Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

La pace sociale fasct:sta pubblici, il corrispondente romano del Petit Parisien osservò che il provve– dimento aveva "prodotto sull'opinione pubblica una notevole impressione": Il pubblico si precipitava a comprare le successive edizioni dei giornali con una avi– dità che non si era vista da un pezzo, e nei caffè, sugli autobus, nei tram, per la strada, sulle panchine dei giardini pubblici, tutti esaminavano attentamente le molte nuove dispo– sizioni del governo. E tuttavia questo interesse tanto vivo non dava luogo, per le strade o negli edifici pubblici, ad alcuna discussione critica, ad alcuna manifestazione. In altre parole, la "pace sociale" degli italiani è la passività con la quale i lavoratori manuali e gli impiegati sopportano le riduzioni salariali, la disoccupazione, la miseria. Di ciò si servono gli apologisti fascisti per dimo– strare che in Italia l'" uomo corporativo" esiste e funziona di già, e ancor me– glio funzionerà quando le corporazioni saranno discese dal cielo in terra a fare miracoli. Indubbiamente questa "pace sociale" incontra il gradimento dei datori di lavoro e del governo. Ma è egualmente gradita alle classi lavoratrici, ed agisce egualmente nell'interesse della comunità presa nel suo insieme? Ci sia consentito di riprodurre le osservazioni del professor Lindsay Rogers della Columbia University - che non si contenta di ripetere formule equivoche e parole astratte - pubblicate in Current History, maggio 1931 (p. 165): È lecito assumere, come fanno tutti i difensori del regime fascista, che la pace indu– striale sia un bene supremo? Che gli scioperi siano costosi e che il loro apparente spreco sia grande, questo non si può negare. Ma non ne discende affatto che un organisrno poli– tico senza scioperi sia piu sano di un organismo politico con scioperi. Bisogna sapere che genere di scioperi sono stati evitati e quali sono i termini delle "soluzioni pacifi .:he." Può darsi benissimo che la soluzione di una vertenza industriale mediante la macchina dello Stato produca piu ingiustizia e sia causa di un maggiore spreco economico di quanto non si sarebbe avuto con lo sciopero. In altre parole, in uno Stato la mera assenza di lotte del lavoro significa poco. Bisogna sapere a quali condizioni le lotte sono state evitate. Indipendentemente da questo problema, c'è un altro punto che deve essere discusso: la pace sociale italiana è proprio dovuta alle virtu del- 1'"uomo corporativo" o non piuttosto all'atmosfera di repressione nella quale il suddetto uomo corporativo vive e si trova ad esistere? In Italia non ci sono piu scioperi. Ma per questo fatto ci sono due diverse spiega– zioni: la prima è che i lavoratori italiani non hanno niente da ridire sulle ripetute riduzioni salariali e quindi non desiderano scioperare 5 ; la seconda è che gli scioperi sono puniti col carcere. Se i lavoratori potessero libera– mente discutere i contratti di lavoro conclusi dai funzionari delle loro orga– nizzazioni sindacali, li approverebbero? E se fosse loro consentito di eleg- 5 JoNEs, Is Fascism the Answeri, cit., pp. 71, 84: "Quando oggi in Italia i lavoratori leggono di scioperi in altri paesi, succede di sentirli osservare: 'come ha potuto essere che siamo stati tanto sciocchi?' Continuare l'abitudine deplorevole cli scioperare si rende necessario soltanto quando i lavoratori non hanno nessuna garanzia di riuscire a ottenere un trattamento equo. Una volta costituito un sistema di negoziazione, con al vertice una magistratura equa, essi sanno che riu– sciranno ad ottenere giuste condizioni. " 325 Bibloteca Gino Bianco

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