Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

di Enrico Lombardi OGGETTI E IDENTITA' A Ferrara, la maestra della Scuola Ebraica, era conosciuta da tutti. In classe trattava, con imparziale severità, gli alunni, compreso il figlio, espulso dalla scuola pubblica a causa delle leggi razziali. LA CRAVArTA camicia aperta sul collo, lo sguardo vuoto. Allora, incurante dei fascisti e dei loro fucili, con il tono imperioso di sempre, gli gridò: "dov'è la tua cravatta? Fatti dare subito la tua cravatta! Tu non sei un assassino!" In "Una Città" n° IO a pag. 8 era riportato un elenco di oggetti requisiti ad una famiglia ebrea nel 1944. La fotografia del documento originale che legittimava la confisca a favore dello stato italiano era sovrastata dal titolo "Le cose di una casa". Credo che quell'immagine abbia colpito molte persone. Tanti oggetti con una storia diventano voci di un elenco in attesa di essere dispersi. Uno dei messaggi possibili di quell'immagine può essere proprio che ciascun elemento diventa solo oggetto in termini materiali e perde ogni altra connotazione di senso, di significato. Unisco le mie impressioni sulla fotografia alt' idea che gli oggetti possono acquisire un valore nella vita delle persone, permettendo di collegare fatti della vita, di realizzare le memoria della propria esistenza, di favorire la mediazione col ricordo. G. Bateson indicava essenziale la presenza delle "differenze" per il funzionamento della mente. Gli oggetti sono nella sua concezione contenitori di possibili differenze che divengono informazioni solo nel momento in cui entrano in relazione con un ricevente capace di dargli significato in un particolare contesto. Voglio provare a chiarire questo passaggio proponendo altre due immagini. Ci eravamo recati alla casa di riposo "Casa mia" della comunità avventista una prima volta per incontrare il pastore della comunità di Forlì; a questo colloquio, uscito nel numero di febbraio, era seguito quello col direttore della casa di riposo, che ci ha parlato del suo funzionamento e degli scopi che si propone. Ci siamo tornati una seconda volta per incontrarealcuni dei residenti, per farci raccontare un po' della loro storia, il motivo per cui hanno deciso -se è stata una loro decisione- di trascorrere il rimanentedella lorovita inquesta casa, in che modo partecipano -se lo fanno- alle sue attività. L' impressione che abbiamo avuto è di una generale soddisfazione dei residenti per il trattamento ricevuto e per i rapporti reciproci e con il loro personale. Per quanto riguarda quest'ultimo, è formato da membri della comunità che, in qualità di "ministri del culto", ricevono un assegno di sostentamento che varia a seconda dell'anzianità e del grado di responsabilità, ma è comunque inferiore alle retribuzioni corrisposte altrove per queste mansioni. "Chiaramente chi entra a lavorare nella nostra organizzazione lo fa per un desiderio vocazionale", spiega il direttore, "quindi credo La prima è riportata da A. Canevaro: "Dalia Lauden, israeliana, ha scritto una lettera pubblicata sul "Jerusalem post", e ripresa dai giornali di tutto il mondo, anche italiani ... La lettera è indirizzata a un palestinese, Bashir Khaury, del gruppo politico di Abbash. Dalia con la sua famiglia, aveva abitato nella casa a Rarnla, dove aveva abitato e che era stata della famiglia di Bashir. La famiglia era stata allontanata con la forza per la nascita del nuovo Stato di Israele, nel 1948. Dalia ha scoperto molto più tardi questa realtà, che può essere come la memoria segreta e drammatica di una casa. L'ha scoperta quando la famiglia di Bashir ha fatto visita, con mitezza e nostalgia, alla famiglia di Dalia. E il padre di Bashir, anziano e divenuto cieco, aveva voluto accarezzare la pianta di limoni che a suo tempo aveva visto crescere nel cortile. Il padre