Gaetano Salvemini - L'Italia vista dall'America

La sorte dell'Italia lati piu immigranti di quanto sia attualmente permesso. Però si dovrebbe provvedere a che gli immigranti si stabilissero nei luoghi piu adatti al lavoro produttivo, e non si affollassero nelle città abbassando il livello di vita delle classi lavoratrici locali. A parte ciò, gli italiani debbono convincersi che il loro governo non può continuare ad organizzare gli italiani, dovunque essi vadano, in comunità segregate, sotto un clero separato, con scuole e giornali separati, in modo da costituire delle compatte minoranze nazionali, pron– te al richiamo di ambasciatori consoli o agenti segreti italiani, per ser– vire gli interessi della loro patria senza nessun riguardo per il benessere e per i diritt'i del paese che li ha ospitati. Questa non è piu una emigra– zione economica. È un inganno politico nocivo al paese ospitante. Fin– ché continueranno tali pratiche, non solo da parte di italiani, ·ma da parte di tutti i governi di paesi che hanno bisogno dell'emigrazione, non dovrebbero essere fatte concessioni.· Mussolini è riuscito ad aizzare larghi strati della popolazione italiana contro gli inglesi, facendo creder loro che 1~ Gran Bretagna voleva deru– barli del loro lavoro e del loro pane. Una promessa solenne, fatta dal governo inglese e da quello americano, di riformare le leggi sull'immi– grazione secondo princip1 piu umanitari otterrebbe un enorme favore fra le classi lavoratrici italiane, specialmente nel Mezzogiorno. Nel novembre 1942 un rappresentante della Federazione Americana del Lavoro pronunciò un discorso a New York, nel quale egli disse che "il mondo post-bellico a cui dobbiamo mirare non può essere basato sull'egoismo"; che noi dobbiamo "basare i nostri sforzi sul fatto ricono– sciuto che i pbpoli della terra sono dei vicini"; che "vi è la fratellanza umana"; che "la giustizia fra le nazioni non si creerà semplicemente battendo i gangsters o vincendo la guerra"; che noi "dobbiamo vincere nei cuori e negli spiriti degli uomini," provando che "la democrazia non solo è capace di vincere ma merita di vincere"; che "noi dobbiamo essere pronti a fare la nostra parte e ad assumere ·la nostra responsabilità nel costruire un mondo del dopoguerra su una solida base di onestà e di progresso"; che "i lavoratori non combattono per il benessere di una sola razza o di un solo popolo"; che "noi combattiamo per togliere la pa– rola verboten dagli occhi e dagli orecchi e dalle labbra e dalle· anime degli uomini di tutto il mondo"; che ""uomini e donne di ogni nazione hanno il diritto di lavorare e di avere un tenore di vita decente." Leggendo queste dichiarazioni altisonanti nel New York Herald Tribune del 22 no– vembre 1942, non potemmo fare a meno di ricordare1 che elementi della Federazione Americana del Lavoro sono stati all'avanguardia della lotta contro l'ammissione di operai stranieri ·nel. nostro paese e che essi non hanno mai mostrato che tale atteggiamento ·egoistico potesse essere mu– tato. Perciò ci siamo detti che era ridicolo parlare della fratellanza umana mentre si rifiutava spiet~tamente di permettere ai lavoratori dei paesi so- 335 Biblioteca Gino ·sianco

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