Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Scritti vari poter parlare con maggior disinvoltura, perché il libro tratta non della filosofia di Croce in genere, ma solo della sua filosofia politica. Qui tu dici, mi trovo a mio agio, perché posso fare la prova all'inverso, vedere come si è comportato Croce nella sua carriera politica, e se si trova che si è comportato male, questo basta per giudicarne negativa– mente anche la filosofia. Uhm, ti pare che questo sia un metodo sano? Ti prego di rifarti con la memoria ai tuoi lunghi anni d'insegnamento. È proprio certo che hai applicato questo metodo nei casi analoghi? Quale giudizio dovremmo dare degli scritti di Gioberti, che tante corbel-– lerie fece nella carriera politica; quale di Bacone? Ma che dico? Quale giudizio dovremmo dare di Machiavelli, uno "specialista" delle dottrine politiche, un fallito dell'azione poli– tica? Aristotele ebbe per discepolo Alessandro, un paranoico, il quale si regolò nella breve vita all'inverso dei dettami della dialettica aristotelica. Dobbiamo allora giudicare, per questo cattivo successo pedagogico, la grandiosa costruzione della filosofia aristote– lica un castello di carte? Lo stesso dicasi di Seneca nei riguardi di Nerone. Tu fai questa domanda: "Amerei sapere se la filosofia politica e l'attività politica di Croce dipendono l'una dall'altra, oppure diventano due rette che non s'incontrano mai." A questo quesito risponde Byron: "L'albero della scienza non è mai stato l'albero della vita." Non si tratta piu del caso Croce, ma di ciascun essere umano; si tratta -– anche del caso tuo. Senza bisogno di essere tutti filosofi (Dio guardi), ciascuno di noi fa i propri progetti, i programmi di vita. Quanti se ne attuano; quanti si mutano al cozzo della realtà; quanti cadono nel nulla? E perché il solo Croce dovrebbe essere chiamato a rendere conto delle parallele e delle convergenti? È doveroso altres1 ricor– dare che quello di Croce è l'uno dei due soli nomi di filosofi di prima grandezza (l'altro è quello di Bergson) i quali abbiano brillato nella prima metà di questo secolo. Questo non deve indurre a timore reverenziale; ma neanche a sconveniente oblio. In punto di fatto, e con piena libertà di tutti - compreso chi ti scrive - di giudicare in sede politica la carriera di Croce nelle sue linee generali e negli atti parti– colari, a tale libertà deve corrispondere un veritiero ed onesto riconoscimento della purità delle intenzioni. Sarebbe palese ingiustizia asserire che Croce, nell'esprimere il suo pensiero sugli avvenimenti politici, nel contribuire con la parola o col voto a certe risoluzioni, in parlamento o nei consigli della sua parte, sia stato mosso da reconditi interessi personali. Ora, nella lista dei diciassette episodi incriminabili della vita politica di Croce, che includi nella suddetta recensione, non si capisce in primo luogo come possano essere motivo di rimprovero o di accusa cosf., in sé e per sé, avulsi dai complessi avvenimenti della nostra storia contemporanea, ai quali sono legati, ed ai pensieri e sentimenti del popolo italiano, a cui apparteneva il cittadino Croce; e non si capisce inoltre se e in qual caso e per quale ragione ci sia da rimproverare errore o condannare malafede. Perdona, caro Salvemini, il franco parlare, ma quell'elenco cosi concepito dà l'impressione di avventatezza. Anche certi particolari tradiscono la sommaria informa– zione. Considero un puro lapsus calami l'indicazione di Arturo Labriola quale maestro a Croce di marxismo. Fu altro e ben altro Labriola: Antonio Labriola. Ma sono notizie errate o imprecise: che Croce si sia "associato" con Salandra e Sonnino per la fonda– zione del Giornale d'Italia, e che in genere abbia avuto rapporti di colleganza politica con essi; che sia stato "collaboratore" della rivista Politica; che il 24 ottobre 1922, alla inaugurazione del congresso fascista di Napoli, abbia "applaudito," "sul palcoscenico," Mussolini; che abbia "consigliato gl'insegnanti universitari italiani" a prestare il giura– mento di fedeltà al regime fascista, imposto nel 1931; che abbia "approvato" la guerra di Abissinia e quasi approvato la guerra del 1940; che abbia avvalorato una qualsiasi dichiarazione di Bonomi. Senza dilungarmi oltre misura e abusare della ospitalità della rivista, vorrei chiu– dere con un ricordo di fatto vero e preciso. Per fuggire la oppressione di un regime dittatoriale un certo numero di italiani abbandonò la propria terra, e s'incamminò per la tormentosa via dell'esilio. Ci fu un'altra categoria di italiani egualmente insofferenti di tirannia, i quali, per ragioni subiettive, od obiettive, di necessità, non varcarono la fron– tiera. Ad essi spettò la funzione di esuli in patria. 444 BiblotecaGino Bianco

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