di Dalia gli aveva dato un limone. E negli anni successi vi, il vecchio cieco, aveva trovato pace accarezzando quel limone rinsecchito ... Bashir è diventato attivo nella lotta armata. Dalia, forse ingenuamente, ricordandogli la storia della loro famiglia, lo invita a diventare leader di un movimento non violento che rivendichi le stesse finalità del movimento della lotta armata". ( 1991 - pag. 17) che sia giusto che si guadagni di meno, altrimenti verrebbe meno lo spirito di servizio". Ci sono anche dei turni di lavoro volontario svolti da dipendenti e da membri della comunità il sabato. Inoltre la divisione EuroAfrica, di cui l'Unione Italiana degli avventisti fa parte, ha un servizio di volontari che scelgono di passare un anno in una delle istituzioniavventiste,fracuiquesta casa, che fornisce loro vitto e alloggio. Il direttore ci spiega il motivo per cui è nata questa casa, e del suo nome. Il nome "Casa mia" vuole significare il nostro impegno in questa direzione, nel dare a un anziano, con tutti gli aspetti negativi che una casa di riposo può avere, un ambiente simil~ a quello di casa sua. Noi crediamo che l'ambiente dell'anziano sia la casa. La Bibbia dice "onora il padre e la madre"; però con la società consumistica, in famiglia si lavora in due, perché bisogna mantenere un certo standard: è inconcepibile non avere il televisore a colori o non fare le vacanze aJ mare; e cosl gli anziani vengono scaricati. Comunque ci sono delle situazioni, per esempio quando l'anziano resta solo, in cui la casa di riposo è ViMaF. errBaraindBinuit1i,5 Te/. (0543) 7007•67 FAX 7m5 47100 FORLI' &JiO upportaolla edellaVs.attività Orologida paretee da tavolo, oggettisticadascrivania,articoli promozional'iad hoc'. Oggettisticparomozionaplee:nne, agendea,rticoldi aufficioc,alendari, portachiavpie, lletterivaaria,magliette, camicei tutedalavorov,aligette,cc. Campagnpeubblicitar,ieoggettistica promozionaple rsonalizzata, sponsorizzaziomnai nifestazioni sportiver,ealizzaziognriafichedi marchei stampaptiubblicitavrai ri,ecc. empliceperesserericordati? il nostronumerotelefonico! Anche in questo caso una vicenda drammatica, la perdita della propria casa, la guerra ... L'oggetto in questione, la pianta dei limoni, non risolve il conflitto e non rimedia ad una ingiustizia, ma forse acquisisce un nuovo significato per gli attuali abitanti della casa e forse permette realmente più di altre cose un incontro. La seconda immagine la riprendo da N. Revelli e si riferisce alla testimonianza di una donna contadina di pianura. L'immagine riporta un'atmosfera di gioco fra bambini: "Quando minacciava il temporale il prete suonava la campana, e noi a dire: "ma come fa il prete a sapere che farà un temporale brutto? Chissà che temporale viene se il prete suona la campana". Ed allora si incominciava già: "Uh, chissà che temporale che viene", e ognuno spaventava l'altro, e l'agitazione cresceva. Allora tutti sotto il portico, inginocchiati a pregare in coro: (Santa Barbara, San Simone, liberateci dai fulmini e dai tuoni, dal fuoco e dalla fiamma, e da una morte improvvisa). Lo dicevano mille volte questo ritornello, oh, mille volte per temporale. Lo dicono ancora adesso in campagna. Poi si accendeva una candela benedetta, a chi capitava, noi cercavamo sempre di tenerla a turno in mano, quella candela ci piaceva anche, ci dava tranquillità e importanza". (1985 - pag. 83) La candela permette di collegare più significati che attraversano la fede, la religione, la tradizione, e di rivestire un ruolo importante che dà anche sicurezza, di impersonare una figura che dà e richiede la tranquillità. Su quest'immagine si potrebbe compiere un'operazione a rischio e provare a cambiare cornice: trasferire quelle azioni dentro un ospedale psichiatrico o in un centro socio-riabilitativo. Allora forse vedremmo solo