Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

L'Italia vista dall'America nessun risultato soddisfacente. Il piu forte imporrebbe senza scrupoli la propria volontà al piu debole, e la lotta ricomincerebbe non appena si determinasse un nuovo equilibrio di forze non piu sfavorevole alla parte sopraffatta. Per risolvere problemi di questo genere senza aumentare la esaspera– zione degli odii locali e senza piantare semi di nuovi conflitti internazio– nali, non c'è che un metodo: l'arbitrato. Arbitri scelti dai Governi delle parti in conflitto fra "esperti," debbono tracciare una linea di frontiera fra le due nazioni che lasci il minimo numero possibile di minoranze fuori delle proprie organizzazioni nazionali, e che garantisca le n1igliori op– portunità alla vita economica giornaliera di tutte le popolazioni locali. Gli arbitri formulano anche le garanzie per la protezione delle minonranze contro la eventuale mala volontà delle maggioranze, e provvedono alla crea– zione dì- una forza armata neutrale capace di mantenere l'ordine nei terri– tori misti e imporre la decenza tanto alle maggioranze quanto alla minoranze finché tutti abbiano imparato a vivere come uomini e non come bestie. Questi problemi complicati e difficili non possono essere decisi con 1. " '" " " d. 1 b. . 1 1 11 D b un semp ice s1 o no 1 un p e 1sc1too co revo ver a a mano. e - bono essere esaminati e risolti da "tecnici" che non sono accecati dalle passioni locali o dai pregiudizi nazionali. Se si elimina il metodo dell'arbitrato nel trattare i problemi dei terri– tori nazionalmente misti, non rimane che un solo metodo: la sopraffazione, o l'associazione della sopraffazione colla frode nel plebiscito. Il gfodice della Corte Suprema degli Stati Uniti, R. H. J ackson, nel Saturday Review of Lùerature, 2 giugno 1945, ha messo in luce il fatto che se non si accetta l'arbitrato come mezzo per risolvere i problemi interna– zionali, il solo metodo che rimane disponibile è la guerra, cioè la bruta– lità selvaggia. Ecco le sue parole: Noi non possiamo stabilire il regno della legge in cooperazione col resto del mondo, se non siamo disposti ad accettare che quella legge possa talvolta anche operare contro quello che sarebbe il nostro interesse nazionale. Nei nostri affari interni noi ricorriamo alla procedura giudiziaria per decidere non solo le controversie individuali, ma anche quelle fra gli Stati della unione nordamericana. Non che i tribunali siano sempre infallibili nei loro giudizi. Ma le conseguenze delle sentenze sbagliate o ingiuste non sono mai tanto malefiche quanto sarebbe l'anarchia risultante dalla mancanza di un metodo attraverso cui si possa ottenere la decisione delle questioni. In mancanza di quel metodo ciascuno sarebbe costretto a farsi giustizia da sé. Nello stesso spirito di giustizia dobbiamo accettare i giudizi internazionali. Non che quei giudizi saranno sempre accetti a tutti, o sempre giusti, o sempre saggi. Ma la peggiore sentenza giudiziaria o arbitrale che metta fine a una disputa internazionale sarà sempre meno disastrosa per chi perde la causa, e certamente meno rovinosa per il mondo, che ogni altra soluzione che non sia quella ottenuta per le vie legali. Molti territori nazionali misti oggi in Europa aspettano la soluzione dei loro problemi. Uno di questi territori è quello che si trova fra l'Italia e la Jugoslavia in fondo all'Adriatico, quello che gli italiani chiamano "Venezia Giulia" e gli slavi "J ulska Kradina." 690 BibliotecaGinoBianco

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