Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

INTERVISTA NANNI SALIO La nonviolenza, come metodo di lotta e come visione del mondo, è una questione presente nelle discussioni culturali e politiche da quando la lotta per l'indipendenza dell'India, guidata ed ispirata da Gandhi, riuscì a sconfiggere l'allora potente impero britannico. Per la sua particolarità, e al di là dei suoi successi o delle sue sconfitte, è certo una proposta che pone una quantità enorme di problemi pratici e teorici; della nonviolenza, della sua efficacia, dei suoi metodi, dei suoi contenuti filosofici, abbiamo parlato con Giovanni (Nanni) Salio, 48 anni, insegnante di fisica all'Università di Torino, teorico della nonviolenza e traduttore e curatore di vari testi su tale tema e sull'ecologia (fra questi: "Ecologia Profonda"; "I movimenti per la pace" (3 voi.) ; edizioni del Gruppo Abele, Torino). La nonviolenza può essere vista solo come uno strumento fra gli altri dell'agire politico oppure, per poter essere praticata, necessita di un'etica specifica, di una particolare visione del mondo? Ci sono degli esempi di lotte nonviolente, precisamente delle forme di resistenza civile nonviolenta, che non hanno presupposto una totale adesione ad una cultura nonviolenta, Ce ne sono tantissime nel corso della storia. Ad esempio, le trasformazioni avvenute nei paesi baltici, per rimanere in tempi vicino a noi, sono avvenute con forme di resistenza civile nonviolenta che hanno avuto successo e non hanno certo presupposto una totale adesione culturale alla nonviolenza da parte della popolazione. Anche solo da un punto di vista empirico, quindi, la nonviolenza ha una sua efficacia; questa è una delle tesi che Gene Sharp ( uno dei massimi teorici contemporanei della non.violenza, ndr) ed altri sostengono. Tuttavia questo non vuol dire che ci si debba ridurre a queste sole forme di lotta, non è questa l'intenzione di chi fa osservare questa efficacia empirica, ma è un aspetto pratico che va messo in evidenza, proprio perché è difficile persuadere sugli altri aspetti della nonviolenza, sulla sua visione del mondo. Ma è anche vero che tale efficacia si ha solo quando l'avversario non è disposto ad oltrepassare certi limiti. Se invece dell'Armata Rossa di Gorbaciov ci fosse stata l'Armata Rossa di Breznev, la resistenza nonviolenta nei paesi baltici sarebbe stata molto meno efficace .. non violenza non solo come mezzo, ma come fine Questo è sempre discutibile. Ci sono stati dei casi in cui, anche nei confronti dell' Armata Rossa di Breznev, ad esempio nel 1968 a Praga, la resistenza nonviolenta ha avuto una sua efficacia; non ha vinto, ma ha saputo contrastare per più di sei mesi le truppe del Patto di Varsavia. Si deve comunque considerare che la lotta nonviolenta si sviluppa nel tempo, non diversamente da qualsiasi lotta violenta, e nel corso di lunghi periodi cambiano anche le controparti. Nel caso della Cecoslovacchia, quelli che nel '68 avevano perso sono quelli che vent'anni dopo hanno vinto. In ogni caso la lotta nonviolenta ha bisogno di tempi lunghi; la lotta di Gandhi è durata quarant'anni. Il criterio dell'efficacia ha comunque una sua, anche se relativa, importanza perché molte Brsone devono essere convinte anche su quel versante. La lotta violenta, per cui alcuni optano, non ha problemi diversi dalla lotta nonviolenta: la lotta per la liberazione del Salvador, che dura da dieci anni, deve oggi piegarsi ad un compromesso; per la lotta, vittoriosa, dei Sandinisti tutto dipende da quando la facciamo cominciare, perché Sandino operava negli anni venti. Il criterio dell'efficacia serve quindi per contrastare la tesi, ritenuta fondamentale, che in molte situazioni, se non in tutte, non ci siano alternative alla lotta armata. Entrando invece nel merito di che cosa è la nonviolenza come visione del mondo il discorso diventa diverso. La nonviolenza, innanzitutto, non si presuppone solo come mezzo, ma anche come fine. Ritornando all'esempio dei paesi baltici, c'é da dire che, al di là dei mezzi nonviolenti usati, potrebbe succedere che domani questi paesi si diano dei fini non omogenei con la nonviolenza; come già un po' avviene, potrebbero creare una società discriminante nei confronti della minoranza russa. Questo fatto non appartiene certo al mondo della nonviolenza e, anzi, proprio il non avere dei fini coerenti con una visione nonviolenta può far sì che alcuni dei conflitti che si genereranno in futuro non vengano affrontati con metodi nonviolenti. La nonviolenza comporta una coerenza su due fronti: nei metodi e nei fini. Il fine è la costruzione di una società; il che