sintomi di malattia e non più gesti e oggetti con un significato di vita. Il contesto potrebbe far vedere le cose sotto una luce diversa. Si può però ragionare cambiando i termini della riflessione. Gli oggetti, i rituali possono essere accolti come portatori di senso e da questi costruire contesti e situazioni che permettano reali mediazioni e comunicazioni, dialogo. E' una sfida per l'educazione specie nelle situazioni più complesse quali quelle dell'integrazione, del disagio, della sofferenza, e forse non è un caso che questa sfida ci venga dalla rivisitazione di momenti drammatici come quelli documentati dalla fotografia sulle "cose di una Casa". Il marito, agente di commercio, per la sua bella voce, era cantore del tempio. Le strade e i vicoli bui del vecchio ghetto, la Sinagoga, la Comunità, la scuola, le botteghe Kasher erano lo spazio geografico e umano della famiglia. Dopo l'otto settembre, l'apparente normalità della vita di tutti fu stravolta. la maggior parte degli Ebrei abbandonò la città. La famiglia rimase. Poco tempo dopo, il marito venne arrestato. La moglie ed il figlio si recarono a trovarlo in prigione. La scena che si presentò ai loro occhi fu un vero trauma: sotto il tiro dei mitra, decine di uomini ammassati in una cella. Tra loro la maestra vide il marito, commesso viaggiatore e cantore del tempio, con gli abiti in disordine, la Gli altri arrestati pensarono che quella signora fosse matta. Succedevano,forse, cose peggiori; con il cuore in gola si sentiva parlare di elenchi, di vagoni piombati, di campi, e quella sbraita per una simile inezia! Non capivano, non potevano ancora capire, quello che lei aveva capito: i vestiti in disordine, la camicia lacera, l'atroce umiliazione inflitta al marito che mai, nemmeno d'estate soleva allentarsi il nodo della cravatta, preparavano il baratro e la possibilità di ogni abominio. Rita Agnello Ispirato ad un episodio del libro di A. Stille, "Uno su mille", ed. Mondadori necessaria. Ora abbiamo 38 posti; coi lavori di ampliamento che dobbiamo fare, arriveremo a 6065, ma non di più, perché vogliamocontinuare ad avere un rapporto diretto con tutti i residenti e non trattarli come dei numeri, anche se questo può comportare delle difficoltà, perché nella dimensione famigliare è più difficile accontentare tutti, infatti ognuno vorrebbe le cose a modo suo. NON UN PARCHEGGIO in visita a "Casa Mia", la casa di riposo degli avventisti, incontriamo alcuni anziani ancora molto affivi Che la casa continui ad essere per l'anziano l'habitat naturale, ci viene confermato dalle parole di alcuni residenti, in particolare quelli non avventisti, che quindi non avevano la motivazione religiosa per la scelta della casa di riposo; e paradossalmente la scelta della casa di riposo è stata fatta proprio in nome dei figli, per non essere d'ingombro, o anche per tranquillizzarli, sapendo che i genitori non sono soli. Così una signora di 86 anni, di Bagno di Romagna racconta: "io non ho mai pensato a dove andavo per finire la vita, perché lamia vita è stata sempre un calvario. Sono rimasta vedova a 37 anni, con cinque figli da allevare. Sono qui perché i giovani di oggi vogliono la loro libertà, ma sono voluta venire io; l'inverno scorso sono stata da mio figlio, ma appena si è liberato qui sono venuta. All'inizio ci vuole un po', perché andarsene di casa è sempre un po' ditficile, ma i miei figli da sola a casa non mi volevano lasciare, e loro devono lavorare. E' mio figlio che conosceva la casa e mi ha chiesto se volevo venirci. Io, poi, ho visto che le mie vicine che stavano coi figli stavano peggio, e allora sono venuta". Il racconto di Marta di Ferrara è simile a questo; ma nelle sue parole ci è sembrato di sentire una punta di amarezza: "io sono rimasta vedova l'ultimo giorno di guerra; mio figlio allora aveva 13 anni, io