Gaetano Salvemini - Scritti sul fascismo III

La prosperità del popolo italiano Al principio di questo secolo la pellagra in Italia si poteva considerare praticamente scomparsa. I casi di morte per questa malattia erano scesi da 4.292 nel 1892 a 2.376 nel 1902, a 985 nel 1912, e a 198 nel 1922. Nel 1925 il numero era sceso a 108 e nel 1926 a 81. 13 In un discorso, il 26 maggio 1927, Mussolini affermava, come se il merito fosse tutto suo: "Si può dire, oggi, che la nazione italiana ha vinto definitivamente questa battaglia. " 14 Negli anni seguenti i casi di morte da pellagra continuarono a diminuire di numero sino a che, nel 1931, ve ne furono soltanto 61. 15 Nel 1930, tuttavia, un fascista al 100 per cento, Luigi Messedaglia, richiamò l'attenzione sul fatto che nei tre anni precedenti si erano avuti tre nuovi casi di pellagra in una zona della provincia di Verona dalla quale la malattia era scomparsa. L'affermazione di Messedaglia fu ufficialmente confermata nel marzo 1933 dalla commissione per le finanze del Senato, la quale riconobbe che tra gli 81 casi di morte da pellagra che si erano avuti rispettivamente negli anni 1929 e 1930, c'erano alcuni casi nuovi. 16 Vale la pena di riportare le parole di Messedaglia, a parte le solite frasi adulatorie nei confronti del regime: Le masse lavoratrici anche delle campagne, tra la fine del secolo XIX e il principio del XX, ascendono. E non solo gli operai industriali, ma anche gli agrari, conseguono in– crementi, spesso assai notevoli, nel saggio delle mercedi, e possono raggiungere migliori condizioni di vita, e modificare, e rendere piu varia la loro alimentazione. ( ...) Bella, confortante ascensione civile: alla quale viene ad apporsi un suggello caratteristico: la sollecita progressiva diminuzione della pellagra. (...) La popolazione rurale, come tutti sanno, risenti gli effetti annonari della guerra meno delle classi medie ( ...) E dopo la guerra? (...) Chiunque abbia pratica della vita dei campi, sa benissimo che i contadini, dopo la guerra, continuarono a vivere meglio di un tempo, e che il loro vitto si conservò assai migliorato. Il nostro contadino veronese ( ...) imparò, pur usando tuttavia il mais, a consumare buon pane di frumento, uova, latte e latticini, zucchero, e carne. La sua dieta rimase frugale, ma la carne non fu piu, per lui, come una volta, un alimento puramente di lusso, riservato a qualche raro giorno di sagra. Il contadino ( ...) mangiò meglio, e la pellagra fini con l'andarsene, presso che del tutto. ( ...) Ma il fenomeno, recente com'era, non poteva avere in sé le caratteristiche della assoluta stabilità. Si trattava piuttosto, e si tratta, diremo cosf, di uno stato di equilibrio ancora, per ovvie ragioni, instabile. ( ...) E la realtà è questa: il disagio alimentare e nutritivo, da altri ritenuto scomparso per sempre, ritorna in iscena, in ampie zone, ai danni del contadino. (...) Il contadino, là dove dovesse, per forza di avversità, ritornare alla povera monotona alimentazione d'un tempo, a base di solo, o quasi solo, mais, è fatale, che ricadrebbe vittima della pellagra. ( ...) E chi è ai posti di comando, tenga gli occhi aperti. 17 Tuttavia, nonostante le riduzioni dei salari reali e l'aumento della disoc– cupazione, gli italiani riescono a rimanere in vita. I segreti della loro resi– stenza sono la solidarietà di gruppo e la sobrietà, e in ciascuna di queste due qualità vi è qualcosa di miracoloso. Il padre, per far quadrare il bilancio, fa 13 "Annuario Statistico Italiano," 1904, p. 131; ibidem, 1914, p. 77; ibidem, 1922-25, p. 35. 14 MUSSOLINI, XXII, p. 362. 15 "Annuario Statistico Italiano," 1933, p. 61. 16 A. P., Senato, Legislatura XXVIII, Disegni di legge e relazioni, doc. n. 1575-A, del 30 marzo 1933, p. 17. 11 L. MEssEDAGLIA, L'alimentazione dei contadini e la pellagra nel Veronese secondo i ri– sultati di una recente inchiesta, in Atti e memorie della Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, serie V, vol. VII, Verona, 1931, pp. 22-24, 27, 31, 53. 321 Bibloteca Gino Bianco

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