vuol dire costruire rapporti nonviolenti fra le persone, un sistema economico nonviolento, un rapporto con la natura di tipo nonviolento; tutto questo va ben oltre la semplice efficacia dei mezzi nonviolenti in un momento di conflitto. Purtroppo, sovente, c'è uno scarto fra mezzi e fini: si mette l'attenzione sugli uni o sugli altri e quindi o c'è incoerenza sugli uni o c'è incoerenza sugli altri. li progetto complessivo della nonviolenza richiede una grande capacità, una grande chiarezza, su entrambi. un'azione ~r1;ventJva1 di r1moz1one delle cause profonde Ma se vedo alcuni individui violentare una ragazza? lo intervengo come posso, con tutto ciò che è a mia disposizione... Questo è il tipico esempio che viene fatto, ma non è pertinente per varie ragioni. Prima di tutto la nonviolenza di Gandhi è la nonviolenza del forte, cioè di chi può in qualche modo scegliere. Nel caso di una situazione di ingiustizia, come quella che dici tu, si richiede innanzitutto la disponibilità ad intervenire e, a meno che tu non vada in giro armato, dovresti intervenire a mani nude e quindi interverresti in maniera nonviolenta. r , E se riesco a dare ! ' un cazzotto sui denti a uno dei ~ violentatori? . '""". 1,#l~J -~h Questa è una azione tecnicamente violenta, ma solitamente non comporta l'uccisione della persona; semmai è più probabile che siano i violentatori ad essere armati e quindi sei tu che ti esponi ad una violenza che può anche essere quella estrema. Inoltre, anche in quel contesto, potrebbe essere più efficace, se non sei solo, un intervento collettivo, anche se su piccola scala, che metta in difficoltà il violentatore. Per questi motivi l'esempio che hai fatto non è probante. Poi, questi ragionamenti non dovrebbero mai essere fatti con il "se"; ragionando in questo modo si innescano dei processi riduzionisti delle situazioni. Certo ci si può trovare in simili situazioni, ma un altro compito della nonviolenza è proprio quello di sviluppare delle azioni preventive. Sicuramente nessuna società potrà mai essere perfetta, e neanche le azioni preventive riusciranno mai ad escludere tutte le manifestazioni di violenza. Noi oggi ci confrontiamo con una realtà nella quale certe forme di violenza crescono e molti pensano che per fermarle siano necessari interventi molto violenti delle forze di repressione, ma così non ci si accorge che neppure avendo una grande disponibilità di violenza da parte dello Stato si può risolvere la questione; ancora una volta è l'azione preventiva, di rimozione delle cause profonde, che dovrebbe essere intrapresa per tempo. Non c'è certo bisogno di essere nonviolenti per capire che se tu lasci delle città nella situazione di Napoli, con duecentomila persone senza lavoro, non puoi aspettarti un clima di serenità. Poi, i ragionamenti che facciamo sulla nonviolenza devono essere fatti calandoli in un contesto culturale, la qual cosa comporta un processo, del le scelte, degli orientamenti specifici. Fra questi anche una CO NON VIOLENZA distinzione tra gradi diversi di violenza, che però non comportino la giustificazione in linea di principio di quelle strutture che, invece, continuiamo non solo a sostenere, ma a rendere via via più forti. L'esempio del "micro", inoltre, non dovrebbe essere fatto per giustificare il "macro", per giustificare il fatto che mandiamo una forza multinazionale nel Golfo. tuffi gli • esser, viventi sono soggeffi alla sofferenza Tutto questo rimanda comunque ai fondamenti della nonviolenza .. Infatti; come già accennavo prima alla base della nonviolenza c'è la visione dell'omogeneità fra mezzi e fini e il concetto di unità fra tutti gli esseri viventi. Tutto questo comporta una "compassione", per usare un termine della cultura buddista, nei confronti degli altri esseri in generale, cioè l'essere consapevole che tutti gli esseri viventi sono soggetti alla sofferenza; l'atteggiamento che deriva da questa consapevolezza spinge a cercare situazioni di condivisione e di riduzione della sofferenza nel corso delle azioni che si intraprendono. Oltre a questo c'è anche una base razionale, empirica, che parte dalla constatazione che non possiamo mai possedere la verità e quindi dovremmo cercare un genere di azione che consenta la correzione e la reversibilità, che possa essere corretto man mano che procede. Invece vediamo che nella storia, anche in quella recente, partendo spesso da nobili ideali si sono attuate delle azioni politiche che si sono rivelate fallimentari dopo pochi anni, ma coloro che le hanno intraprese non sono riusciti a correggerle proprio perché le hanno praticate ritenendo, per esempio, indiscutibile la