Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Il "Non Mollare" i miei interessi si sarebbero immediatamente :tccomodati. Naturalmente risposi loro come doveva rispondere una donna fedele alla memoria del marito assassinato. Se ne andarono dicendo che in questo modo tutte le P"rte sarebbero state chiuse per me e i miei affari sarebbero andati in malora. Seppi poi che il colonnello Lanari era statO' mandato dall'on. Delcroix. Giungemmo cosf a pochi giorni dal processo. Il 25 aprile [ 1927] mi recai dal mio avvocato. Mi avverci che era stato chiamato al fascio ed alla questura. Gli era stato detto che se mi fossi presentata al processo a Chieti, ci avrebbero ritirati i passaporti. Capii che non mi sarebbero inoltre state rispar– miate gravi violenze. Restando a casa, invece, entro 24 ore, avremmo avuti i passaporti e nessuno ci avrebbe molestato. Compresi che mi era impossibile recarmi al processo con l'avvocato. Mi lasciai prendere dallo scoraggiamento e deliberai di restarmene a casa. Mi posi a letto febbricitante e il dott. Bargellini rilasciò una dichiarazione che per cinque giorni non potevo muovermi dal letto. Saputa la decisione, ci vennero consegnati subito i passaporti. Anzi il questore mandò al mio letto il cav. Angiolucci per le pratiche necessarie, dichiarando che era a mia disposizione per tutto quello che mi occorreva. Risposi che non domandavo altro che il riconoscimento dei miei diritti. A Chieti, intanto, era cominciato il processo. Il 30 dello stesso mese di aprile mi giunse un avviso delle Assisi di Chieti col quale mi si intimava di presentarmi al processo. Seppi poi che questo avviso era stato stilato "pro forma" e che non doveva venire nelle mie mani; mi era stato recapitato da un funzionario che evidentemente non conosceva le disposizioni. A leggere l'avviso, mi sentii come una frustata sul viso. Non mi riusciva di man– giare e di dormire perché mi sembrava che se non fossi andata al processo avrei tra– dito la memoria di mio marito. Decisi senz'altro di partire. Saputo questo, il questore mandò agenti a casa mia e rinnovò personalmente le minacce all'avvocato perché rimanessi a casa. Andarono alle dieci di sera dai miei cognati ad insistere perché mi convincessero. Visto che tutto era inutile, ci avvertirono che ci avrebbero tolti i passaporti. Ma ormai ero decisa. E la notte del 2 maggio partimmo. Dopo quattordici, ore di viaggio arrivai a Chieti il 3 col mio ragazzo ed i cognati. Ero in condizioni pietose per l'agitazione e la stanchezza fisica. Le assisi brulicavano di fascisti in camicia nera. Dal presidente all'ultimo giurato tutti portavano il distintivo. Il pubblico nell'aula era composto esclusivamente di fascisti, la maggior parte venuti da Firenze. Il mio arrivo fece l'effetto di un fulmine a ciel sereno. Oramai era in tutti la convinzione che non mi sarei presentata. Dietro invito del presidente raccontai la terribile scena della notte del 3 ottobre. Alle diverse domande, risposi esattamente come avevo deposto a Firenze. Per un'ora dovetti sostenere con grande energia gli attacchi dei difensori, special– mente dell'on. Fera, che cercavano in tutti i modi di imbrogliarmi e di farmi perdere il filo del discorso. L'on. Fera mi domandò se l'Ermini lo avevo riconosciuto dalla bocca, o dal naso, o dal colore degli occhi, ecc. Risposi che lo avevo riconosciuto dalla faccia perché le persone si riconoscono dalla faccia. Esasperata poi, comprendendo il gioco dei difensori ed il contegno passivo del presidente, mi alzai gridando: "Voi profittate di una donna ammalata, commossa e senza avvocato. Voi profit- tate della vostra forza" - e feci l'atto di uscire... L' on. Pera, allora, rivolgendosi al presidente, esclamò: "Si, si, liquidiamola, liquidiamola." "Liquidatemi pure," replicai, "ma confermo tutto quello che ho deposto al Tribunale di Firenze. Se lo volete condannare, l'assassino eccolo H; se non volete condannare, ci sarà un Dio che farà di lui giustiziai" .... Tutti allora si misero a far baccano. Quando riusci a portare un po' di calma, il 491 Bibloteca Gino Bianco

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