Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

Scritti t1 ari rifiutare le dimissioni del ministero Salandra (pp. 547-8); che "la solleva– zione dell'opinione pubblica" salvò il ministero Salandra dalle manovre di Giolitti (p. 550). Questi sono modi di dire ereditati da una tradizione letteraria, nella quale le parole astratte ed equivoche ("paese" "nazione" "opinione pub– blica" e simili) tenevano, e tengono tuttora, il posto dei termini ben defi– niti e non soggetti ad equivoci. Ma si tratta di rarissime distrazioni verbali. Ogni pagina di Albertini ci fa onestamente sapere, senza possibilità di equivoci, che "la classe dirigente italiana era germanofìla e neutralista"; e per "classe dirigente" si devono intendere "cosf l'aristocrazia come la generazione in carica dei diplomatici, dei capi militari, dei professori di università, degli uomini politici di parte moderata, degli uomini di finanza, degli industriali, dei dirigenti, insomma, largamente rappresentati nel Se– nato." "Germanofili e triplicisti si compenetravano e confondevano negli stessi sensi di stima, rispetto e timore dei due imperi, l'alleanza coi quali dava grande affidamento alla parte monarchica e conservatrice" (pp. 253-5). Favorevolissimo alla causa dell'Austria era il Vaticano e, quindi, la sua stampa (pp. 256-63). Si capisce perché: quello dell'Austria-Ungheria era il solo governo che fosse rimasto fedele alla Chiesa cattolica, e si trovava ora in guerra con quello della Russia greco-ortodossa, verso la quale si sa– rebbe forse aperto un vasto campo alla penetrazione del cattolicesimo, qua– lora il suo cesaro-papismo fosse stato stroncato da una grande disfatta mi– litare (la fine dello zarismo nessuno se l'aspettava, prima del 1917). Fra i socialisti i soli riformisti bissolatiani, scarsi di numero, si dichia– rarono per l'intervento. Lo stesso fecero i repubblicani, non meno esigui dei socialisti riformisti. Il Partito socialista, che allora si chiamava ufficiale, e "aveva la maggiore influenza sulle masse" (pp. 267-9), si dichiarò per la neutralità, e poi per il non intervento assoluto. In esso si confondevano i pacifisti, in fondo simpatizzanti per l'intesa antigermanica, come Filippo Turati, e i rivoluzionari frasaioli, come Mussolini (nell'estate del 1914) e tutti gli altri che rimasero arenati nella neutralità durante l'intera guerra: "non sabotare e non collaborare" fu la formula coniata in quella occasione: caos di tendenze incoerenti che dovevano paralizzare il Partito socialista anche nel dopoguerra. Né bisogna dimenticare gli anarchici, che non erano piu numerosi dei socialisti bissolatiani e dei repubblicani e andavano per conto proprio, ma ognuno di essi faceva baccano per cento, e rimasero sempre favorevoli alla neutralità rivoluzionaria, come era Mussolini fino al– i' ottobre del 1914. Anche quella passione dei maggiori centri italiani, di cui parla Alber– tini, può essere fondatamente contestata. In Milano, Genova e Roma vi erano sf numerosi nuclei interventisti; ma Firenze era per l'interventismo una morta gora; e Torino era una gora tutt'altro che morta, anzi attiva e • aggress1va. Quel coacervo di forze, che andava dall'estrema destra all'estrema si– nistra, fu inetto ad un'azione positiva, ma opponeva una formidabile resi- 398 Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=