Gaetano Salvemini - Scritti vari (1900-1957)

Pasquale Villari valore alla testa de' suoi eserciti; potrebbe vedere scemata la libertà e l'eguaglianza, e sentire il bisogno di chiamare in suo aiuto i princip1 dell '89.19 Assai piu ammirava l'Inghilterra - continuando, anche in questo, la tradizione liberale del Risorgimento - per la lenta, pacifica evoluzione democratica delle sue istituzioni nel secolo XIX, per la sapienza romana con cui ha creato e mantiene il piu grande impero della storia, per le sue classi dirigenti cosi profondamente dominate dal sentimento della responsabilità e della solidarietà sociale, per quella fusione completa, che si manifesta nella sua vita pubblica, fra i diritti della libertà individuale e le imposizioni di una disciplina tanto piu ferrea, quanto piu spontaneamente accettata. Una vittoria della Germania, in questo grande naufragio del vecchio mondo, gli apparve come un pericolo mortale per la umanità, che l'umanità intera dovesse rompere in uno sforzo solidale di difesa e di giustizia; e, pur oppresso da un grande dolore, volle, risolutamente, incrollabilmente, volle che l'Italia partecipasse a questa nuova guerra d'indipendenza per sé e per il mondo. La vita gli è mancata nell'ora triste del disastro dell'Isonzo. Non è giunto a superar quel dolore. Non vedrà l'alba del nuovo giorno. - Di chi è la colpa? dev'essersi domandato piu volte, sotto il peso della grande angoscia, in attesa del supremo viaggio. - Di chi è la colpa? - E la risposta deve essere stata quella di cinquant'anni or sono: - Non riduciamo a questione di partito una questione, che riguarda la nostra esistenza e il nostro avvenire, in un momento in cui ci troviamo a esperimentare cosi dolorosamente la incapacità, gli errori e la mancanza d'uomini in tutti i partiti. Vi è in Italia un gran colpevole: e quest'uno, siamo tutti noi. Si trova in guerra quel che si era preparato in pace. Questo popolo, che un bel giorno abbiamo inviato in trincea, rivelandogli che per la Patria, per la libertà, per la civiltà, ha il dovere di sopportare, non per un giorno, non per un mese, ma per anni, un inaudito martirio; - questo popolo si era mai sentito considerato, protetto, amato, nella patria nostra, come in una patria, che fosse anche la patria sua? Che cosa abbiamo fatto per renderlo partecipe, in giusta misura, di quella libertà, di quella civiltà, per cui oggi gli ingiungiamo di morire? A compiere oggi con anima eroica il suo dovere, l'avevamo forse preparato, adempiendo, prima noi, verso di lui, negli anni della lunga pace, i nostri, tanto piu agevoli e meno penosi, doveri? E se noi - classe dirigente - abbiamo sempre avuto, se finanche mentre infuria la tempesta, continuiamo ad avere un cosf debole sentimento della giustizia sociale e della solidarietà nazionale, abbiamo noi il diritto di pretendere dal nostro popolo quello che da tutti i popoli esige questa immensa guerra? - Per nostra immeritata fortuna, in cinquant'anni di unità nazionale e di progresso generale, il mondo ha camminato coi suoi piedi anche fra noi: la forza delle cose ha supplito in parte alla imprevidenza e all'egoismo degli 19 La guerra europea e l'Italia, p. 21. 79 Bibloteca Gino Bianco

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