo aspetto, tutto d'argento nella foltissima barba e nei lunghi capelli che gli spiovono da sotto il turbante, legge passi del "Granth Sahib", il libro sacro qui conservato nel manoscritto originale e recitato ininterrottamente, giorno e notte. Col ricambio del dicitore, s'intende. In un angolo un registratore un po' stridulo riproduce un suono di liuto che accompagna il quieto brontolio delle parole. Il fondatore della comunità, il grande guru Nanak del XVI sec., predicò un dio senza immagini e rituali e senza sacerdoti. Un dio unico ed eterno. Qualcuno volle scorgervi il tentativo di conciliare Induismo e Islam. Se così fosse, non sarebbe riuscito a un gran che. Comunque l'attrazione delle regole semplici è indiscutibile. Mentre sto per render grazie a Nanak delle sue buone intenzioni, scivolo sul marmo bagnato della passerella e cado di piombo, rischiando di spezzarmi la schiena. Mi allontano piegato in due, senza alcun fine di riverenza, pronunciando una serie di adeguate giaculatorie. Ma non sono le parole del Libro. le pillole del guru Ramshani è la nostra eccezionale guida in questo viaggio attraverso l'India dei villaggi gandiani e delle religioni nirvaniche. E' un plurilaureato, rappresentante permanente presso il Vaticano del Visnuismo krisnaita. Qui è un personaggio di alto prestigio, dall'Uttar Pradesh, al Rajastan, al Bengala. Ci ha aperto tutte le,porte: dei villaggi, dei templi, dei marajha, dei governatori. Parla perfettamente italiano e normalmente veste all'europea. Ma in questo nostro pellegrinaggio ha sempre indossato la casacchina bianca, i pantaloni stretti e i sandali degli indù. E' un brahmano senza superbie di casta, un aristocratico elegante e disponibile, un discepolo di Nehru e amico di lndhira. Ma è tutto fuorché un laico. Biascicando un rosario di incomprensibili "mantra", ci impone una stretta dieta vegetariana. Secondo lui favorisce il volo dell'anima, alleggerendo il corpo. Anche troppo: una inarrestabile dissenteria sta accelerando il nostro calo di peso. Quando si accorge della nostra depressione, ignorandone la reale scaturigine, ha un'idea luminosa: "Poco distante da Dudu, nei pressi di un gran lago salato, si trova ora un grande guru, il secondo, per importanza, di tutta l'India. Andiamolo a visitare: vi sentirete meglio ...". Una cura yoga della diarrea sarebbe un'esperienza nuova: andiamoci pure. Il santone siede a gambe incrociate sotto una tettoia di frasche. Ha una bella faccia accattivante da vecchio marpione. Sfila dinnanzi a lui un cordone di devoti che gli portano doni: frutta, verdure, focacce, galline ... Non è vegetariano. Li segna in fronte con un lieve tocco delle dita e distribuisce caramelline bianche. Dopo una consistente offerta in rupie, ci mettiamo in fila. Soppesiamo le pastigliette con una certa diffidenza, prima di metterle in bocca. E' solo zucchero. Niente male. Ci rimettiamo in coda tre volte per potenziare la nostra dose calorica. Sotto la santissima barba indoviniamo il sorriso sornione di quest'uomo perduto in celestiali astrazioni. Finge di non riconoscerci e continua a scambiare pillole con polli. la salvezza iainista A Calcutta notiamo che parecchie persone si coprono naso e bocca con mascherine bianche che le fa sembrare infermieri americani. Ne deduciaCO mo che la città deve essere infetta, considerando quello che si vede intorno. Ramshani ci obietta che le maschere non servono a proteggere gli uomini dagli animaletti dell'aria ma viceversa. Osservo che, in ogni caso, questi generosi animalisti preservano se stessi da ingurgitazioni nocive di insetti, virus e batteri. Ramshani insiste sulla nobiltà dei propositi e si dilunga a spiegare che l'"ahimsa", il precetto-principio di non nuocere ad alcun essere vivente, è un concetto gandiano ricavato dal Jainismo, la religione fondata dal profeta Mahavira, contemporaneo di Budda, denominato "jina", il "vittorioso". Che il jainismo abbia una sua utilità lo riscontriamo quando, dopo aver rischiato di essere lapidati da una folla spiritata per aver tentato di fotografare il tempio di Durga, la sanguinaria multibrachiata Kalì, troviamo scampo fra gli zuccherosi tempietti jaina di Sitalnathji, il decimo profeta, rinfrescati dai giardini e laghe.ttidel Badri Das Parck. Ramshani assume l'aria tonta di chi è toccato dalla grazia: "questo è un luogo di pace interiore ...". Mi basta quella