Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Il ''Non Mollare" cinque mesi di prigione con la condizionale. I proprietari della villa hanno ritenuto prudente non costituirsi parte civile (Corriere della Sera, 9 marzo 1926). 20 marzo 1926. - Sette persone accusate di avere saccheggiato un negozio sono assolte, perché il proprietario del negozio ritiene prudente di non riconoscere in nessuno gli assalitori (Stampa, 21 marzo 1926). 17 giugno 1926. - Il direttore di Battaglie Fasciste e gli altri capi del fascio, che presero pubblicamente la responsabilità delle violenze commesse dal 26 al 29 settembre 1925, sono assolti. 30 giugno 1926. - Il fascista Gino Lecci è assolto dall'accusa di aver partecipato alle violenze del 4 ottobre 1925. 27 ottobre 1926. - Sei fascisti, accusati di violenze commesse a Badia a Ripoli, sono assolti per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove. 19 novembre 1926. - Otto fascisti sono assolti dall'assassinio di Bec- ciolini, per mancanza di prove; due soli sono condannati, non per assas– sinio, ma per "ferite gravi" (N azi·one, 20 novembre 1926). Becciolini non era stato ucciso, ma ferito gravemente; poi era morto di suo. Restano i processi Console e Pilati. Lasciamo parlare la moglie di Pilati. L'odio contro di noi ebbe poi modo di manifestarsi col portare a completa distru– zione l'azienda che con tanta fatica mio marito aveva a poco a poco creato. Un ostru– zionismo sordo, continuo ci impedi di salvare anche la minima parte. Ci venne negato qualunque lavoro, ci venne tolto il credito alle banche, si volle introdurre nella nostra amministrazione degli estranei di dubbia onestà. Vollero insomma la nostra rovina economica, e l'ottennero. E per un mutuo che avemmo da una banca al tasso di oltre 1'11 % con ipoteca sui terreni, fu sparsa in città, ad arte, la voce che il governo aveva elargito mezzo milione alla famiglia di Pilati, e che la famiglia aveva accettato. Dopo la deposizione fatta alle guardie la notte del 3 ottobre, il giorno 8 fui interrogata dai funzionari della polizia. Questi mi presentarono anche la fotografia del Castellani Dino, insistendo perché lo riconoscessi per uno degli sparatori. Dissero tra loro che avendo il Castellani diciannove omicidi sulla coscienza, poteva aver com– piuto anche questo. Io però dissi che dalla fotografia non mi sembrava, ed aggiunsi che era inutile si sforzassero a trovare i colpevoli. Ormai le autorità non contavano niente. Se non avessero obbedito agli ordini dei fascisti, le avrebbero prese. Era meglio smettere la indecente commedia. Il mandatario era troppo in alto per essere raggiunto dalla legge. (Intendevo alludere al console Tamburini, che era allora il "padrone di Firenze.") Il giorno 9 venne il giudice istruttore Gesmundo, con il cancelliere, e dopo le solite domande mi chiese se veramente Mussolini era stato amico di mio marito, per– ché, dissero, "Mussolini aveva patito tanto alla notizia della sua morte.,, Risposi che erano stati amici quando eran compagni di partito, e che se Mussolini avesse serbato per lui un certo affetto, non l'avrebbe fatto assassinare; perché indirettamente il respon- sabile era 1ui. Per alcuni giorni continuarono a venire a casa mia dei funzionari mostrandomi fotografie e vestiti perché li riconoscessi. E per tre mesi fui poi chiamata assai spesso in tribunale e messa a confronto con dei detenuti. Ma non riconobbi nessuno. Dopo le feste natalizie fui, alle Murate, messa a confronto con uno degli assassini. Lo stesso giudice Gesmundo mi assicurò che quello doveva essere stato uno degli sparatori: i 489 Bibloteca Gino Bianco

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