Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Il "Non Mollare" cam1c1a da notte sotto il letto della donna di servizio. Gli spararono addosso i loro revolvers, e via 1 Console mori senza poter dire parola. A Firenze in quei giorni si raccontò che Console, fatta quella telefo– nata di cui parla la sezione di accusa, abbandonò il ricevitore sul tavolo, e corse a nascondersi. Il ricevitore trasmetteva alla stazione della polizia ogni rumore e ogni parola. La sentenza della Sezione di accusa ci informa che la stessa squadra, che aveva ammazzato Console, ritornando alla sede centrale del fascio, si imbat– té con l'automobile della polizia, che accorreva a casa dell'assassinato. La sentenza non dice quel che avvenne allora, perché non avvenne nulla: la polizia andava a proteggere Console, e non aveva nessun obbligo di distrarsi con l'automobile dei fascisti. La sentenza ci informa inoltre che i capi della squadra, che aveva ucciso Console, venuti alla sede del fascio, parlarono con Tamburini, e rimessisi al lavoro andarono alla casa dell'ex deputato Targetti. Noi possia– mo aggiungere che Targetti non era in casa; c'erano i mobili, e pagarono essi per il loro proprietario. Un'altra squadra andò a casa di Gaetano Pilati. Qui possiamo lasciare la parola alla moglie di Pilati, una cui relazione fu pubblicata dal settima– nale antifascista Giusti·zz·a di Parigi, nel numero del 24 luglio 1927. L'assassinio di mio marito era da tempo preparato. Ho poi saputo dal caffettiere Pietro Serpieri, che ha bottega di faccia a casa mia, che durante il mese di settembre 1925 mio marito era stato continuamente pedinato da un giovane alto, snello, biondo: il Senesi. Il Senesi aveva avuto modo di assicurarsi della posizione della nostra camera da letto, che era al primo piano ed aveva la finestra che dava sulla strada. Mancava mezz'ora alla mezzanotte quando diverse persone, che hanno poi testi– moni~o al processo, videro fermarsi a circa 500 metri da casa nostra una automobile scura, con i fanali spenti. Ne scese un gruppo di una decina di individui. Uno rimase con la rivoltella in pugno a guardia del conducente, e gli altri vennero lungo l'Affrico, minacciando con le rivoltelle tutte le persone che incontravano, perché si allontanassero di corsa. Un fascista che abitava dinanzi a casa nostra, certo Bedini, quando vide che i malviventi salivano su una scala a piuoli appoggiata al nostro balcone, ne cap1 le intenzioni e, preso dal raccapriccio, imbracciò un fucile per sparare. I pianti e gli scongiuri delle sue donne gli impedirono di attuare questo atto eroico che ci avrebbe facilmente salvati, ed egli rimase inerte spettatore dell'orrendo delitto. Altri videro che dei fascisti si erano posti a guardia anche nel giardino dietro a casa nostra: in tutto gli assalitori dovevano essere una cinquantina. Quella sera mio marito era rincasato presto per pagare gli operai, e dopo cena, stanco di una giornata intensa di lavoro, si era subito coricato con me. Ci eravamo addormentati tanto profondamente che non sentimmo quello che accadeva nella strada. Ad un tratto fummo svegliati da un gran fracasso: accesi subito la luce. Davanti a noi era un uomo, basso tarchiato, con una faccia sinistra, il berretto sugli occhi; impugnava due rivoltelle che teneva puntate su di noi. Un secondo, entrato pure nella nostra camera, si avvicinò a mio marito e con voce minacciosa disse: - La si vesta e venga al fascio con noi. - Subito - rispose mio marito, e restando a sedere sul letto, con le gambe a terra sporse l'unico braccio salvato dalla guerra per staccare i pantaloni dall'attaccapanni ... 483 Bibloteca Gino Bianco

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