Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Silvio Trentin famiglia. E .per giunta ci ho messo gratis il mio lavoro, godendomi la previsione che il frutto di quel lavoro andrà ai miei figli. Ma un contadino non ha altri redditi, e deve pensare al problema immediato di non morire di fame con la sua famiglia. Le trasformazioni agricole esigono molto capitale, e sono assai lente a compensarlo. Quel capitale di regola non viene dalla terra." E ripeteva la sentenza di Cattaneo di cui era grande ammiratore: "L'agricoltura esce dalla città." La comune ammirazione per Cattaneo fu una fra le radici dei nostri consensi. Sorta la dittatura fascista, De Viti si ritirò in disparte. L'Italia fece a meno per vent'anni di quell'uomo, come se di uomini come quello ne avesse molti da sprecare. Quando, nel 1931, gli insegnanti universitari furono invitati a prestare giuramento di educare alunni fedeli agli ideali fa. scisti, lui inviò le dimissioni con una lettera di cui io a Londra ebbi all0ra il testo. Non la pubblicai per non creargli difficoltà in Italia. Non rni è stato possibile ritrovarla nel caos delle mie carte per pubblicarla ora. Nell'estate del 1947, quando rividi l'Italia, gli anni avevano fatto la loro opera per De Viti, come per Giustino Fortunato. Era morto nell' estate 1943, pochi giorni dopo che Ernesto Rossi, suo alunno libero, come ero già stato io, era andato a trovarlo, reduce da Ventotene e da Regina Coeli. Vidi improvvisamente e abbracciai una delle sue figliuole, "Lucietta," che fece balzare viva innanzi al mio pensiero la immagine del suo papà. Silvio Trentin1 Caro Pannunzio, Norberto Bobbio ed Egidio Meneghetti lo hanno commemorato a Venezia il 12 marzo, decimo anniversario della sua morte. Fu uno di quei nostri migliori, contro i quali il destino sembra essersi accanito per toglierceli quando piu la loro opera sarebbe stata necessaria. Lo conobbi a Pisa dove studiava giurisprudenza alla vigilia della Prima guerra mondiale. Venne a trovarmi, sebbene io non insegnassi nella sua facoltà, e divenimmo amici. Lo ricordo silenzioso e pensieroso, con occhi assai dolci, di parola non abbondante, ma facile e chiara. Lo perdetti di vista fino al 1919, quando ci ritrovammo a Roma: lui deputato del Veneto e io della Puglia. Aveva fatto la guerra come aviatore. Era incaricato di Diritto amministrativo nella università di Padova. Né lui né io eravamo politicanti: eravamo tecnici sperduti nella politica. Lui lavorava per sottrar1 Da "Il Mondo," 23 marzo 1954, a firma ;,Gaetano Salvemini." [N.d.C.] 93 Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==