Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Il "Non Mollare" Dopo tre giorni di agonia straziante venne la morte. La questura ci impose di fare il funerale il giorno dopo, in forma riservatissima. Soltanto i familiari, in automobile chiusa, potevano seguire la salma. Il trasporto era stato fissato per le sei del pomeriggio; ma arrivò un contrordine e il misero corteo dovette muoversi con un'ora di anticipo. Si aveva paura che tutti quelli che avevano amato mio marito, manifestassero in qualche modo il loro dolore e il loro sdegno. Il carro funebre fece la strada fino al cimitero di Trespiano, trascinato al trotto e preceduto e seguito da autocarri pieni di carabinieri. Ciò nonostante molta gente era in attesa lungo la strada per porgere l'ultimo saluto. E tutto non finf qui. Per la morte del Luporini era stato imposto agli abitanti del nostro rione di San Salvi di tenere esposta la bandiera. Quando i fascisti seppero che mio marito era morto, imposero a tutti di ritirarla immediatamente. Temevano che potesse significare un segno di lutto per lui. La domenica mattina del 4 ottobre il Senesi stesso ebbe la sfacciataggine di lace– rare la corrispondenza che un postino aveva consegnato ad un mio impiegato. Il Senesi cercò anche di provocarlo. E questo fece sotto gli occhi del giudice Gesmundo, che era sul luogo per gli accertamenti di legge. La sera della medesima domenica il Senesi, con altri fascisti del rione, costrinse il nostro amministratore, Fanfani Ferdi– nando, ad entrare nel caffè del Serpieri, e con minacce e con violenza voleva fargli firmare una dichiarazione che si ritirava dalla nostra ditta. L'intervento della moglie lo salvò, ma dovette poi fuggire da Firenze e star lontano per diverso tempo, con grave danno dell'azienda, che in quei giorni piu che mai aveva bisogno della sua presenza. Un certo Dimone era stato invitato da mio marito per la domenica mattina nel suo ufficio per una questione di interessi. Saputa la notizia del ferimento, tornò al suo lavoro dal babbo del Senesi, che aveva alla Colonna il suo cantiere. - Come mai vieni a quest'ora? - gli chiese il Senesi. Il Dimone gli raccontò allora che era stato dal Pilati ed aveva saputo del feri– mento. - O che lo sai soltanto ora? - replicò il Senesi. - Io l'ho appreso da mio figlio quando è tornato stamani. Piu tardi si recò sul lavoro il fratello dello stesso assassino e vedendo il Dimone gli chiese ironicamente: - Come va, come va il tuo padroncino? Te l'hanno ferito gravemente sail Ma non aver paura, non la scampa. Era tanto che le doveva avere... Il giorno che mori mio marito, lo stesso Dimone incontrò l'assassino Senesi che, alla domanda dove si recasse, rispose: - Vado al Madonnone con i miei compagni a bere un bicchiere di vino alla salute di quel porco che è morto. E tutte le persone che ci capitavano in casa in quei giorni, ripetevano che dovun– que i fascisti Ermini, Carcacci e Senesi, si vantavano di avere ammazzato mio marito. Tanto erano sicuri dell'impunità. Per dare una idea di quelli che furono i fatti del 3 ottobre, voglio raccontare .ancora un episodio. Dopo la morte di mio marito, due persone amiche di famiglia si recarono all'o– spedale per visitare la salma. Dei fascisti armati le accompagnarono fin dinanzi alla camera mortuaria, la cui porta mezza fracassata non si poteva aprire. Dopo un quarto d'ora poterono entrare ed un orrendo spettacolo si presentò allora ai loro occhi. La camera mortuaria era sporca, brutta ed imbrattata piu di un porcile. Su una tavola giaceva la salma di mio marito coperta da un panno e vicini erano altri quattro cada– veri vestiti. Erano cadaveri di operai con gli abiti imbrattati di calcina. Quei quattro disgraziati dovevano essere stati assassinati nella stessa notte del 3 ottobre. Nessuno ne ha mai saputo niente, sicché gli uccisi dopo la morte del Luporini sarebbero stati sette. Ormai in Italia degli operai ritornanti dal lavoro possono essere uccisi senza che nulla risulti ufficialmente, nemmeno allo stato civile! 485 Bibloteca Gino Bianco

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