Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

L'Italia vista dall'America Secondo la logica delle idee, il diritto di fare obiezioni a nuove no– mine vescovili e il diritto di chiedere la rimozione di funzionari ecclesia– stici politicamente inadatti, implicherebbero anche il diritto di chiedere la rimozione di un vescovo similmente inadatto. Ma noi rinunciamo a questa logica delle idee, e ci serviremo. soltanto della logica dei fatti che nell'opinio– ne di Don Sturzo "è anche piu forte della logica delle idee." I fatti dimostrano che sotto il regime fascista Mussolini richiese la rimozione di vescovi e che Pio XI, autore del Concordato, accettò quelle richieste. Almeno i casi di due vescovi sono abbastanza ben cono– sciuti perché crearono un certo subbuglio nella stampa del tempo. Il primo caso fu quello dell'Arcivescovo di Gorizia, F. B. Sedej. Nella primavera del 1931, i giornali fascisti condussero contro di lui una vivace campagna accusandolo di incoraggiare il clero slavo nella resistenza all'ita– lianizzazione. Essi domandarono che "un prelato italiano fosse messo a capo della Chiesa di Gorizia," e che nel seminario "il cui corpo insegnante era quasi totalmente slavo... fossero mandati professori da Roma." Soltanto cosI "sarebbe possibile cambiare la deplorevole condizione di inferiorità che la civiltà e la nazionalità italiana teneva in quella regione di frontiera." (Corrz·ere-della Sera, 7 aprile 1931, e Corriere Padano, 7 maggio 1931). L'Arcivescovo di Gorizia tenne fermo. Il 4 settembre inviò una circolare al clero ricordandogli il dovere di usare "la lingua materna o lin– guaggio dell'ambiente familiare" nell'impartire la istruzione religiosa. Poche settimane dopo l'Arcivescovo Sedej si dimise, e a prendere il suo posto, Pio XI scelse come amministratore apostolico un nazionalista italiano di origine istriana che prima si chiamava Sirotic, e ora si chiamava, italia– nizzando, Sirotti. La stampa fascista applaudI lo zelo con cui egli iniziò immediatamente la "italianizzazione" del clero slavo. Questo incidente fece una cos1 cattiva impressione che il giornale del Vaticano, Osservatore Romano, (17 dicembre 1931); dové spiegare che Sedej si era dimesso per ragioni di salute - difatti mori poco dopo - e che il 3 novembre aveva scritto una lettera in cui "offriva umilmente a Sua Santità i piu profondi e grati ringraziamenti" per aver cosI benevolmente acconsentito alla sua domanda di essere esonerato dal suo ufficio. Pochi giorni dopo la Kolnische Zeitung (23 dicembre) diede una versione diversa dell'affare e accusò l'Osservatore Romano di aver citato dalla lettera di Sedej soltanto le parole che convenivano a Sua Santità. Il Papa aveva inviato a Gorizia un Visitatore apostolico che aveva invitato Sedej a presentare le dimissioni volontariamente. Avendo ricevuto un rifiuto, il Visitatore, alla fine di settembre, comunicò all'arcivescovo l'ordine del Papa di dare le dimissioni immediatamente. Anche allora Sedej resi– stette e cedé soltanto quando gli fu promesso che sarebbe stato scelto come suo successore un prelato che avrebbe garantito e protetto i diritti e le libertà religiose del clero slavo e del popolo slavo. La promessa non fu mantenuta. Allora Sedej scrisse la lettera nella quale, dopo la for- 664 Biblioteca Gino Bianco

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