Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Albertini 1914-15 "fatalità storica" originaria. Nelle cose grandi, come nelle piccole, gli uo– mini raramente possono fare tutto quello che vogliono; ma debbono affron– tare situazioni imprevedute scegliendo il male minore. Moltke spiega nelle sue memorie che un capo militare (e si può dire lo stesso per i capi politici) non ha mai innanzi a sé una situazione che non presenti nessuna incognita e nessun pericolo: deve fare un calcolo sommario, e naturalmente intelligente, di tutti i fattori positivi e negativi che si com– plicano nella situazione messagli innanzi, e poi deve agire sfruttando al massimo i vantaggi e riducendo per quanto gli è possibile gli elementi passivi. A conti fatti, nel maggio 1915 Salandra e Sonnino fecero un calcolo analogo a quello di Moltke e adottarono quella soluzione che in quel mo– mento era la sola praticabile. Del resto la Russia non "cedé le armi" nel maggio 1915; ma continuò a tenere impegnate molte forze austriache e germaniche fino all'estate del 1917. Avesse ceduto le armi nel maggio 1915, l'esercito italiano si sarebbe trovato a mal partito assai prima dell'offensiva del Trentino e poi di quella a Caporetto. Gli errori di Salandra e Sonnino, errori enormi, precedettero e segui– rono quel maggio, durante il quale non avrebbero potuto agire diversamente. Quanto a Giolitti, rimane un mistero quel che avrebbe fatto, se fosse succe– duto a Salandra in quel momento: un mistero non solo per noi, ma anche per lui stesso. Ho voluto chiarire questo punto meglio che non abbia forse fatto nel– l'articolo che ha dato occasione alla lettera dell'avvocato Sironi. Ma questi ha portato, nell'esame del problema storico da me trattato, un non trascu– rabile elemento positivo, del quale dobbiamo tutti essergli grati. Già che tengo la penna in mano, l'avvocato Sironi mi permetta di fargli osservare che nel maggio 1915, nonostante la disfatta di Gorlice, nessuno davvero si aspettava la fine dello zarismo. Ancora nel 1917, un uomo di in– gegno eccezionale come Scialoja, 8 reduce da una visita a Pietroburgo, annun– ziò che là le cose andavano come meglio non sarebbe stato possibile desi– derare: il giorno dopo, proprio il giorno dopo, sapemmo che ~I regime zari– sta era caduto. Vedi giudizio uman come spess'erra. G. S. Signor direttore, Gaetano Salvemini, nel Mondo del 9 febbraio 1952, afferma che "nessuno che abbia la testa sulle spalle, ha osato mai francamente osservare che l'Italia avrebbe dovuto intervenire a fianco degli Imperi centrali." A me pareva che la fazione nazionalistica, rappresentata da Luigi Federzoni, da Enrico Corradini e da Vincenzo Morello ("Rastignac "), avesse in un primo tempo <limo· strato propensione verso l'intervento nella guerra a fianco degli Imperi centrali, e che solo quando ebbero constatato che .prevaleva nel paese (nei limiti in cui, secondo i rilievi del Salvemini, sia possibile questa affermazione) quegli zelanti fascisti si sarebbero messi a seguire la tesi dell'intervento a fianco dell'Intesa, e cioè contro l'Austria-Ungheria e la Germania. 8 Il senatore Vittorio Scialoja (1856-1933), ministro senza portafoglio nel gabinetto Bosel– li. [N.d.C.] 411 Bibloteca Gino Bianco

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