sono andata a lavorare e ne ho fatto un ingegnere. lo sarei stata bene anche a casa, ma da quando sono caduta e mi sono rotta un braccio lui non stava più tranquillo. Siccomeabita qui, sono venuta a Forll, ma in casa sua non c'è posto, così si è informato, ha saputo che qui si sta bene e mi ci ha portata". "Casa mia", proprio perché la vita ilono CRLZRTLJRci Tutlll lti scelkl chevuoi Vialedell'AppenniM1, 63 -Forlì ~ SERCOM s.r.l. TECNOLOGIA E ARTE NELL'ARREDARE NEGOZI 47100 Forlì - Zona industriale Via Correcchio, 21/A Tel. 0543n22330 - Fax 725483 lafortma SPI\ BIZERBR ICN'PAU.11,NIII llinAUJCHf degli anziani non rimanga vuota, non vuole essere un semplice "parcheggio", ma si propone di offrire opportunità per mantenere una vita attiva. "Noi abbiamo un piccolo progetto di 'terapia occupazionale"' -spiega sempre il direttore- "la mia idea è di fare in modo che un anziano che viene qui, trovi un collegamento con la sua attività passata. Non è facile, perché l'anziano in casa di riposo tende a perdere gli interessi, perciò cerchiamo di stimolarlo con delle iniziative. In collaborazione col Comune organizziamo un'iniziativa di beneficenza, "Un gesto d'amore", i cui proventi, l'anno scorso, sono stati destinati ali' Anfas, mentre quest'anno all'associazione "Al margine", che sioccupa di malattie mentali. Sei delle nostre residenti fanno lavori all'uncinetto che vengono venduti in questa occasione.Poiabbiamo l'orto, coltivato da un nostro residente di Nettuno, la serra, un piccolo laboratorio di falegnameria, ecc. La mia idea sarebbe che chi lavora potesse avere uno sconto sulla retta, in modo da sentirsi produttivo, e che comunque durante la settimana dedicasse un certo tempo, anche breve, all'attività. Inoltre cerchiamo di stimolare i residenti anche con le attività di gruppo; ci sono due incontri.uno la mattina e uno al pomeriggio; quelli del pomeriggio sono momenti di conversazione: un giorno si gioca, un altro si legge il giornale, un giorno alla settimana viene il pastore a parlare. L'ultima volta, per esempio, hanno parlato della questione delle case a gay a Bologna. La mattina c'è l'incontro spirituale, con la lettura del Vangelo; però non è a carattere teologico, non è strettamente avventista, anche i cattolici possono partecipare tranquillamente. Comunque nessuno di questi incontri è obbligatorio. E poi c'è una mezz'oretta di lavoro in gruppo: chiaramente ognuno può farlo in camera quando vuole, ma questo è per stimolare chi da solo non lo farebbe. Chi è qui da alcuni anni è abituato a collaborare anche nelle piccole cose che sono da fare nella casa, come pulire lapiazzetta qui davanti, raccogliere le foglie, ecc.". Abbiamo poi incontrato Salvatore, avventista di Nettuno, e Marzico, di Torino, due dei residenti più attivi. Salvatore coltiva l'orto e questa è per lui una vecchia passione: "l'ho ereditata dalla mia famiglia. I miei nonni e mio padre erano coltivatori diretti, e io sono cresciuto in campagna, in mezzo alle vigne. Io ero normale fino ai 22 anni, quando ero nei militari, poi ho avuto un'operazione al midollo spinale e sono rimasto paralizzato. Però non mi sono mai fermato, sono sempre rimasto attivo. Ho gestito un negozio per vent'anni, però il cemento non fa per me, mi ci vuole il verde, io mi sento bene in mezzo alle mie piante, e ne sono geloso. Mi hanno messo delle strisce di cemento sulla terra, cosl posso andare con la carrozzella nell'orto. E io mi sono costruito delle prolunghe per lazappa, per metter il concime e raccogliere le verdure. Da quando sono in carrozzella la mia passione è aumentata e la mia attività mi dà molte più soddisfazioni". Marzico, invece, si occupa della serra. Ci racconta: "io sono nato in Puglia, ma a 17 anni sono andato a Torino volontariamente per farmi una cultura, modesta, ma sufficiente per sentirmi