Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Scritti vari zione." Chi ricorre a siffatto metodo ne accetta tutte le responsabilità in1me– diate e storiche. Umberto I ne seppe qualcosa: ci rimise la pelle. Il caso del fascismo, nel 1920-21, fu assai diverso. Questo fu un movimento uffi– cialmente estraneo al regime politico giolittiano, anzi pretendeva di fare una "rivoluzione" contro quel regime; Giolitti non assunse mai nessun~ responsabilità per le spedizioni punitive, armate dalle autorità militari, c. fatte sicure della impunità dalla polizia e dalla magistratura, oltre che sala– riate dagli agrari e dagli industriali. Che al movimento fascista abbiano contribuito i discendenti dei "novan– tottisti," non c'è dubbio. Ma c'era in quel movimento fascista qualcosa che lo faceva differire essenzialmente dal novantottismo. Ed era "l'illegalismo autorizzato" da governanti disonesti, che avrebbero dovuto reprimerlo, e invece lo promossero. Gobetti disse giustamente che il fascismo fu la mala– vita dei mazzieri giolittiani estesa dall'Italia meridionale dell'anteguerra a tutta l'Italia del dopoguerra. Non c'erano legalmente né stati d'assedio né ~ tribunali militari. Ogni banda istituiva di fatto lo stato d'assedio nella propria giurisdizione, e procedeva a giudizi sommari. Le autorità regolari non intervenivano in quelle faccende locali che per mettere al fresco chi resi– stesse o accennasse a resistere ai voleri delle bande ufficiosamente autorizzate. Piu manutengoli di COSI si muore. III. Oltre a confondere "fascismo" con "reazione," Cajumi mette nel calderone "novantottista" milanese anche Luigi Albertini. Se leggerà la Vita di Luigi Albertini scritta dal fratello Alberto (Roma, Mondadori, 1945, pp. 64-69) e il primo volume dei Venti anni di vi·ta politica dello stesso Luigi Albertini (Bologna, Zanichelli, 1950, pp. 6 sgg.), si persuaderà che Alber– tini non approvò gli spropositi inintelligenti che i "novantottisti" andarono moltiplicando per paura e per calcolo. Non essendo cuoco cos1 stupido come coloro di cui era allora, come si direbbe oggi, compagno di viaggio, Albertini avrebbe voluto cuocere la lepre "sovversiva" in una salsa piu adatta. In quale salsa? Sonnino e Salandra, "novantottisti" per la pelle, volevano, come aveva scritto Sonnino nel 1897, "ritornare allo Statuto." Volevano, cioè, non una monarchia parlamentare all'inglese, ma una monarchia costituzionale alla prussiana: la Camera dei deputati doveva avere il solo ufficio di accettare o respingere i bilanci e i progetti di legge, mentre il re doveva scegliere il primo ministro secondo il suo criterio, dentro o fuori la maggioranza parla– mentare, mandando a casa i deputati e facendo nuove elezioni, qualora essi rifiutassero di votare i bilanci e le leggi che il primo ministro dichiarasse necessarie; beninteso che i bilanci in corso rimanevano sempre validi. In Ita– lia, quella di Sonnino e Salandra, era una fantasia campata in aria, dato che qui non esisteva alle spalle del sovrano, come in Prussia e in Germania, un gruppo feudale (quello degli Junker) organizzato in un esercito che vantava i trionfi di Sadowa e di Sedan. Alle spalle del re d'Italia non c'erano che 414 Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=