giustezza dell'uso della violenza . Dopo ci si accorge che queste scelte hanno diviso la società, la comunità, creando ulteriori tensioni ed in certi casi ulteriori violenze. La nonviolenza come modalità di lotta e di intervento sui problemi della giustizia parte anche dalla disponibilità, da parte di coloro che agiscono con mezzi nonviolenti, ad accettare su di sé il prezzo che la loro lotta comporta, cioè essere disponibili al sacrificio, che può essere anche quello estremo. Questo sacrificio rende visibile agli altri l'assoluta buona fede di coloro che stanno lottando e quindi favorisce l'emergere del meglio anche negli oppositori. li "meglio" sono gli aspetti umani più profondi che di fronte al sacrificio, alla sofferenza, vengono prima o poi colpiti. Questo è un fatto empirico, che non si può dimostrare in termini teorici, ma che si è verificato in molte occasioni proprio perché, intuitivamente, c'è una sostanziale omogeneità fra gli esseri umani. E gli aguzzini nei lager nazisti? Questa è una questione su cui si è riflettuto parecchio e va detto che anche nei lager, ne parla Be\telheim, si sono verificati dei casi di persone che, in virtù di una forza interiore che aveva dato loro un coraggio estremo, hanno saputo contrastare i kapò in modo nonviolento. Questo in un contesto già dato, ma la vera questione è che la responsabilità era precedente al momento in cui sono nati i campi di sterminio. La responsabilità delle popolazioni, della società civile, è che è stata incapace di intervenire quando c'era ancora tempo. Non si può mai chiedere alla nonviolenza, ma neanche a qualsiasi altra forma di lotta, di intervenire all'ultimo momento; ci sono situazioni in cui anche la violenza più forte potrebbe perdere. Noi ragioniamo in questi termini nei confronti di Hitler perché ha perso, ma ha perso ad un prezzo altissimo, pagato da tutti coloro che sono stati coinvolti allora e in seguito, perché proprio con la giusti fìcazione della lotta contro il totalitarismo si sono costruite ed usate le armi nucleari, si è avuta la guerra fredda. Il modo di vedere la storia come se fosse fatta da segmenti isolati e non ci sia invece una continuità è pericolosissimo, perché può far pensare che tu devi intervenire in un dato istante, isolato dal contesto, mentre invece la storia è complessa, c'è sempre continuità. Quindi occorre preparare il terreno perché diventi sempre più difficile che si realizzino nuovamente certe situazioni. la storia dell'Occiden• te è se_g!'a!~ da, p,u terribili genocidi Ma non c'è al fondo della nonviolenza una visione mistica delle cose che, all'atto pratico, impedisce di produrre una teoria politica realistica e coerente? Innanzitutto una teoria politica della nonviolenza c'è. Autori come Gene Sharp, Theodor Ebert, Johann Galtung da tempo lavorano, su versanti diversi, al problema della risoluzione dei conflitti: dai conflitti all'interno di un paese ai conflitti fra paesi. In secondo luogo c'è il fondamento razionale, cui accennavo prima, che è proprio quello che non viene preso in considerazione dalle teorie politiche tradizionali. Se si può fare un'accusa a queste ultime, che sono fallite tutte (basti pensare al fallimento clamoroso della teoria che postulava la creazione del comunismo nell'est europeo), è proprio quella di non aver tratto dai fallimenti le debite conseguenze; non c'è un tribunale della storia che chieda ai vari teorici e politologi il conto dei loro errori. Sono tutte teorie politiche idealistiche che non si possono valutare solo in base alle intenzioni e alle speranze; è questa la grossa differenza fra il realismo vero della nonviolenza e la mancanza di realismo degli altri. La nonviolenza consente la correggibilità degli errori e questo è l'unico realismo, l'unico elemento di razionalità, che sia fondante per una teoria politica; le altre sono delle visioni idealistiche con degli effetti disastrosi. Sono idealismi fondati su una visione di potenza che porta ad accettare qualsiasi costo in nome di un risultato futuro che non ci sarà mai. Ma se tu fai un esperimento e questo non funziona lodevi correggere e, soprattutto negli esperimenti sociali, devi fare in modo che non ci siano dei costi sociali altissimi come quelli pagati nelle società comuniste. D'altra parte non è che nei sistemi capitalistici non vi siano degli effetti negativi: la guerra del Golfo o le 140 guerre "locali" verificatesi dal 1945 sono anche il frutto di un certo modo, quello capitalistico, di intendere l'espansione economica e il modello di sviluppo. La storia dell'occidente è segnata dai più terribili genocidi: da quello degli indiani