Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

L'Italia vista dall'America e cardi'nali, come per esempio quelli del cardinale Baggiani e, piu tardi, del cardinale Billot. 3. A proposito delle critiche di don Ernesto Vercesi: sarebbe bene che Salvemini e La Piana sapessero che egli, che fu sempre un mio caro amico, non fu mai iscritto al Partito popolare, verso il quale aveva mani– festato serie critiche nel 1919-1920 (insieme a vari altri, a Milano). Questi ultimi desi·deravano che io costituissi un partito "cattolico." I capi di que– sto movimento erano, a Milano, padre Gemelli e monsignor Olgiati (con l'on. Guido Miglioli dietro le quinte); a Firenze, Reggio d'Aci; a Roma i'l professore Vincenzo Del Giudice. Ma essi furono sconfitti al Con– gresso del partito tenutosi nel gz'ugno 1919 al Teatro Municipale di Bologna. Don Vercesi· non i'ntervenne al Congresso; credo che fosse all'e– stero e che non segui'sse da vicino il partito nelle dz'-fjicili fasi dei suoi primi· due anni di vita. 4. Il risentimento di' alcuni elementi milanesi contro di me e contro la direzione del partito raggiunse il culmine nel 1920, quando mi opposi alla coalz'zione ,tra i moderati e i clericali per le elezioni comunali'. Salve– mini e La Piana citano questo fatto in polemica contro di me; è invece una prova evidente· della mia tesi, che cioè 1.'lPartito popolare svolgeva una politica propria e autonoma. Essi sanno bene che prima della fonda– zione del Partito popolare le elezioni comunali e provinciali italiane, per quanto riguarda i gruppi conservatori, erano nelle mani delle curie ecclesiasti'che e dei raggruppamenti clericali da esse ispirati, in accordo coi liberali moderati; a Venezia la coalizione fu estesa anche a coloro che il sindaco Giordani chiamava sorridendo "i clericaletti del ghetto" ( non lo ripeto per antisemitismo; ho avuto molti otti'mi amici tra gli ebrei). Quando il Partito popolare decise di presentarsi alle elezioni con lista propn'a e senza allearsi con nessuno alle elezioni comunali e pro– vinéiali del 1920, fra tutti i' conservatori, cattolici e liberali, si sollevò un coro di proteste. I lz'berali erano i piu ostili. Secondo loro, io ero un rivoluzi'onari'o, un bolscevico, un demagogo. La direzione del Partito popolare tenne fermo, malgrado le pressioni dei gruppi clericali, salvo poche eccezioni. La piu importante fu quella di Torino (è superfluo qui· dire il perché). A Milano, ove mi trovavo di per– sona, tenni fermo contro chiunque. Il cardi'nal Ferrari ( di cui ero stato, per molti anni, l'amico devoto) era sul letto di morte. Il marchese Cornaggia, quelli' della Perseveranza, il mio amico conte E. Greppi, i·l collegio dei parro– ci, tutti inveirono contro di me. Senza la cooperazione dei popolari, i socialz'– sti avrebbero vinto. La cooperazione non fu consentita e i socialisti vinsero. Il merito o il demerito fu mio. I miei avversari dissero che avevo fatto morire di crepacuore il vecchio cardi'nale; che avevo tenuto quella linea di condotta per vendi'carmi del Corriere della Sera, ostile al Partito popolare; che stavo mandando l'ltalz'a alla rovina, e altre piacevolezze di questo genere. Per me la ragione era molto chiara: volevo staccare i cattolici dalla "consorteria lombarda" (Salvemini e La Piana conoscono il significato di que- . 512 BibliotecaGino Bianco

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