esteriore. In fondo abbiamo verificato che gli unici non violenti, in questo Paese di mistici, sono proprio loro, i jainisti: un milione su settecento milioni. il poeta sconosciuto A Bombay, al termine di questo viaggio che ci ha mostrato il patetico tentativo di Gandhi di salvare il suo popolo reintroducendo la zappa e l'arcolaio, ci riconfortiamo nell'Hotel miliarpranzo, ritorna sotto il lavello, annusa l'aria con movimenti frenetici. Passa il cameriere e dico: "C'è un topo!" Lui mi guarda serafico e risponde: "Not problem ... " e spiega: "Vedi quella griglia? E' venuto di lì, quella è la fognatura e fra poco uscirà per quella stessa via." Non rimane che accettare questa logica spietata. Il giorno dopo acolazione sediamo allo stesso tavolo e, mentre l'occhio fugge incontrollato sotto il lavello, entra in sala un impettito cameriere portando un vassoio da cui, a metà tragitto, cade sonoramente al suolo un coltello. Senza scomporsi il cameriere prosegue il suo cammino fino al nostro tavolo, posa il vassoio con la colazione, torna sui suoi passi, raccoglie il coltello e lo ripone di nuovo sul vassodario degli Hari Krishna. Difficilmente ci usciranno di mente i bambini ragno di Varanasi, che camminano sulle mani perché i genitori hanno loro storpiato le gambe per incassare l'elemosina della pietà, i mendicanti lebbrosi di Jaipur, i corpi a mezzo tronco e gli scheletri accampati sotto il ponte di ferro di Calcutta. Non riuscirò mai ad amare né a capire questo Paese che esibisce sorridendo le incommensurabili piaghe della sua inumana umanità. tanto più mi viene da apprezzare la voce anomala dello Ksatriya (guerriero) Laskidhemi, un Archiloco duro e disincantato del Xlii sec .. Mentre Jayadeva col suo "Gitagovinda" deliziava le corti marajaniche cantando gli amori pastorali di Hari in arcadiche selve, egli rifiutava la malia delle favole e le assenze mentali di queste religioni per le quali l'unico rimedio ai mali è quello di averli senza sentirli. Cosa che può riuscire solo agli yogi e a qualche altro incosciente. Ricostruisco malamente a memoria e mi rivolgo a Ramshani: "Ricordi questi versi di Laskidhemi? -L'uomo che tenta la scalata dei cieli - per delibare il "soma" degli dei - quanto più alto si sarà portato - con maggior danno ricadrà sulla terra ... -". Mi risponde: "Non conosco questo poeta... E' indiano? A quale danno si riferisce... ?". Eaffonda il suo esile corpo di ascetico vegetariano nella comoda poltrona degli Hari Krishna. io con il cibo che sta sulla nostra tavola. Gli chiedo di cambiarlo e lui esegue, ma il suo sguardo lascia intendere incomprensione. "Come sono strani questi europei!" sembra pensare. sulla via di Benares Ci presentiamo in aeroporto per un trasferimento interno ed il capo-scalo della Indian Airlines ci comunica che il volo è stato cancellato, che l'autobus che lo sostituiva è già partito in mattinata senza tenere conto della nostra presenza nella lista dei passeggeri eche 1 ui non sa bene che fare di noi. Dopo molte discussioni riusciamo ad ottenere un'auto con autista con cui coprire gli oltre 400 chilometri di distanza che ci separano da Benares. Viaggiamo con una coppia di tedeschi su un'auto che ricorda molto le Lancia Appia degli anni '60. Fino al calare del sole il viaggio è piacevole; attraversiamo ampie pianure, villaggi e un parco nazionale. Con il calare delle tenebre la situazione cambia radicalmente. La strada è totalmente priva di segnalazione verticale e orizzontale e nessun ostacolo è segnalato. Incontriamo voragini e frane, scavi per lavori in corso e cumuli di materiali che ostruiscono parzialmente la carreggiata e che appaiono all'improvviso dal!' oscurità come in un percorso di guerra. L'autista non si scompone ed evita ogni ostacolo con perizia. Per I unghi tratti la strada ha un'unica corsia pavimentata al centro, per cui quando si incrocia un altro veicolo è necessario spostarsi almeno un poco. La norma imperante sulle strade indiane pare essere che il veicolo più grosso passa per primo o tira diritto a seconda delle circostanze. A ciò si aggiunge uno strano uso degli apparati di illuminazione dei veicoli. Normalmente tutti guidano con gli abbaglianti sempre accesi occupando il centro della carreggiata. Quando si incrocia un altro veicolo lo si punta diritto come ad una sfida fatale a chi è più coraggioso, poi apoche decine di metri entrambi spengono