Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

S cri ttz· vari e lasciarono che le autorità militari, la polizia ed i giudici continuassero nella via intrapresa sotto Giolitti. Quanto a Salandra e Sonnino, è assai probabile che si illudessero di poter contare sui fascisti per '' tornare allo statuto" - finalmente! E Albertini? Questi, per venti anni, aveva invocato un governo "forte" che tenesse a posto la "piazza." Nel 1919 e 1920 aveva creduto veder arri– vare la fine del mondo in un movimento socialista, che sembrava formida– bile ed era invece senza capo né coda. Sperò di trovare ora nei fascisti i "restauratori dell'ordine" per tanti anni invocato? Certo, fino all'ottobre 1922, non condannò il movimento fascista con quella nettezza che io desidererei per mettere meglio nel sacco Cajumi. Ma due fatti non è lecito ignorare: 1) fedele a quella, che fu la costante del suo pensiero politico, Albertini intendeva che l'ordine - l'ordine di un conservatore, cioè la sicurezza delle classi benestanti, sempre padrone delle redini - fosse imposto a visiera alzata da un governo, che sapesse e volesse , farsi obbedire, e non da bande extralegali alle quali il governo abbandonasse le redini sul collo; e 2) pur riconoscendo nel movimento fascista un meno peggio, il Corriere della Sera non adottò mai la tattica feroce del sonniniano e salandrino Giornale d'Italia, che incitò metodicamente alla guerra civile; il Corriere deplorò spesso gli eccessi dei fascisti, e domandò sempre che le autorità governative uscissero dall'inerzia ufficiale e mantenessero energica– mente l'ordine contro chiunque. Si attenne sempre Albertini a questa linea di condotta? Chi non è avvocato di ufficio, non può rispondere affermativamente a questa domanda. Io ricordo ancora lo scandalo, che provai, quando lessi sul Corriere la cronaca della scalata data dai nazionalisti e fascisti all'ammini– strazione comunale socialista di Milano nell'agosto del 1922. Tutti i torti at– tribuiti ai socialisti, e tutte le attenuanti concesse agli assalitori. Eppure quelli erano stati favoriti sotto mano dal prefetto e dalla polizia, come al tempo di Giolitti nell'anteguerra avveniva nei borghi putridi dell'Italia meridio– nale. Albertini si lasciò prendere la mano dalla ostilità antisocialista e dal municipalismo milanese di donna Paola Travasa 5 : quandoque bonus dor– mitat Homerus; ma la vittoria dei fascisti oramai era diventata inevitabile, non certo per sua libera scelta. Inoltre non si deve dimenticare - se si vuol dare ad ognuno il suo - che in quegli anni, anche molte persone tutt'altro che disposte a fare da manutengole ai fascisti, erano disgustate dagli scioperi capricciosi e disordi– nati e dalle sporadiche prepotenze e brutalità a cui si abbandonavano i socialisti, come si dicevano allora, massimalisti. Questi, guidati da dottrinari come Serrati, che aspettavano la imminente "crisi della società capitalista,,, o da teste vuote come Lazzari, o da facinorosi come Bucco e Bombacci (passati poi al fascismo), fecero tutto il possibile per esasperare l'universo in- 5 La marchesa Paola Travasa, celebre personaggio della poesia milanese di Carlo Porta, La nomina del cappellan. [N.d.C.] 418 Bibloteca Gino Bianco

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