Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Maestri e compagni creata dai meridionali stessi - che l'Italia meridionale sia un paese pnv1legiato con tutti i tesori di Golconda. Chissà quanti mezzi secoli ci vorranno per demolire l'altra leggenda che i meridionali sono intelligenti, o almeno piu intelligenti dei settentrionali. De Viti soleva dire che i meridionali capiscono con grande facilità le questioni facili, e sono pronti a reagire con immediatezza agli stimoli esterni; perciò fanno figura di essere piu intelligenti dei settentrionali piu lenti a reagire. Ma l'intelligenza, cioè la capacità di non vivere nel mondo delle fantasie e di coordinare i mezzi coi fini, è fra i meridionali assai piu scarsa che nei settentrionali. La esperienza mi ha convinto sempre piu che De Viti aveva ragione. Considero come il piu grande onore della mia vita di avere avuto, durante la guerra 1915-1918, il consenso incop.dizionato di De Viti nella campagna contro quella dalmatomania e slavofobia, dalla quale sono derivati tanti mali al popolo italiano durante la Prima guerra mondiale, e durante le trattative di pace nel 1919, e fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, e durante questa, e la serie non sembra finita. Fu necessario a De Viti un carattere tenacissimo per difendermi, specialmente durante il 1918, contro le calunnie fabbricate nei Ministeri degli esteri e della marina. I dalmatomani volevano indurlo a ritirarsi dall'Unità, disgustato da una lotta ineguale. Ma non ci riuscirono mai. Molti fra gli articoli sugli errori della politica di Sonnino, che uscivano con la firma "l'Unità," furono il frutto di lavoro comune fra De Viti e me. Cominciavamo con lo scambiarci le idee su un dato soggetto. Allora io buttavo giu la prima stesura dell' articolo, e gliela leggevo. Ora toccava a lui; prendeva l'articolo periodo per periodo e lo polverizzava finché non ne rimaneva niente. Io rifacevo in base alle sue critiche e ai suoi suggerimenti. De Viti trovava ora che si cominciava a ragionare e demoliva da cima a fondo anche la seconda stesura. E io a fare una terza volta. Questa volta De Viti cominciava a essere soddisfatto. Perciò ritornava a demolire. Io correggevo ancora una volta, ma adesso mandavo in tipografia. Naturalmente lui, domandava di rivedere ancora una volta il manoscritto. E io: "Se glielo facevo vedere altre cento volte, Ella avrebbe trovato da ridire altre cento volte, e il guaio è che avrebbe avuto sempre ragione." E lui a sorridere di sottecchi. Essere stato a contatto di un tale maestro, quale fortuna nella vita di un uomo! Ma quella sua incontentabilità gli impediva di produrre tutto quanto avrebbe potuto. L'essere egli stato cosI spietato con se stesso spiega perché la sua influenza fu COSIlimitata. Parlava volentieri della sua proprietà in terra d'Otranto, "I veli." L'aveva ereditata da uno zio. Essendo tenuta a coltura estensiva e ad affitto, fruttava "una miseria." De Viti decise di bonificarla. Non voleva rimetterci niente, ma non doveva guadagnarci su. Tutto quanto ne ricavava, doveva restituirglielo. Cos1 fece per trent'anni. E quella terra era diventata una stupenda distesa di vigneti. Di questo suo successo pratico si compiaceva piu che dei suoi scritti sulla scienza delle finanze. Ma osservava: "Questo ho potuto farlo io, perché possedevo altri redditi per vivere con la mia 92 BiblotecaGino Bianco

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