Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

11 "Non Mollare" assicura di avere attinto le sue informazioni, poco dopo gli eventi, presso amici del Bandinelli e di averne conservato chiara memoria. Integrando i fatti certi con qualche ipotesi ragionevole, si può arri– vare a conclusioni non arbitrarie, se non matematicamente sicure. Lupo– rini e Gambacciani, entrati in casa Bandinelli, intimarono a costui di se– guir li al fascio. L'altro, che era stato già bastonato, rifiutò. Alterco. Randel– late alla cieca. Un lampadario della luce elettrica si spegne. Sedie, mobili, tutto per aria. Intanto Becciolini scende dal piano superiore dove è andato a prendere il paltoncino per il figlio. Rimane sulla soglia di casa Bandinelli? Entra per ~ifendere l'amico? (Erano massoni tutt'e due.) Non sappiamo. Un colpo di revolver. Certo non è tirato da Becciolini. È piu naturale attri– buirlo a Gambacciani. Luporini cade ferito a morte. Bandinelli, approfit– tando dell'oscurità e confusione, esce dalla porta aperta (se non è uscito an– che prima dello sparo), infila la scala che porta al tetto, e qui fugge di casa in casa per una strada che ha studiata in previsione di una sorpresa fascista. Becciolini lo ha seguito, per mettersi anche lui al sicuro. Ma non conosce le vie, e si nasconde in un abbaino. Frattanto Gambacciani, e i due fascisti, che stavano sulla strada e sono saliti al rumore degli spari, fattasi luce, cercano Bandinelli per la casa minacciando la sorella perché dica dove il fratello si è nascosto. La donna tarda la risposta piu che può, e quando è sicura che il fratello ormai ha fatto in tempo a mettersi in salvo, nulla sapendo di Becciolini, dice che il fratello è fuggito per i tetti. I fascisti sal– gono, frugano, scoprono Becciolini nascosto in un abbaino. Attribuiscono a lui - non potendo attribuirlo alla pazza furia di Gambacciani - la uccisione del loro capo. E iniziano lo scempio del disgraziato. Una sentenza della sezione di accusa del 30 novembre 1926, ci fa sa– pere che, subito dopo la rappresaglia contro Becciolini, il console fascista, Tamburini, convocò alla sede del fascio gli ufficiali della milizia e li eccitò a "prendere l'iniziativa di serie rappresaglie": Le automobili, prima di partire per ogni nuova operazione, venivano alla sede del Fascio; i capisquadra entravano in una stanza, in cui altre persone non erano ammesse, e ne uscivano con pezzi di carta in mano, che, è da supporre, contenevano i nomi delle vittime. Chi stava a Firenze in quei giorni, attesta che le strade centrali della città furono sgombrate a colpi di manganello; i caffè chiusi, i teatri invasi, le rappresentazioni sospese. Gli studi di tredici avvocati e di un ragioniere, una sartoria e sette botteghe furono messi a sacco nel centro di Firenze; i mobili gettati nelle strade e dati al fuoco: dalle colline intorno a Firenze si vedevano levarsi colonne di fumo. Questo a poca distanza dalla prefettura, dalla questura e dal comando dei carabinieri. I tutori dell'ordine brillarono sempre per la loro assenza. Poi venne il turno delle abitazioni private. In Via Giusti, una squadra, non potendo sfondare il portone di casa Rosselli, si sfogò con una tempesta 481 Bibloteca Gino Bianco

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