Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Scritti vari per dissidi internecini nella oligarchia che detiene le leve del comando; potete avere correnti clandestine che tengano viva una o piu opposizioni ideo– logiche; non potete avere né opposizione pubblica, né cambiamenti legali, né movimenti rivoluzionari vittoriosi. Erano parole al vento. "Mit uns ..." concludevano i tedeschi ogni discus– sione, e con quelle due parole ci volevano dire che in Germania, paese civile, il fascismo non sarebbe stato possibile. I francesi pensavano allo stesso modo, e dicevano: '' Chez nous ..." E gli inglesi e gli americani del Nord: "lt cannot happen here." Finanche gli spagnoli, dopo che si furono sbaraz– zati di Alfonso XIII, ci tolsero la consolazione di pensare con Gioacchino Rossini che noi italiani non eravamo gli ultimi nella scala della civiltà. I soli che non ci guardassero proprio dall'alto in basso, erano i sud-americani, per– ché a casa loro le dittature erano endemiche da un pezzo; ma ci spiegavano che le loro erano dittature piuttosto all'antica, dominate da militari crapu– loni e pasticcioni, i cui agenti non penetravano fino nei minimi capillari della vita anche privata, come noi dicevamo che avvenisse in Italia. Giudi– cavano, perciò, che la dittatura fascista era assai peggiore di quelle che usa– vano nei loro paesi, ma anche essi, in fondo, concludevano che il popolo italiano era meno civile dei popoli che abitavano nell'America meridionale e aveva il governo che si meritava. La dittatura di Dollfuss in Austria, quella di Hitler in Germania, il formarsi di movimenti fascisti in Francia, in Belgio, in Olanda, in Norvegia, la vittoria di Franco e del cardinal Segura in Spagna, l'emergere di uonìini come Pétain e Laval in Francia dimostrarono durante il secondo decennio posteriore alla Marcia su Roma che la malattia fascista non era una specia– lità italiana. Ma gli italiani avevano preceduto gli altri nell'Europa occiden– tale in quella malattia, e ne erano considerati responsabili non solo per sé ma anche per averne dato l'esempio agli altri. Eppoi quella malattia sem– brava inguaribile per gli italiani, perché questi se la tenevano da tanti anni, mentre per gli altri che erano venuti dopo si poteva sperare che fosse piu breve, dato che mancava ancora per essi la esperienza di una cos1 lunga durata. Cosf anche dal confronto con chi era venuto dopo, il popolo italiano . . c1 scapitava. Continuamente ci domandavano: "Insomma voi che cosa sperate?" A quella domanda noi rispondevamo che né i nostri amici rimasti in Italia né noi all'estero speravamo successi immediati; intendevamo solamente sal– vare le nostre anime, conservare il rispetto di noi stessi e affermare la fede che il popolo italiano avrebbe superato quella fase dolorosa della sua storia; quando e come questo sarebbe avvenuto, non sapevamo; nessun sapeva che cosa si nascondesse sotto il velame del futuro; nove volte su dieci quel che avviene è quel che nessuno si aspetta; le idee hanno piedi invisibili con cui camminano lontano, hanno mani invisibili che ghermiscono le anime per vie insospettate; noi all'estero, e i nostri amici in Italia, intendevamo con– servare ininterrotta una tradizione di pensiero per i giovani che soprav– venivano; avrebbero fatto essi quello che noi non avevamo saputo fare. 432 BiblotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=