Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

La fine del laissez--faire dente dal governo non esiste. E se l'iniziativa "corporativa" è quella che si sviluppa adeguandosi alle norme imposte dalla legge, è chiaro che tutte le iniziative private sono "corporative" e che tutti gli Stati sono "corporativi" (Corriere della Sera, 14 luglio 1935). Da tutte queste affermazioni si arriva alla conclusione che Mussolini avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di in– ventare lo Stato corporativo. Oggigiorno il mondo pullula di gente che va in visibilio ogni volta che sente parlare di intervento statale, economia pianificata, piani quinquen– nali, e la fine del laissez-faire. Non ci si cura di domandare quali sono i gruppi sociali nel cui interesse lo Stato, cioè la burocrazia e il partito al potere, deve intervenire e pianificare. Per tali persone è indifferente che il laissez-faire del gran capitale sia limitato per proteggere i piu deboli e i lavo– ratori, o che invece il laissez-faire dei piu deboli e dei lavoratori sia sacrifi– cato agli interessi del gran capitale. Quello che cont_aè che l'iniziativa privata venga messa in catene da qualcuno e in qualche maniera. Eppure la prima domanda che dovremmo porci quando si auspica la fine del laissez-faire è proprio questa: nell'interesse di chi tale abolizione dovrebbe aver luogo? Per rispondere a questa domanda in relazione al regime fascista in Ita– lia, si devono prendere in considerazione i seguenti fatti: 1. In Italia non c'è mai stato niente di simile al tipo di pianificazione introdotto dal governo della Russia sovietica. 2 Quando un settore importante del sistema bancario o un'industria di grandi dimensioni, tali da poter essere confusi con "l'interesse supremo della nazione," hanno minacciato di crollare, il governo è sceso in campo e ha impedito il collasso mediante prov– vedimenti di emergenza. Se c'è un campo nel quale la pianificazione è ne– cessaria e può essere attuata senza ostacoli di rilievo, questo è quello dei lavori pubblici; ma perfino un esperto fascista deve riconoscere che "ad essi si dà inizio secondo le necessità senza un piano generale in quelle regioni dove la depressione è piu grave. " 3 La politica della dittatura italiana in questi anni di crisi mondiale non è stata diversa, nei suoi fini, nei suoi metodi, e nei suoi risultati, dalla politica di tutti i governi dei paesi capitalistici. La Carta del lavoro dice che l'organizzazione privata è responsabile di fronte allo Stato. In effetti, è lo Stato, cioè il contribuente, che è diventato respon– sabile di fronte all'organizzazione privata. Nell'Italia fascista lo Stato paga per gli errori dell'organizzazione privata. Fintanto che gli affari andarono bene, i profitti rimasero alla iniziativa privata. Quando venne la depressione, il governo addossò la perdita sulle spalle del contribuente. Il profitto è pri– vato e individuale. La perdita è pubblica e sociale. Nel dicembre 1932, un esperto finanziario fascista, Mario Mazzucchelli, calcolava che, dal 1923 al 2 "Resto del Carlino," 7 novembre 1933: "Se il fascismo non crede alla libertà economica, [ ... ] ha sempre vivamente aiutato e favorito la molla piu potente, la forza creativa dell'attività umana: l'iniziativa individuale. [ ... ] ~ evidente perciò che ogni forma di economia programmatica esula, per ragioni di indole profondamente fascista, dalle attribuzioni delle corporazioni di ca- tegoria." 3 M. MARCRLJ.ETrI, Aspects of Planned. Economy in Italy, in "Intemational Labour Review," settembre 1934, p. 334. 339 Bibloteca Gino· Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=