Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

L'Italia vista dall'America scussione avrebbe reso impossibili quegli accordi. Questi sono i fatti su cui dobbiamo fondare i nostri giudizi e non le definizioni arbitrarie di quel– lo che è un'azione religiosa e di quello che è un'azione politica. Siccome noi vogliamo fare tutte le concessioni possibili a un avversa– rio simpatico come il de Corpel, noi gli concediamo che non si può non distinguere fra la tesi e la ipotesi, cioè fra il dovere di desiderare il bene e la necessità di scegliere il minore di due mali e perciò di tollerare con– dizioni di fatto inevitabili. È sulla base di questa distinzione che i cat– tolici giustificano certi opportunismi del Vaticano. Ma qui noi invochia– mo ancora una volta l'autorità di Don Sturzo, il quale ci insegna che bisogna distinguere fra la necessità di subire senza resistenza un male onde evitarne uno maggiore e la cooperazione attiva con un male seppur mino– re. La morale cristiana - quella morale cristiana che sembra star di casa fuori del Vaticano - proibisce assolutamente ed in ogni caso la coo– perazione al male, maggiore o minore che sia. Pio XI denunciò nell'en– ciclica Non abbiamo bisogno i principi anticristiani e immorali su .·cui si basa la concezione dello Stato fascista totalitario etico imperiale. Ma nella stessa enciclica autorizzò i cattolici italiani a prestare il giuramento fascista pur con delle restrizioni mentali. Non è colle restrizioni mentali care ai gesuiti che si difende la causa della morale, della giustizia e della verità. La Chiesa pretende di interpretare e dirigere la coscienza morale e la dignità spirituale dell'uomo. Quando un papa non sa offrire al male altra resistenza che le restrizioni mentali, bisogna ben dire che la sua fi– bra morale e quella dei suoi collaboratori nella alta gerarchia ecclesiastica è in processo di putrefazione. A ragione Don Sturzo ha sollevato il problema che oggi strazia la coscienza dei credenti e non dei papi: "Sino a qual punto ed in quale misura è oggi possibile per un cattolico di collaborare con uno Stato to– talitario? La collaborazione implica la libertà di essere in disaccordo e quin– di anche di ritirarsi. È ciò possibile ed a qual prezzo?" Per noi la risposta a questo quesito è chiara. Essa è "no," e lascia– mo ai casisti scaltriti di trovare scappatoie a furia di distinzioni proba– bili o piu probabili. La nostra risposta spiega perché noi non nutriamo nessuna fiducia nel Papa o nella politica del Vaticano. Anche quando l'azione del Vaticano possa apparire in disaccordo col fascismo e perciò su qualche punto parallela a quella della democrazia, noi ci guardiamo bene dal concepire anche tenui speranze di trovare in quel campo alleati su cui noi si possa contare. Il Papa può ben volere ed invocare la pace, può ben formulare non cinque ma cinquanta punti necessari per rimettere un po' d'ordine in questo mondo, può conferire a quattr'occhi col Re d'Italia e col genèrale Soddu, può continuare a celebrare con immagini poetiche "il ramo d'ulivo che fiorisce sulle rive del Tevere" grazie al gran– d'uomo che "regge il governo d'Italia e ai suoi ministri." A noi tutto ciò non fa né caldo né freddo, perché sappiamo che la pace che vuole il Papa non è e non può essere la pace che vogliamo noi. 10 BibliotecaGino Bianco

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