Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

I manutengoli del fascismo esprimere un pensiero non mutilato. (Si veda l'estratto del diario di Albertini nel libro del fratello Alberto, pp. 179-181.) Si mise contro gli eredi dei "novantottisti," ora, come si era già messo nel 1914-15 e nel 1918-19. Fu manutengolismo questo? Se facciamo di tut– t'erba un fascio, ci impediremo di comprendere il passato, e orientarci al presente. Anche verso la memoria di Salandra bisogna essere giusti. Sta il fatto che "fiancheggiò" il movimento fascista fino all'assassinio Matteotti, anzi nella primavera del 1924 si dichiarò "fascista onorario," ma condannò pub– blicamente il colpo di Stato del gennaio 1925, e in quella condanna fu lasciato in asso da quasi tutti i suoi seguaci, i quali rimasero fedeli a Mus– solini (come probabilmente avrebbe fatto Sonnino, se non fosse morto due anni prima). La condanna del fascismo pronunciata nel gennaio 1925, non sopprime né il manutengolismo salandriano degli anni precedenti né il fatto della nomina a senatore conferita da Mussolini a Salandra dopo il gennaio 1925 e da Salandra accettata. Ma quella condanna non deve essere ignorata da chi vuole spogliarsi da ogni passione personale, come la cooperazione data da Giolitti a Mussolini dalla Marcia su Roma all'assassinio di Matteotti non deve fare cadere in obl10 la opposizione di Giolitti a Mussolini dopo l'assas- sinio di Matteotti. XII. Sulla resistenza opposta da Albertini alle violenze e minacce ufficiali e ufficiose dei fascisti, fino a quando fu estromesso dal giornale, Cajumi, beato lui, non ha mai sentito parlare. In quella lotta, durata giorno per giorno, per tre anni, Luigi Albertini - per quanti errori abbia potuto com– mettere durante la prin1a fase fascista (sbaglia il prete a dire la messa) - onorò il nome italiano. Negli ultimi mesi del 1925, io seguivo da Londra la resistenza ineguale opposta da quell'uomo disarmato a un bruto e agli scherani di quel bruto, che lo minacciavano, sicuri dell'impunità. Non essendo giornalista di mestie– re, non ero mosso da nessuna solidarietà professionale. Ma se non ero gior– nalista, ero uomo - un uomo del secolo XIX, e non uno del secolo XX - e come uomo, fui allora fiero di appartenere allo stesso paese, a cui Luigi Albertini apparteneva. È questa la ragione per cui mi sento in dovere di ristabilire la verità sul- la memoria di quell'uomo. Al quale non mi legò mai affinità di idee poli– tiche. Mi legò la ripugnanza comune contro la prepotenza e la volgarità. Mi legò il rispetto per certi valori morali, che debbono prevalere sui dissidi politici, se l'umanità deve consistere di esseri civili e non di selvaggi. Con questo io rivendico anche il passato di tutti coloro, che furono, come me, interventisti nel 1914-15, e poi si opposero alle adulterazioni che i nazionalisti perpetravano su quelle che avrebbero dovuto essere le ragioni dell'intervento, e poi cercarono di evitare che sorgesse e si consolidasse il mito della "vit– toria mutilata," e poi furono antifascisti. 421 Bibloteca Gino Bianco

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