d'America alla tratta dei neri, allo schiavismo; dalle due guerre mondiali allo sterminio degli ebrei, che abbiamo fatto noi, mica i palestinesi. Questo atteggiamento, che contempla un uso senza limiti della violenza anche nei rapporti economici, é implicito nella nostra cultura. Ecco perché le teorie politiche tradizionali, se si prefiggono il benessere degli esseri umani, sono fallite; se non se lo prefiggono, per me sono da scartare in via di principio, per una scelta di fondo che è quella di cercare di realizzare una società giusta. Ma, in linea di principio, nessuna teoria sostiene di non volere una società giusta: ciò che hanno di errato è il fatto che non prendono in considerazione in modo rigoroso gli effetti che derivano dall'applicazione delle teorie stesse. Sono dei paradigmi sbagliati. una crescita della sensibilizzazione clte per ora non c'è Ma come spieghi la rinascita del nazionalismo che sta avvenendo un po' dappertutto? Ed i nonviolenti, al di là dell'essere contro, cosa propongono oltre alla testimonianza? Quello che sta avvenendo in Europa, in particolare all'est, va visto in modo attento, con una lente di ingrandimento. Per quanto riguarda la Jugoslavia occorre dire a chiare lettere che la responsabilità di quanto sta avvenendo è delle elites politiche e che ci sono forti opposizioni popolari alla guerra. A Belgrado ci sono più di ventimila disertori nascosti nelle case e, nonostante non siano riusciti a prevenire il conflitto, ci sono dei movimenti pacifisti significativi. Discriminare le responsabilità e cercare di far emergere le componenti pacifiste presenti è importante, altrimenti sembra che improvvisamente tutta questa gente abbia perso il lume della ragione e sia diventata nazionalista in forme estreme. Ci sono invece delle persone, con dei nomi ben precisi e che in parte sono degli ex comunisti riciclatisi come nazionalisti, che per loro scopi di potere hanno alimentato un certo clima sino a portarlo alle estreme conseguenze. Questi stessi pericoli sono presenti, seppure in forma molto embrionale, anche in Italia. L'aspetto razzista delle Leghe, ad esempio, potrebbe far esplodere manifestazioni di violenza qualora fosse unito ad una situazione di crisi economica, ma credo che questo non sia molto probabile perché, nonostante tutto, la situazione italiana è molto diversa da quella dei paesi dell'est. L'emergere di gruppi come i "naziskin" è, attualmente, a metà strada fra il folklore negativo e le bande giovanili o i fenomeni da stadio; sono più espressione di un disagio delle componenti giovanili della società che una espressione politica. Non è detto che in futuro questi non possano diventare dei fenomeni perversi, ma credo che attualmente il pericolo maggiore venga dal1 'evoluzione del sistema capitalistico in un grande sistema mafioso su scala mondiale. Di fronte a questo mi chiedi cosa possono fare i nonviolenti, ma se pensi che il Movimento Nonviolento organizzato ed i componenti di altri movimenti che esprimono una sintonia con gli ideali della nonviolenza sono poche centinaia capisci che siamo al livello di piccole minoranze. Sono minoranze che portano avanti varie campagne e che, peraltro, riescono a mobilitare un numero di persone mo!to maggiore dei loro aderenti, ma, e non credo che ci sia da meravigliarsi, non sono in grado di occuparsi di tutto quel che avviene in questa società, non lo possono materialmente fare. li problema credo sia quello di studiare come il movimento possa crescere, come debba organizzarsi, come possa collegarsi ad altre forze che vogliano ispirarsi alla scelta nonviolenta. Attualmente sono forze frammentate, ad esempio mi viene da chiedere che tipo di impegno e di formazione hanno i ventimila obiettori di coscienza che ci sono ogni anno in Italia, ma è certo che la crescita delle opzioni e delle pratiche nonviolente passa per una crescita della sensibilizzazione che perii momento non c'è. a cura di Franco Melandri Via M. FerrBaarindBinui1ti,5 Te(/0. 543) 7007•67 F/J7J8. 0Cl65 moo FORL/ 1 Il validosupportaolla promozionde llaVs.attività Produzione Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc'. Vendita Oggettisticapromozionalep: enne, agende, articolida ufficioc, alendari, portachiavip, elletteriavaria,magliette, camicie tuteda lavoro,valigette,ecc. Idealizzazione Campagnepubblicitarie, oggettistica promozionalepersonalizzata, sponsoriuazionimanifestazioni sportive,realizzaziongi rafichedi marchie stampatipubblicitarviari,ecc. Il mezzo piùsempliceper esserericordati? ...facile il nostronumerotelefonico! ---- - --------

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==