totalmente i fari o al massimo lasciano le luci di posizione, per riaccendere gli abbaglianti pochi metri prima dell'effettivo incrocio. Di solito il più piccolo di stazza o il più pavido, completamente accecato si sposta da una parte. I tedeschi paiono completamente indifferenti al rischio. Io mi lascio andare a ripetute esclamazioni di terrore e inveisce in dialetto romagnolo contro l'autista, contro gli altri veicoli e contro I' lndian Airlines. In queste condizioni, dopo circa noveore di viaggio, arriviamo nei pressi di Benares a notte inoltrata. L'autista chiede di potersi fermare a mangiare prima di entrare in città. Sceglie uno di quelli che noi chiameremmo "ristorante dei camionisti". In questo caso si tratta di una baracca di vari materiali assemblati insieme ed iscuriti dal fuoco di un fornello di terracotta in cui brucia abbondante carbonella. Di fianco al banco cucina, disteso sopra unta volo, un uomo si è appena coricato avvollo in una coperta. Ci guarda arrivare, si lascia catturare dal sonno, si tira la coperta sulla testa e scompare completamente sollo di essa. La notte è fresca ed in cielo brilla, intensa, la luna piena. Una serie di letti indiani con il telaio in legno e la rete di fibre vegetali intrecciate, ordinatamente allineati su due lati, di fronte edi fianco alla cucina, crea una sorta di recinto che circoscrive l'area adibita a ristorante. La parte centrale di quest'area è coperta da un coloratissimo tendone che mi fa pensare alle descrizioni dei caravanserragli sui libri dell'infanzia. Sollo il tendone un unico tavolo acui sediamo. Da una parte abbiamo la cucina con il fornello incandescente ed alcune pentole fumanti, dalla parte oppostaquattro o cinque camionisti siedono allineati a gambe incrociate occupando ognuno un letto. Consumano la cena che viene loro servita su un'asse di legno grezzo posta di traverso sul letto. Hanno tutti la testa fasciata da sciarpe di lana o da turbanti e sono avvolti in mantelli per proteggersi dal freddo della notte. Mangiano lenticchie in umido, riso bianco, chapati (una specie di piadina romagnola originaria) e verdure cotte. I loro coloratissimi automezzi sono parcheggiati poco distante. Noi beviamo "chai" bollente, il thè indiano servito con latte e spezie. L'autista consuma la suacena, identica a quella dei colleghi camionisti. Tutto lo staff del ristorante si raduna attorno al nostro tavolo e ci osserva con curiosità. Guardano i vestiti, come beviamo, come ci muoviamo, ascoltano il suono della lingua con cui comunichiamo fra di noi. Ci scambiamo sorrisi di benevolenza. Loro scuotono dolcemente la testa di lato in un gesto di ammiccamento o di approvazione tipicamente indiano. Pago il thè e sono certo che dopo che avrò riposto il denaro in tasca ciascuno di loro saprebbe dire esattamente la cifra che avevo estratto. L'uomo disteso sul tavolo continua il suo riposo incurante del mondo circostante. I camionisti si piegano sulle ciotole del cibo. La luna, sopra tutti noi partecipa serena a questo attimo di incanto. Manilcarnilca gllat (BenaresJ Così, il Pandit Nehru nella sua "Autobiografia": ...La Ganga è il fiume dell'India amata dal suo popolo. Attorno ad essasi sono intrecciate le memorie delle stirpi, le speranze e le paure, i canti di trionfo, le vittorie e le sconfitte ... Scintillante e danzante nella luce del malli no, scura e cupa e piena di mistero non appena calano le ombre della sera, uno stretto, lento e grazioso torrente nelABBIAMO 11 CONTO CORRENTE POSTALE! C/C N. 12405478 intestato a Coop. UNA ClffA'arl via Ariosto 27 ForU ABBONAMENTO A 1O NUMERI: 20000 LIRE ABBONAMENTO SOSTENITORE: 50000 LIRE Una Ciffa è in vendita anche a Cesena, alla libreria DEDALUS, via Aldini, 2 Lo si trova anche a Sorrlvoll, al Circolo culturale "Il castello". Gli abbonati che non ricevono il giornale o che lo ricevono in ritardo sono pregati di darcene notizia. Noi paghiamo un abbonamento postale per poter spedire i giornali e abbiamo piacere che il servizio funzioni come si deve. I giornali vengono spediti tutti contemporaneamente e i ritardi che si verificanon fra una zona e !"altra della città sono da imputare esclusivamente alle Poste. Quindi. avvisateci. Vi recapiteremo subito il giornale e avremo clementi per reclami circostanziati. Telefonate al nurn.64587. Massimo o al 67077. Marzio.

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