Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Scritti vari Unico testin1one era il tipografo-spia. Ma costui non poteva testimo– niare perché era sotto processo per conto proprio, come stampatore del foglio clandestino. In attesa che fosse esaurito questo processo, il tribunale dové rinviare quello contro Ernesto e me, ed accordarmi la libertà provvisoria. Parecchi miei amici si erano dati convegno da diverse parti d'Italia al processo per fare atto di pubblica solidarietà con me. Alla uscita dal tribunale, in Piazza San Firenze, furono aggrediti da una massa di fascisti mobilitati a quello scopo. Alcuni si rifugiarono in un ufficio di copisteria e in un negozio di ven– ditore di uccelli: addio macchine da scrivere e addio uccelli! Raffaele Ros– setti, l'affondatore della "Viribus Unitis," fu dichiarato all'ospedale di Santa Maria Nuova guaribile in 20 giorni. L'avv. Nino Levi, venuto da Mi– lano a difendermi, ebbe una mano storpiata in permanenza. Il deputato Gonzales, venuto anche lui da Milano, ne ebbe per 6 giorni. Alessandro Levi, della Università di Firenze, per 8 giorni. Giovanni Ansaldo, allora ,. antifascista coi fiocchi, e redattore capo del Lavoro di Genova, si godé la sua parte. Il corrispondente del Manchester Guardian, Sprigge, che cercava di prendere istantanee delle scene, ricevé una bastonata sulla testa e un'altra sulla macchina. Giovanni Calò, mio collega all'Università, che era venuto a stringermi la mano mentre ero nella gabbia degli accusati, ci rimise gli occhiali. Umberto Zanotti-Bianco, che era venuto a Firenze come testimone nel processo, ma non aveva assistito alla scenata, portò al telegrafo un messaggio per dire a Raffaele Rossetti che era "addolorato non aver potuto condividere onore vili percosse." Il telegramma fu illegalmente comunicato al fascio di Firenze dal funzionario che lo ricevette. Una banda si mise in cerca del delinquente. Siccome il nome della pensione, in cui Zanotti alloggiava, e che egli aveva dato nel telegramma come suo indirizzo, era illeggibile, la banda andò da una pensione all'altra, bastonando i proprietari che si rifiutavano di consegnare il registro degli ospiti. Quando arrivarono alla pensione buona, ruppero l'apparecchio telefonico per isolare la casa, e si misero alla ricerca del nemico; ma questi era già partito, e non poté condividere l'onore a cui aspirava.• L'altro mio avvocato, Ferruccio Marchetti, alcuni giorni dopo, a Siena, fu colpito alla testa in modo tale, che qualche tempo dopo ne morf. Io fui salvato dall'ufficiale dei carabinieri, che mi aveva in custodia, e che, vista la mala parata, mi chiuse in un sotterraneo del palazzo di giustizia, con quattro carabinieri a guardia. Dopo alcune ore, rientrata la calma, fui caricato su un camion e ricondotto alle Murate. Verso la mezzanotte, fui messo in una carrozza, un angelo custode a cassetta, un altro alla mia destra, un altro a sinistra, e due di fronte. Mi dissero che mi portavano a casa. Quando arrivammo alla fine di via Giosuè 8 Cfr. U. ZANOTTI BIANCO, Proteste civili, Tivoli, Aldo Chicca, 1954, pp. 43-48. 476 Bibloteca Gino Bianco

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