uomo. Dopo due giorni dall'arrivo ho trovato un posto come operaio. Dopo la guerra e lo sfollamento mi sono messo nel commercio, ma mi è sempre rimasta nell'animo la passione per i fiori. Anche a Torino avevo un giardinetto, e quando ci andavo e osservavo· i progressi che facevano i fiorirquello era per me un momento di rigenerazione fisica e spirituale. E' siato il direttore a propormi di curare la serra; i fiori li vendiamo nelle iniziative di beneficenza". Dato che entrambi sono avventisti da parecchio tempo, abbiamo loro chiesto la motivazione della loro scelta religiosa. "Io ho sempre creduto in Dio" - dice Salvatore- "ma la religione cattolica nonmi soddisfaceva.Non credevo nei preti, nei santi, nelle immagini, ecc.. Ho avuto contatti con i testimoni di Geova, ma anche loro non mi soddisfacevano, perché io cercavo Gesù, e il loro Gesù non era quello che volevo io, quello che si è sacrificato per noi, per il nostro bene. Poi un giorno, per caso, ho incontrato un avventista sul lungomare e di Il è nato tutto. Da quando sono qui la mia fede è aumentata, perché prima ero da solo. La Sacra Cena la facevo incampagna dove abitavo, perché a Nettuno non c'era la chiesa; venire qui è stata per me un'esperienza bellissima. La religione dà serenità, la voglia di vivere". "Secondo me" - ci dice Marzico - "la religione cattolica non è appagante per la coscienza di un uomo. Ho sempre dialogato coi preti, ma anche quando ero ragazzo facevano fatica a rispondere alle mie domande, perché venivano dalla coscienza. Loro si basano troppo poco sulla Bibbia e troppo su quello che hanno detto gli uomini e sulle tradizioni. lo ho visto gente che in chiesa adorava statue della Madonna fatte con carta straccia e simili. La prima guerra mondiale mi aveva fatto soffrire (io ho 85 anni), e i cattolici non avevano quel valore che mi desse conforto. La religione, quando è vissuta nel modo giusto, è appagante sia come conoscenza che come conforto". Non tutti sono partecipi alle attività della casa. Elena, di 69 anni, di Ferrara, era casalinga. "Da quando è morto mio marito mi sono lasciata andare e non ho nessun interesse. Ho abitato con mia figlia a Ravenna, ma non mi sentivo più buona a niente e ho deciso di venire qui". Forse l'espressione "terapia occupazionale" non è la piùappropriata al tipo di progetto che la casa si propone. Il termine infatti potrebbe far pensare a qualcosa di totalizzante, a una pretesa di finalizzare l'esistenza al lavoro -magari dimenticando che c'è differenza tra lavoro e lavoro, e preoccupandosi solo di "far lavorare" gli anziani, o comunque chi deve sottoporsi alla "terapia", qualunque sia questo lavoro- al presupposto, per lo meno discutibile, che il lavorare risolva necessariamente tutti i problemi di una vita difficile, per qualunque motivo. Al contrario, ci sembra che niente di questo si possa dire di "Casa mia", visto che innanzi tutto non c'è alcun obbligo ali' attività, anche se ovviamente è consigliata e incoraggiata, e che non si pretende certo di dare al lavoro una dimensione totalizzante. E soprattutto, queste attività non sono una costrizione esterna che venga imposta alla persona, contro le sue inclinazioni e i suoi desideri: chi partecipa più attivamente (come Salvatore e Marzico) lo fa altrettanto entusiasticamente, e seguendo la propria inclinazione naturale, e, quel che è più importante, come naturale proseguimento della propria esperienza passata. Al contrario, chi non si sente stimolato all'attività, per la propria indole o anche per una recente esperienza dolorosa (come la morte del marito), non è inserito a forza nelle attività collettive, magari proprio per "guarire" questi dolori. Almeno cosl ci è sembrato. a cura di Libero Casamurata e Fabio Strada 1otecaGino Bianco UNA CITTA' 7

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