Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

Prigionieri di guerra " 1 ~nf " I "l d " . 1 ma e i ormato. ea ers europei avevano spesso scommesso su ca- vallo cattivo. "Non ripetano lo stesso errore con la casa Savoia." Gli spiriti cromwelliani e repubblicani non durarono piu di venti– quattro ore. Il 12 ottobre, per mezzo della Associated Press, il Conte Sforza reiterò che quel che importava era "l'unione di tutti gli italiani nella guerra contro la Germania." Egli "avrebbe appoggiato lealmente il maresciallo Badoglio fino a quando questi avesse posseduto la fiducia del Governo americano e del Governo inglese." Il suo zelo di cooperazione era diventato cosf fervido che aggiunse: "Fino a quando il Governo Ba– doglio fa guerra contro la Germania in pieno accordo con gli eserciti al– leati, io considererei un tradimento contro l'Italia fargli opposizione!" La stella polare era sempre la stessa: meritare la fiducia degli Alleati. Ora che la dichiarazione d'intenzione era diventata, come dicono qui, O.K., l'aeroplano poteva partire. Naturalmente il New York Times il 10 ottobre lodò altamente l'opi– nione di Sforza che chi avesse rifiutato di cooperare con Badoglio sarebbe stato un "traditore." Quella era "un'espressione di maturità politica che P,rometteva bene per un futuro regime democratico in un'Italia liberata." Oramai la parola "democratico" aveva assunto per l'Italia un significato nuo– vo. Significava uno che intendeva andare d'accordo col Governo ameri– cano e col Governo inglese ad ogni costo. Italia liberata significava Italia ubbidiente alle autorità anglo-americane. Dopo essere stato battezzato a Washington, il Conte Sforza volò a Londra dove fu cresimato da Churchill ed Eden. Da Londra volò ad Algeri dove comunicò con le autorità inglesi e americane. E da Algeri, provvisto di tutti i conforti della religione, arrivò nell'Italia meridionale il 18 ottobre. Quali impegni egli abbia assunto a Londra e ad Algeri, lui solo lo sa. Quando il documento del 26 settemb~e fu pubblicato in Italia da Badoglio, il Conte Sforza dette all' Associated Press un'intervista, che ap– parve nel giornale Italia Li.bera di Buenos Aires del 14 dicembre, ma ri– mase ignota a noi del Nord America. In quella intervista si legge: "Il giorno che partii mandai un messaggio (a chi?) negli stessi termini (quali? che il Re dovesse andarsene?). Ripetei queste considera– zioni (quali?) a Londra nelle conversazioni che ebbi con i signori Chur– chill e Eden." Non è arrischiato ritenere che continuò a promettere la sua coope– razione con Badoglio. Quanto al Re, è improbabile ch'egli abbia fatto prevedere un'attitudine d'intransigenza assoluta. I diplomatici come le don– ne oneste non dicono mai né sf né no. Dicono forst. Ma è assai probabile che egli sia stato ingannato dall'attitudine equivoca dei diplomatici di Washington. Sembra oramai chiaro che l'Italia, o per lo meno l'Italia meridionale, è diventata una sfera d'influenza inglese. Spetta perciò a Chur– chill prendere in quella sfera le decisioni finali. Lui ci tiene al Re. Gli americani non obiettano ma possono dire che del Re ad essi non im- 533 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=