La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

su una mentalità che le riconosca una qualche autorevolezza. La sensibilizzazione e l'acculturazione possono avvenire spesso soltanto grazie a un atto di forza, di imposizione. E anche questo non deve stupire: lo Stato, e ciò è veramente paradossale, al confronto con queste popolazioni recalcitranti a ogni novità, appare sempre più moderno. E così i figli crescono per strada, spesso seguendo i consigli di quegli uomini che dal quartiere non si muovono invece mai, che al contrario dei loro padri non lasciano mai nemmeno la piazza, o il bar, o la sala dei biliardi. I ragazzi si fanno grandi in una situazione culturale talmente forte e chiusa che anche tentare di scalfirla sembra un'impresa impossibile. la scuola dell'obbligo resta solo e soltanto un obbligo, appunto, una perdita di tempo in cui mal si tollerano imprevisti quale può essere inteso, per esempio, un .provvedimento disciplinare o, peggio ancora, una bocciatura. I maestri in classe insegnano una vita totalmente e assolutamente opposta a quella che gli altri maestri, fuori dalla scuola, impongono col fascino sfarzoso della loro prepotenza. E i modelli da seguire, dunque, non possono che essere questi· ultimi. I maestri e i professori sono considerati . istintivamente dei nemici, non gli si riconosce alcuna funzione, e coloro che si ostinano a non riconoscere la legge e le regole del quartiere, vengono puniti severamente provocando danni alle lo_romacchi~e yosteg&iate fuori scuola, o semplicemente picchiandoli. · I giovani vengono seguiti soltanto nel loro sviluppo fisico, mai in quello culturale e psicologico. L'organizzazione familiare non ha più sulla loro educazione la rilevanza che ha sempre avuto tradizionalmente, ma ne ha ancora a sufficienza da non permettere alla scuola di non riempire il vuoto creatosi. I ragazzi restano spesso vittime quindi di nevrosi oscure, striscianti, di cui non hanno coscienza perché sono generalizzate, e perciò accettate meschinamente come una normalità. Letteralmente ;~- ~---·"'-. ~- i ·r • . · . ·_ .. · _·.. · ' . ' ; . . . . •. bloccati da un'afasia cronica, non riescono a esprimersi che in base a un codice molto limitato. Il dialetto è morto, e non riesce neanche più a offrire il gusto della trasg_ressiorie. Si pensi ai cori dello stadio, per esempio, che ormai ricorrono quasi esclusivamente a parodie di messaggi e slogan pubblicitari, e sono incapaci di inventare sfottò e inni nuovi. La storia ha voluto che dall'inconsapevolezza e dalla rassegnazione si passasse non a una coscienza positiva ma a una sorta di vittimismo odioso. Non so se si può parlare di invidia, ma il senso di ottusa rabbia che sta dietro certe rivendicazioni le somiglia molto. La mentalità è chiusa, vanno diffondendosi sette religiose che predicano futuri apocalittici e aizzano discriminazioni razziali e sessuali. Si invoca un ordine di cui, probabilmente, proprio gli abitanti di questi quartieri sarebbero i primi a pagare le spese. In tal senso, le manifestazioni di razzismo verificatesi nelle periferie delle grandi città, fanno pensare. Non tanto le manifestazioni fatte con i cortei e con i blocchi stradali, quanto quelle d{ persecuzione spicciola, quotidiana verso gente che ha bisogno davvero, e quindi non ha altra scelta che quella di esporsi al rischio di essere malmenata. Non serve appellarsi alla povertà, oltretutto ormai superata, per spiegare l'intolleranza. I razzisti hanno sempre qualcosa da perdere, e "i negri", "i marocchini" sono l'immagine di ciò che i giovani di periferia hanno il terrore di diventa- · re: gente che non ha avuto successo, fatta fuori. D'altronde il popolo, come entità antropologica, in occidente non esiste più da qualche decennio. Esiste la massa, Che vuole essere "uguale". E come scriveva Sandro Penna, in un epigramma concepito forse per la sfera più intima della nostra vita ma che non mi sembra del tutto sbagliato ricordare a questo proposito: Felice chi è diverso/ essendo egli diverso.I Ma guai a chi è diverso/essendo egli comune. ♦ -·,

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