Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Albertini 1914-15 egli previde e avrebbe voluto evitare, vennero al pettine, nelle trattative di pace. Il risultato di quelle difficoltà fu che le ambizioni dalmatiche caddero, non per ponderata e saggia volontà del popolo italiano (o di quella parte di esso che contava) ma per cieca impotenza innanzi ad una sconfitta diplo– matica clamorosa. E su quel fallimento germogliò il mito della "vittoria mu– tilata." Quegli stessi uomini politici che avevano trascinato l'Italia nel con– flitto, quegli stessi giornali che avevano attizzato le fiamme della guerra, si dettero a lamentare, quasi tutti, ora, su tutti i toni, che il sangue italiano era stato sparso invano, dato che i "perfidi alleati" avevano negato all'Italia Fiume e la Dalmazia. (Negavano anche l'Asia Minore, l'Etiopia e chi sa cos'altro ancora, ma il popolo italiano non sentiva questi problemi, mentre quello della Dalmazia era stato agitato continuamente durante la guerra.) Al popolo era stato promesso che questa sarebbe stata l'ultima guerra, "la guerra per finire le guerre," e la pace sarebbe stata assicurata ai loro figli e ai figli dei loro figli; ed ecco che, dopo tre anni e mezzo di terribili soffe– renze, gli si diceva che "aveva vinto la guerra, ma aveva perduto la pace," e che doveva prepararsi a prendersi con un'altra guerra la rivincita delle ingiustizie che avevano reso inutile la guerra appena finita. In queste condi– zioni era naturale che gli uomini politici e i giornali, i quali si erano opposti all'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, si vantassero ora di aver avuto ra– gione essi nel voler risparmiare al popolo italiano una guerra, da cui non doveva ritrarre nessun profitto. ESSI avevano previsto il "tradimento" dei "perfidi" alleati. Era stato per questa ragione che ESSI si erano opposti nel 1915 all'entrata in guerra dell'Italia a fianco di quegli alleati. Tutti coloro che erano stati favorevoli alla guerra furono tenuti responsabili del "disastro diplomatico" in cui il paese era stato travolto. Era venuto il momento in cui dovevano rispondere del loro delitto. Neppure il governo francese riuscf nella Conferenza della Pace ad otte– nere tutto ciò che voleva: né il distacco dalla Germania della riva sinistra del Reno, né l'annessione della Saar, né lo smembramento della Germania. Ciò nonostante il popolo francese non attraversò una crisi di disperazione come quella che fece perdere completamente la testa a tanti italiani. Poincaré, Cle– menceau e Foch non andarono in giro per le piazze a strepitare che la Fran– cia era stata derubata della vittoria, che la Francia era rovinata, che la Fran– cia doveva prepararsi a far guerra ai suoi alleati di ieri, per impossessarsi di quanto costoro le avevano rifiutato. Che cosa sarebbe accaduto in Francia, se quasi tutti i giornali, i deputati e i ministri e in prima linea quelli che si erano assunti la responsabilità dell'entrata in guerra, avessero intrapreso una campagna di recriminazioni come quella a cui si abbandonarono in Ita– lia i seguaci di Orlando e Sonnino, e gli agenti dello stato maggiore del– l'esercito e della marina, e la stampa, e gli uomini politici di quasi tutti i partiti? I soldati francesi sarebbero ritornati tranquillamente alle loro case, oppure avrebbero massacrato quei ministri, deputati, giornalisti e professori, che avevano provocato la guerra ed ora annunciavano che "gli interessi vitali della nazione" erano andati in rovina per via della guerra? 407 Bibloteca Gino Bianco

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